Dentro Konami: storie di quotidiana tirannia - articolo
Le ultime cronache parlano di un'azienda non solo in tumulto, ma in vera e propria disgregazione.
Gli scandali non finiscono mai per Konami. Quello che un tempo era uno dei più apprezzati publisher giapponesi è al centro di forti polemiche ormai da tempo, ma nelle ultime settimane la sua situazione si è addirittura aggravata, a causa di una serie di rivelazioni e reportage su quella che sarebbe la vita all'interno dell'azienda: una serie di pratiche denigratorie e oppressive nei confronti dei propri dipendenti, che ricordano storie di abusi carcerari più che di ordinaria vita lavorativa.
L'autorevole pubblicazione nipponica Nikkei ha recentemente acceso le luci su una cultura aziendale in base alla quale i dipendenti vengono trattati come veri e propri detenuti, con scarsissimo rispetto per l'autonomia personale o per il riconoscimento dei meriti. Quello che viene messo in luce è il lato disumano di una compagnia che, probabilmente, rischia oggi di perdere ancora più fan di quanti non se ne siano già allontanati con lo scandalo di Silent Hills o con la dipartita di Hideo Kojima.
Che le cose fossero in costante peggioramento all'interno di Konami era una sensazione ormai molto netta. Da tempo era iniziata l'emorragia degli sviluppatori e dei producer più talentuosi dell'azienda, che hanno cercato riparo altrove, per scelta personale oppure costretti dai rapporti conflittuali con la dirigenza. Molti progetti chiave sono stati cancellati oppure assegnati in produzione esterna su licenza. L'azienda ha persino cancellato la sua quotazione dalla borsa di New York.
Come ci ha già raccontato Rob Fahey nel suo articolo, il fattore principale alla base di tutto ciò è ben identificabile: "questo è ciò che accade quando un publisher perde l'interesse nei confronti del business dei videogiochi su console e comincia a ritenerlo non più meritevole di tempo e investimenti. Dopo trenta anni esatti nel settore (Konami ha cominciato a pubblicare nel 1985 su NES), le brutte notizie su Konami sono la conseguenza della sua uscita da quell'industria che ha aiutato a creare il suo stesso nome."
Mentre l'ultimo (probabilmente in tutti i sensi) Metal Gear Solid ha richiesto un budget ipertrofico di circa 80 milioni di dollari, i progetti a basso costo e alti incassi come Dragon Collection, Professional Baseball Dream Nine e Crows X Worst rappresentano un'attrattiva molto maggiore per un'azienda che un tempo era considerata tra i maggiori pilastri dell'immortale cultura videoludica giapponese. Com'è ovvio, non c'è nulla di intrinsecamente sbagliato nel voler cambiare rotta e perseguire il mercato digitale, mobile e casual. Una nuova direzione che Konami ha dichiarato apertamente di voler intraprendere, e che tra l'altro ha dato finora degli interessanti frutti a livello economico (nell'ultimo report finanziario, risalente allo scorso maggio, l'azienda ha dichiarato un incremento del 147% sui profitti).
In sostanza, quello che sta succedendo all'interno dell'azienda non ne sta affatto danneggiando i profitti: quello che è in caduta libera è, semplicemente, il rapporto umano.
L'articolo originale è in giapponese e può essere letto solamente dagli abbonati a Nikkei, ma numerose fonti ne hanno tradotto i passaggi principali, verosimilmente fatti risalire ad un impiegato scontento che ha deciso di vuotare il sacco. Leggendo tali traduzioni, la bizzarra natura orwelliana di una giornata lavorativa negli uffici di Konami colpisce subito con forza, raccontando tutte le incongruenze di un cambiamento che è stato messo in atto nel tempo e che senza dubbio ha prodotto l'esito che ormai ben conosciamo.
Nel racconto si dice che i computer in molti dipartimenti dell'azienda (inclusi gli uffici dell'ex Kojima Productions, ora rinominata Number 8 Production Department) non sono collegati ad Internet, in modo da non concedere distrazioni ai dipendenti. Ma non solo: gli indirizzi email di molti impiegati sono composti da una serie casuale di lettere e numeri, che a precise cadenze vengono cambiati, a quanto pare per evitare che aziende esterne possano contattare le figure più appetibili e offrire loro nuove opportunità di lavoro. Le pause pranzo sono monitorate da timbrature in entrata e in uscita, e chiunque trasgredisca i ferrei limiti temporali viene isolato e pubblicamente umiliato nelle email interne a tutto lo staff. I corridoi e gli altri spazi comuni sono scrutati da telecamere di sorveglianza che osservano i movimenti dei dipendenti, "incoraggiando" la produttività e scoraggiando la socializzazione. Tutte misure senza dubbio draconiane, ma purtroppo non prive di precedenti.
All'inizio della mia esperienza lavorativa, anche a me è capitato di trovarmi in ambienti del genere, che impiegavano alcune delle stesse tecniche di controllo del personale. Spesso le connessioni erano limitate ad una "intranet" aziendale, e la timbratura in pausa pranzo non è certo cosa rara. Chiunque lavori nel Regno Unito, poi, è probabilmente abituato ad essere silenziosamente osservato dalle telecamere di sicurezza. Esistono persino uffici che regolamentano le pause gabinetto, tenendo un accurato conteggio delle abluzioni giornaliere di ogni dipendente ed esponendo magari al pubblico ludibrio coloro i quali si ritengono dotati di una vescica particolarmente debole. Konami, in buona sostanza, non è l'unica azienda del mondo ad imporre queste pesanti restrizioni.
Ciò, però, non va visto come una sorta di giustificazione o, peggio, incoraggiamento. Qualunque sia la visione di ognuno sull'eticità o meno di un tale comportamento (e spero che più o meno tutti siano concordi nel ritenerlo eccessivo e deprecabile), il fatto è che si tratta comunque di decisioni pessime dal punto di vista della produttività lavorativa. Un atteggiamento di sfiducia e oppressione nei confronti dei dipendenti produce solo risentimento, sfiducia e scontento. La tecnica di esporre alla pubblica gogna i difetti o le mancanze di alcuni impiegati, degna della Stasi comunista, divide lo staff e marginalizza le persone, generando un'atmosfera di diffidenza e delazione che è l'esatto opposto di una sana e produttiva competizione.
Questi comportamenti anacronistici, irrazionali e paranoidi non potranno che ottenere il risultato di trasformare l'azienda in un vero e proprio inferno per i dipendenti. Ma le storie dell'orrore non sono ancora finite per Konami. Stando alla fonte di Nikkei (tuttora anonima ma corroborata da diverse verifiche incrociate), gli impiegati che "deludono" l'azienda oppure non risultano abbastanza produttivi sono riassegnati a compiti che possiamo definire con un'unica parola: punitivi. Talentuosi compositori, programmatori ed altri professionisti sono pescati dalle loro posizioni, strappati dalle loro carriere e ricollocati come operai nelle fattorie di pachinko possedute da Konami, come guardie giurate o addirittura come personale di pulizia nelle numerose palestre gestite dall'azienda. Il famoso "ti sbatto a pulire i cessi" che abbiamo visto in così tanti film, generalmente a tema militare.
Ironicamente, si è diffusa la voce che alcune delle vittime di tale trattamento, seguendo quella che è la natura umana, si siano adattate alle loro nuove posizioni a tal punto da "fare carriera" fino a diventare capo-reparto. Ma ovviamente non tutti hanno avuto questa fortuna.
Insomma, Konami potrà anche aver trovato una nuova gallina dalle uova d'oro nel mercato mobile, oppure nei suoi fitness club quotidianamente tirati a lucido da programmatori ultra-qualificati, ma senz'altro non è più un ambiente lavorativo in cui qualcuno con la minima possibilità di scelta rimarrebbe per più di mezza giornata. Se la dirigenza dell'azienda continuerà a spremere le risorse del suo personale in questo modo, è molto probabile che presto scoprirà di non avere più risorse da sfruttare. E allora nemmeno l'attuale fioritura dei mercati mobile potrà salvarla dall'inevitabile destino a cui va incontro un'azienda priva di talenti.