Dieci anni di NieR - articolo
Il gioiello di Yoko Taro: autorialità, metanarrativa e multiversi.
NieR, ultimo gioco sviluppato da Cavia (inglobata poi in AQ Interactive), è stato pubblicato nel 2010 da Square Enix. È il terzo gioco facente parte del brand di Drakengard, nonostante l'ideatore Yoko Taro non abbia scritto per Drakengard 2. Apparentemente è un action rpg che ammicca, con energia, a Zelda. La versione Gestalt vede un padre cerca di salvare la figlia Yonah da una misteriosa malattia; Replicant, la versione per il mercato orientale, ha per protagonista il fratello della ragazzina.
L'edizione remaster di NieR: Replicant permetterà a molti di recuperare quello che, insieme al predecessore Drakengard, è un cult che parla di alienazione e perdita. Chi avesse avuto la fortuna di giocare NieR: Automata, saprà già di che tipo di atmosfere e racconti si parla e può dunque comprendere l'energia trascinante di questi videogiochi.
Ma parlare di NieR, innanzitutto, significa confrontarsi con l'autorialità che sta a monte dell'opera. Chi è Yoko Taro, in fondo? Una mano per niente invisibile, che si diverte nel mostrarci la struttura dei suoi giochi per poi mischiare le carte. Un uomo nascosto dietro l'inquietante maschera di Emil, uno dei suoi personaggi più dolceamari. Un game designer fantasioso che, nonostante i limiti tecnici, ha costruito con passione le sue bizzarre e grottesche narrazioni. Sicuramente un'artista d'avanguardia. Yoko Taro, colpevole di aver costruito giochi dal gameplay balbettante, ha il merito di aver sempre donato al medium dei prodotti unici.
Tanto Drakengard che Nier sono titoli strani: esistenzialisti, spiccatamente new weird, sinceri e senza peli sulla lingua. Una ventata d'aria fresca per chi cerca nel suo hobby preferito quel qualcosa in più che, per la sua natura multimediale, il mondo videoludico può dare. Era il 2003 quando Drakengard uscì su PS2. Nier sarebbe un suo spin-off, che ormai fa brand a parte. Quel che al tempo colpiva, in questo gioco di ruolo che imitava i Musou, era la vena malata che lo percorreva, insieme al desiderio di stravolgere le aspettative dei giocatori.
Per rendere questo discorso quanto più comprensibile possibile, il paragone immediato è con Game of Thrones. Quel che George R. R. Martin fa nel giocare con le aspettative dei lettori (dove finisce l'invincibilità dei protagonisti?), Yoko Taro lo fa con la struttura stessa del racconto. Il protagonista di Drakengard non è un eroe, è un genocida. I suoi comprimari sono feccia umana. Le motivazioni sono macchiate di sangue e morale grigia. Un dark fantasy che ha qualcosa di dissonante. E quel qualcosa di stonato è una città abitata di viverne, con tanto di grattacieli moderni, che sorge in corrispondenza di un continente che ricorda la Spagna. Un tumore spazio-temporale, se non proprio un'incursione della realtà nella finzione.
Perché partire da Drakengard? Innanzitutto, perché l'intreccio è gestito nello stesso modo che in NieR. Dopo un finale A, si procede per ramificazioni alternative fino a scoprire tutta la storia, anzi tutte le possibili storie che hanno luogo nel mondo di gioco. Una connessione non tra giocatore e protagonisti, ma tra giocatori e la già citata struttura. Qualcosa che può ricordare le timeline di Radiant Historia (videogioco del 2010), ma che è forse più vicino alla volatilità delle trame de libri-game (un esempio recente, l'episodio Bandersnatch di Black Mirror). Questo modo di raccontare l'abbiamo visto anche in Automata, segno che fa parte degli stilemi preferiti da Yoko Taro.
In secondo luogo, e questo è il motivo più diretto, NieR nasce da un finale non canonico, scherzoso addirittura, di Drakengard. Nel finale E, infatti, il protagonista giunge nel nostro mondo e combatte sul dorso del drago Angelus contro degli aerei caccia. La presenza della sua magia diventa, analogamente alla misteriosa città nella penisola iberica, l'innesto di un processo distruttivo: mondi che si contaminano a vicenda e muoiono. Qui nascono i protagonisti della nuova storia. Non volendo sbilanciarci nello spoiler (proprio per via dei recenti annunci), al momento ci limitiamo a dire che Yoko Taro riesce, da una premessa difficile da prendere davvero sul serio, quasi ironica, a costruire una storia strappalacrime.
NieR e Drakengard, dietro un alone di stranezza ostentata, di irriverenza esagerata, di disagio inculcato a forza sul giocatore, hanno soltanto la schiettezza di trattare temi e argomenti da cui spesso, come consumatori, evitiamo (anche inconsciamente). Il confronto con l'horror vacui, con la violenza, con l'abbandono, con la solitudine, con la nausea, con il sesso, con i nostri pensieri più intrusivi e negativi. Il fantasy è in questa serie lo strumento di una riflessione feroce ma intimista.
In NieR, i protagonisti sono degli outsider incompresi, in cerca di accettazione o forme d'amore, conturbanti ma comunque genuine. Il mondo di gioco ha campi verdeggianti immensi, specchi fluviali, vita nei piccoli villaggi. Il mondo sembra voler rinascere, trattenuto da qualcosa di pesante e senza nome: l'aura della natura e di un destino che sembra scritto, incombente.
Yoko Taro dimostrava d'essere maturato come scrittore, caricando il suo gioco dell'implicita promessa di un climax imprevedibile. La trama ha un messaggio forte. La colonna sonora di Keiichi Okabe è azzeccata, malinconica ed evocativa. In alcuni momenti appaiono persino veri e propri testi da avventura testuale, inseriti (oltre che per risparmiare sul budget, in una mossa che ricorda Evangelion e Xenogears), quasi per ricordare al giocatore che NieR ha sì dei personaggi, ma anche una fantomatica struttura-protagonista.
L'elemento metanarrativo è una danza spontanea: durante l'avventura si esplorano regie videoludiche differenti (dall'horror allo scroller), ma è tutta apparenza per distrarre dall'evento sotterraneo pronto ad eruttare. Quando Yoko Taro decide di sfondare davvero la quarta parete, non se ne compiace: l'effetto è quello di una stilettata. Rapida, veloce, incredibilmente dolorosa. E non a caso cerca di allontanare l'ultimo finale di Nier quanto più possibile dal giocatore, con rallentamenti e farming che già nel 2010 erano fuori tempo massimo.
Posto, come abbiamo già detto, che Drakengard e NieR mostrano due mondi in collisione tra di loro, è curioso il modo in cui Yoko Taro sta procedendo ultimamente. Chi avesse giocato Drakengard 3, sa già che con il personaggio di Accord è stato introdotto l'argomento di un multiverso vero e proprio, sorvegliato da androidi di cui si sa poco (e che coinvolge anche un altro gioco di Yoko Taro: SINoALICE).
In questi mesi, abbiamo visto l'intrusione del mondo di NieR in Final Fantasy XIV, con un primo raid da 24 giocatori che non si limitava a riproporre gli scenari del gioco base, ma sembra portare avanti il discorso di Automata. Una sorta di direzione verso un finale ulteriore, comprensibile soltanto avendo alle spalle l'esperienza del gioco base e l'arco narrativo di 2B e 9S.
La nuova versione di Replicant ha un restyle del personaggio principale e degli elementi aggiuntivi. Vedremo nuove sfaccettature di un'avventura che credevamo conclusa. NieR: Re[in]carnation potrebbe invece essere la chiave di volta che anticiperà la direzione complessiva dell'intera opera di Yoko Taro.
Alla luce di tanti titoli in arrivo è utile il vecchio detto: non c'è fumo senza arrosto. Ma congetture a parte, l'aspettativa è tanta e la fiducia non manca. Da quando Yoko Taro è riuscito a connettersi con studi capaci di costruire dei gameplay interessanti (Platinum Games su tutti), ogni nuova notizia su NieR è un momento di interesse per tutti coloro che si sentono attratti dalla magia straniante di Yoko Taro.