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Detroit: Become Human - prova

Ma gli androidi sognano le pecore elettriche?

Detroit non è solo una città, è un simbolo. È la MoTown, la città delle macchine, il luogo dove la rivoluzione industriale, spinta dalle invenzioni di Henry Ford, fonda le sue radici. Per questo motivo le principali case produttrici di androidi si sono insediate qui. Perché proprio come successe agli inizi del '900 con l'arrivo delle automobili, anche gli esseri umani artificiali hanno rivoluzionato la vita e l'economia dell'intero pianeta. Le persone più facoltose hanno trovato negli androidi degli infaticabili compagni, sempre sorridenti ed estremamente efficienti. I più poveri, invece, hanno perso il lavoro a causa loro. D'altra parte sono più sorridenti e efficienti di quanto loro potranno mai essere.

L'atmosfera nelle strade delle città è dunque elettrica, si respira malcontento e insofferenza nei confronti di questi esseri sintetici, che però subiscono in silenzio violenze, razzismo e segregazione. Almeno fino ad adesso. Diversi rapporti, infatti, parlano di androidi che cominciano a ribellarsi ai voleri dei loro padroni e a reagire in maniera violenta ai loro soprusi: i devianti. C'è chi si ribella perché non vuole essere sostituito da un modello più efficiente o chi risponde alle percosse del suo padrone. Una cosa inammissibile per chi ha speso migliaia di dollari nell'ultimo ritrovato della tecnologia.

Per fermare questa piaga la polizia ha istituito una speciale squadra di investigatori, i Blade Ru..., ehm, no, questa è un'altra storia. In Detroit: Become Human sarà Connor, un androide modello RK800, il migliore cacciatore di devianti della città. Freddo, analitico e determinato, Connor ci mostrerà come agisce e pensa un androide perfettamente funzionante e di come queste macchine, nonostante l'aspetto e le funzionalità umane, siano programmate per soddisfare in maniera impeccabile ogni desiderio dei loro padroni. Anche a discapito dei loro simili.

I volti e le espressività dei personaggi è molto migliorata, nonostante gli androidi, spesso, siano senza sentimenti.

Oltre a Connor, però, in Detroit: Become Human vivremo anche la storia di Kara e Marcus, due modelli dal passato e dalle motivazioni completamente differenti. Kara è un robot da compagnia, una sorta di Roomba con le gambe, finita a fare da balia ad una ragazzina dal padre violento. Marcus, invece, è l'assistente di un facoltoso pittore, che lo tratta e lo istruisce come se fosse il suo dotato apprendista. Due storie diametralmente opposte, che però porteranno alla medesima conclusione: la ribellione.

Kara per proteggere ciò che ama, Marcus per ottenere maggiori diritti e libertà, ma non importa: hanno entrambi infranto delle barriere imposte dai loro creatori e sono disposti a tutto per raggiungere i propri obiettivi.

Grazie alla combinazione di questi tre punti di vista, Quantic Dream vuole raccontare una storia estremamente moderna, fatta di razzismo, disagio sociale, diritti e libertà. All'ombra delle sfavillanti luci di Detroit, infatti, si celano i peggiori vizi degli esseri umani, che pensano di poter sfogare frustrazioni, tristezza e rabbia sugli androidi, senza pagarne nessuna conseguenza. Ma le conseguenze ci sono sempre e il lavoro del team di David Cage è proprio quello di mostrare cosa succederebbe se ad un certo punto qualcuno arrivasse a gettare luce sui nostri lati più oscuri e se colui che pensavamo indifeso, improvvisamente, trovasse le forze per ribellarsi.

Da demo tecnica a protagonista del gioco il passo è lungo, ma Kara è pronta, nuovamente, a mostrare la forza dei suoi sentimenti.

Dopo aver provato a tenere nascosta la struttura dei suoi giochi per mantenere inalterata la sospensione dell'incredulità, in Detroit: Become Human Quantic Dream ha deciso di giocare a carte scoperte e di dotare la sua opera di uno strumento, grazie al quale poter vedere tutti i bivi che sono stati pensati, ed eventualmente poter tornare indietro per scoprire quali conseguenze avremmo avuto prendendo una decisione differente. Questi diagrammi, presenti alla fine di ogni capitolo, mostrano da una parte la complessità della storia scritta da Cage per Detroit: Become Human, descritta come estremamente più ricca e ramificata rispetto alle precedenti opere del director francese, e dall'altra fa fare a Quantic Dream una sorta di "passo indietro". Con questo meccanismo, infatti, Detroit: Become Human afferma fieramente di essere un videogioco, cinematografico sicuramente, basato sulla narrativa senza alcun dubbio, ma pur sempre un'opera interattiva nella quale il giocatore è il principale attore.

Lo sviluppatore, infatti, sostiene che non solo le nostre scelte potranno portare alla morte di uno dei protagonisti, un po' come in Heavy Rain, ma che le nostre decisioni plasmeranno come questi personaggi evolveranno durante l'avventura e la percezione che le altre persone avranno di loro. Con l'ovvia conseguenza di avere tanti finali differenti, da sbloccare in base alla combinazione delle scelte precedenti. In altre parole, supponiamo elaborando le parole degli sviluppatori, si potranno avere differenti versioni di Connor, una più intransigente nei confronti dei suoi simili e una meno sicura di essere nel giusto.

Nel caso in cui ve lo steste chiedendo, non è un caso se non abbiamo ancora parlato di come si gioca a Detroit: Become Human. Un po' perché la struttura non si discosta molto da quanto visto nelle precedenti opere di Quantic Dream, un po' perché spesso le azioni da compiere sono piuttosto limitate. Ma soprattutto perché in questo gioco l'elemento principale sarà la sua capacità di coinvolgere e di costruire un intreccio intenso e godibile. E in questo Detroit: Become Human sembra poter eccellere, poco importa se dovremo compiere semplici gesti con il gamepad o osservare per lunghi minuti intensi scambi di battute.

Essere un androide non è semplice e ribellarsi, anche dopo aver subito delle violenze, non è ammissibile.

Perché in Detroit: Become Human ogni dettaglio non è stato scelto a caso e va goduto con attenzione, perché ogni azione ha una conseguenza e perché gli sviluppatori si sono sbizzarriti nel cercare di rendere il mondo vivo, ma soprattutto verosimile. A volte riesce benissimo, come quando sentirete sulla pelle la necessità di rompere le barriere per proteggere ciò che è fragile e ha bisogno di noi, altre un po' più forzato, ma la sensazione è che tutto funzioni bene e il rischio di incappare nei folli viaggi onirici di Beyond o nei buchi di trama di Heavy Rain sia lontano.

Detroit: Become Human è una storia normale, per quanto possa essere normale una storia di androidi. Una storia di emozioni, di scelte e di prese di posizione, che parte come una versione patinata di Blade Runner, per sfociare in riflessioni esistenzialistiche alla Kierkegaard, o in denunce al razzismo strisciante dei giorni nostri. Perché Detroit: Become Human non è solo un'opera di fantascienza, ma è anche una storia di segregazione (evidente quando saremo ammassati sul fondo di un autobus vuoto solo perché androidi), di violenza e di amore.

Sembra quindi un classico lavoro di Cage, ma elevato all'ennesima potenza, uno nei quali non sembrano esserci le basi per dei suoi "colpi di testa". Uno di quelli capaci di rovinare quanto di buono fatto prima e di gettare alle ortiche la qualità della narrazione e la creazione della tensione.

Detroit: Become Human sembra sotto molti punti di vista la fine di un percorso iniziato tanti anni fa con Farenheit, ma proprio per questo ne porta ancora i limiti. Gli enormi passi in avanti che sembra abbia fatto sotto il profilo della narrazione o della capacità recitativa dei personaggi non corrispondono ad altrettanti miglioramenti sotto il profilo dell'interazione con gli ambienti e dei controlli. Connor, Kara e Marcus, infatti, si muovono ancora in maniera piuttosto rigida all'interno degli ambienti, interagendo con essi solo dove previsto.

Cosa si è disposti a fare per coloro che si ama?

In altre parole i detrattori di Cage potrebbero non trovare in Detroit: Become Human un motivo per cambiare idea su questo discusso personaggio, mentre gli amanti di questo genere di opere interattive potrebbero avere la possibilità di vedere sublimata la formula di gioco che hanno amato, dato che la troveranno espansa sotto il profilo narrativo, evoluta sotto quello grafico e perfezionata sotto quello ludico.

Nella natura di Detroit: Become Human c'è comunque la voglia di far parlare e discutere, questa forza capace di non lasciare indifferenti i giocatori. Che la si ami o la si odi, l'ultima opera di Quantic Dream sembra in grado di lasciare dentro qualcosa e questo è il suo merito maggiore. Un merito che va oltre ai possibili problemi dei controlli e che ha fatto sì che al termine della presentazione tutti i colleghi discutessero di che libro avessero letto, di come fossero sfuggiti alle ire di un malintenzionato, o dell'oppressione che si sentiva in un determinato momento della storia e non di controlli, grafica o interazioni.

La curiosità di scoprire come si evolveranno e soprattutto intrecceranno le storie dei tre protagonisti è dunque forte, così come è palpabile la speranza di avere (finalmente) una storia senza buchi o stranezze. Manca circa un mese all'uscita di Detroit: Become Human, possiamo resistere. Rimanete con noi per tutte le novità.

Avatar di Luca Forte
Luca Forte: Luca si divide tra la gestione del ruspante VG247.it e l'infestare Eurogamer con i suoi giudizi sui giochi sportivi, Civilization, Fire Emblem, Persona e Football Manager. Inviato d'assalto, si diverte a rovinare le anteprime video dei concorrenti di tutto il mondo in modo da fare sembrare le sue più belle.
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