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Dietro il Videogioco: La storia di Hideo Kojima - editoriale

Da Konami a Death Stranding, la vita e il messaggio di un game designer leggendario.

La regione di Kansai, in Giappone, è il centro storico e culturale per eccellenza del paese. Bagnata dall'Oceano Pacifico, è nota per le prelibatezze figlie della tradizione culinaria, che spaziano dalla celebre carne wagyū fino ai tesori del sakè, custoditi con amore ai margini della pianura di Osaka. Proprio in questa terra, nei primi anni '70, uno dei più grandi game designer di tutti i tempi trascorreva le lunghe serate casalinghe assieme al resto della famiglia, consumando uno dietro l'altro i grandi prodotti della cinematografia occidentale: a nessuno dei tre piccoli Kojima, infatti, era consentito andare a letto prima della fine delle pellicole.

Nato nel 1963 a Setagaya, quartiere residenziale di Tokyo, il giovane Hideo Kojima aveva trascorso parte della sua infanzia a Osaka, poco prima di trasferirsi al di fuori della grande città; qui dovette provvedere a sé stesso fin dalla prima adolescenza, avendo perso il padre all'età di 13 anni e trovandosi spesso solo durante i pomeriggi che seguivano l'attività scolastica. La morte del padre aveva portato un sostanziale abbassamento delle possibilità economiche della famiglia, pertanto il ragazzo fu spinto, specialmente dallo zio, ad intraprendere un percorso di studi economici, lasciando da parte le velleità creative e quell'attività registica che di volta in volta riaffiorava con prepotenza fra le sue passioni.

La cultura giapponese è storicamente pressante nell'ambito della normativa sociale: tantissimi giovani sono indotti dal parentado a percorrere il sentiero della sicurezza economica, passando attraverso le discipline tecniche e assicurandosi un posto stabile nel mondo del lavoro. Non deve stupire, di conseguenza, come tutti i conoscenti di Kojima abbiano più volte tentato di sottrarlo dal mondo delle arti. Allora poco importava, perché non c'era verso di porre un freno al vulcanico immaginario di Hideo, che fin dai primi anni universitari scriveva una quantità impressionante di racconti originali, provando ad inviarli alle riviste per ottenere una pubblicazione che non arrivava mai.

"Onestamente, avrei tanto voluto diventare un regista, ma allora non esistevano gli strumenti digitali per costruirsi una carriera. L'unica cosa che avrei potuto fare da solo era iniziare a scrivere, un po' come fece Stallone con la sceneggiatura di Rocky, sperando di aver successo con l'opera finita. Mentre stavo provando a realizzare il mio romanzo, uscì il Famicom, ovvero il NES, e catturò immediatamente la mia attenzione".

Sembra impossibile, ma fu proprio il tenero Penguin Adventure a segnare l'esordio di Kojima nel medium.

Fu proprio tra un esame e l'altro che Hideo iniziò ad avvicinarsi al medium del videogioco: nel tempo libero trascorreva ore in compagnia del NES, prendendo confidenza con il lavoro di uno Shigeru Miyamoto che aveva ammirato fin dall'esordio di Super Mario Bros. Era un titolo molto meno conosciuto, tuttavia, ad aver solleticato particolarmente la curiosità del ragazzo, ovvero The Portopia Serial Murder Case di Yuji Horii, thriller interattivo che divenne presto una delle sue più grandi influenze.

"Portopia aveva il mistero, i dungeon in tre dimensioni, un umorismo sottile e un background narrativo impeccabile. In quel gioco c'era il vero 'drama'. Avvicinarmi a Portopia mi ha permesso di comprendere il reale potenziale del medium videoludico, la qualità del lavoro che si poteva svolgere con il software interattivo".

Dopo aver tentato una sortita nel mondo della regia assieme ad un amico con cui condivideva una 8mm, Hideo prese la sua decisione definitiva durante il quarto anno di studi: avrebbe provato ad entrare a pieno titolo nel mondo dello sviluppo di videogiochi. Come da copione, tutti suoi confidenti tentarono di dissuaderlo dall'intento, sottolineando come si trattasse di un percorso rischioso oltre che poco rispettabile, ma l'incondizionato supporto da parte della madre non fece altro che rafforzare l'ambizione del giovane.

"In quell'epoca, il medium del videogame era un rifugio per tutti coloro che si sentivano "scartati". Persone che percepivano che quell'industria avrebbe potuto dargli una seconda chance. Ho incontrato tantissimi ragazzi nella stessa situazione, ed è proprio attraverso questo sentimento che abbiamo legato l'uno con l'altro".

Dopo una serie di colloqui fallimentari, nel 1986 Hideo Kojima fu assunto nella divisione di Konami che sviluppava software per l'home computer MSX, debuttando fin da subito nel ruolo di designer e planner. Il suo primo contatto con l'industria fu tutt'altro che soddisfacente: nessuno, all'interno della compagnia, sembrava dare peso alle sue idee. A causa della scarsa attitudine per la programmazione era spesso snobbato dai direttori dei progetti e, come se non bastasse, preferiva la colorata innovazione dei sistemi successivi all'MSX, macchina che gli regalava ben poche soddisfazioni; insomma, il ragazzo era ad un passo dall'abbandonare il suo sogno.

Un giovane Hideo Kojima si mostra in una posa tipicamente 'badass', termine a lui molto caro.

Fortunatamente, l'allora inconsapevole leggenda dell'industry decise di stringere i denti e nello stesso anno dell'esordio firmò il suo primo progetto come assistant designer: si trattava di Penguin Adventure, platform-action che si rivelò uno dei titoli di maggior successo per piattaforme MSX, acclamato per il suo gameplay innovativo e capace di mescolare nuovi elementi ruolistici con gli standard della tradizione, come ad esempio un embrione del sistema a finali multipli.

Come nella migliore delle montagne russe, dopo i risultati di Penguin Adventure il nome di Kojima tornò ai margini del direttivo, e il primo progetto individuale, un RPG mai pubblicato che avrebbe dovuto chiamarsi Lost Waarld, fu cestinato senza riserve dai suoi superiori. Fu proprio nel momento di massimo sconforto che un senior associate di Konami chiese a Hideo di prendere le redini di un'iniziativa particolare, una produzione che sarebbe stata interamente sua, dalla prima stesura fino ai titoli di coda.

Il motivo è presto spiegato: si trattava di un progetto che mirava alla messa in scena di un'avventura militare inadatta all'arretrato hardware MSX. Nessuno, in Konami, moriva dalla voglia di finire nei crediti del gioco, perché le prestazioni del sistema non avrebbero mai permesso una costruzione soddisfacente per uno shooter contemporaneo: la carenza di nemici e proiettili su schermo era vista come un ostacolo insormontabile, un difetto che avrebbe inevitabilmente inficiato gli sforzi della produzione.

Non appena Kojima si trovò alla direzione dell'opera, il concept legato al videogioco iniziò a trasformarsi in qualcosa di profondamente diverso: l'agente operativo Solid Snake, inviato nello stato di Outer Heaven, avrebbe dovuto fermare un'arma di distruzione di massa chiamata Metal Gear. Si trattava di uno fra i primi esponenti del neonato genere stealth, deriva tecnica che avrebbe senza dubbio premiato la natura dell'hardware. Kojima si ispirò al film La Grande Fuga, uno dei suoi preferiti, e, finalmente, ebbe occasione di scrivere una sceneggiatura originale.

"Nel film La Grande Fuga c'è una scena in cui Steve McQueen tenta di scappare dal campo nazista. Ti chiedi continuamente se ce la farà o se sarà individuato, la tensione diventa palpabile, riesci a percepire il suo nervosismo attraverso lo schermo. Così ho pensato "Cosa si proverebbe trovandosi al suo posto? Che sia possibile simulare questa situazione in un videogioco e renderla interattiva?". Da questo pensiero nascono tutti i design alla base dei miei giochi: guardo un'esperienza e tento di ricrearla nel mio medium".

'Metal Gear non nasceva come gioco stealth, anzi, non nasceva proprio. Ad un certo punto creai il campo visivo dei nemici e, improvvisamente, l'intero gioco divenne possibile!'

Metal Gear debuttò al quarto posto tra i software MSX più venduti in Giappone, classifica in cui rimase in pianta stabile nel corso dei cinque mesi successivi, mentre la maggior parte delle riviste di settore espresse un giudizio positivo sull'opera. Qualche mese più tardi, vide luce un porting per NES di Metal Gear, privato di numerose feature e prodotto senza alcun intervento da parte del game director. Nonostante il palpabile peggioramento rispetto alla release originale, il software riuscì a vendere un milione di copie nel solo territorio nordamericano, all'epoca in cui perfino un gigante come Final Fantasy faticava ad approdare nel paese a stelle e strisce.

Il successo di Metal Gear iniziò ad oliare gli ingranaggi nel direttivo di Konami: l'azienda, anzitutto, diede il via allo sviluppo di un sequel per l'IP, nome in codice Snake's Revenge, ma decise di lasciare Kojima al di fuori del nucleo operativo. Gli commissionò, invece, la stesura di un nuovo titolo d'ispirazione cyberpunk, vicino a blockbuster come Terminator e Blade Runner; così, la seconda fatica strettamente legata al designer emergente cominciò a prendere forma: si trattava di Snatcher, visual novel interamente scritta e realizzata dal primo team di Kojima.

Snatcher narrava le vicende di un detective colpito da amnesia intento ad indagare su una serie di omicidi commessi da una specie di cyborg, i cosiddetti Snatcher, che, alla stregua dei replicanti, si sostituivano alle vittime copiandone le abitudini. Pubblicato per MSX2 e NEC PC, raggiunse un buon livello di notorietà grazie alla complessità e alla maturità della componente narrativa, ed è oggi considerato al limite di un vero e proprio cult. Venne realizzata anche una versione per Sega CD che debuttò negli Stati Uniti, luogo in cui, purtroppo, non riuscì a replicare il successo della precedente IP.

Un giorno, mentre tornava da un lungo viaggio in treno, Hideo fu intercettato da un collega che stava lavorando al seguito di Metal Gear; questi gli chiese se avesse nuovi spunti per la vicenda e, soprattutto, lo incoraggiò a presentare al direttivo dell'azienda la sua visione del futuro di Solid Snake. Immediatamente, Kojima si mise al lavoro su ciò che di lì a breve sarebbe diventato Metal Gear 2, secondo capitolo della saga che avrebbe portato il giovane designer al successo internazionale.

L'intenzione di Kojima era quella di raddoppiare su tutte le meccaniche più apprezzate del primo episodio, introducendo una straordinaria mole di novità considerate aldilà del limite tecnologico: dalle conversazioni del transceiver, tutte estremamente curate, fino alle meccaniche di gioco e al funzionamento della IA, ora capace di pattugliare intere aree e di rispondere agli input sonori del protagonista. In effetti, il gameplay del sequel avrebbe scolpito nel marmo tutti gli elementi alla base dell'evoluzione in tre dimensioni, delineando una volta e per sempre i pur malleabili confini della saga.

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Metal Gear 2: Solid Snake fu il primo titolo di Kojima a debuttare in vetta alla classifica software MSX2, ma nonostante il successo ottenuto in terra giapponese non approdò fino al 2006 sulle sponde europee e statunitensi; non sappiamo granché sulla reception dell'opera: quel che resta sono le recensioni dei retrogamer appassionati, critici che ritrovarono l'anima di Metal Gear Solid celata negli anfratti di Zanzibarland.

In seguito alla release del sequel di Metal Gear, Kojima iniziò a dedicarsi ai porting CD-Rom e Sega Mega CD delle prime opere, esplorando le possibilità offerte dalle cutscene e dal voice acting. Nel 1994 erano due i progetti ad alternarsi sulla scrivania del suo ufficio in Konami; il primo era Policenauts, nuova avventura grafica che aveva iniziato a prender forma durante lo sviluppo di Snatcher, e che secondo Hideo avrebbe dovuto porsi sullo stesso piano delle più grandi produzioni cinematografiche.

"Sono cresciuto sotto l'influenza dei grandi show figli della cultura occidentale: accendevo la tele ed erano quelli a tenermi compagnia. C'erano un paio di tematiche che mi interessavano particolarmente: le detective story e la science fiction. Sognavo di diventare un detective della squadra omicidi di Los Angeles, addirittura di diventare un CHiP sulle highway americane. Il motivo per cui ho scelto l'America per ambientare le mie storie è perché mi sembra che assumano proporzioni epiche".

Policenauts è un titolo che chiunque dovrebbe recuperare: resta tutt'oggi un'opera eccellente, immune all'invecchiamento tecnico ed efficace nel trattare tematiche attuali, e fu capace di portare la fama di Kojima aldilà dell'Oceano Pacifico ben prima che le console in tre dimensioni facessero il proprio esordio sul mercato. Era uno scatolone che offriva uno spaccato della filosofia creativa del celebre game designer, uno 'sneak peek' di tutto ciò che avremmo incontrato nel corso del decennio successivo.

L'altro progetto, invece, era il concept per una trasposizione tridimensionale della serie Metal Gear che, inizialmente, avrebbe dovuto debuttare per 3DO Interactive Multiplayer, tanto che nei file di sistema di Policenauts erano già presenti stralci di artwork dedicati ai membri di FOXHOUND e al personaggio di Meryl Silverbourgh. Yoji Shinkawa avrebbe preso in mano il design dei personaggi, mentre il lungo periodo di preproduzione passò attraverso numerose consulenze da parte di membri della SWAT team ed esperti di armi da fuoco.

Snatcher è la quintessenza del cyberpunk noir. In attesa dell'ultima fatica di CD Projekt RED, potrebbe riempire egregiamente il vostro tempo libero.

"Ricordo quando fu annunciata Playstation: all'inizio stavo giocando con il 3DO. Quando ho sentito le specifiche tecniche, non ci credevo. Ho provato a creare qualche poligono sperimentale di Metal Gear e quando ho iniziato a vederli muoversi ho pensato: 'Finalmente la tecnologia è qui! È geniale! Posso finalmente creare qualcosa di fantastico!'"

L'obiettivo divenne presto quello di realizzare il miglior gioco mai sviluppato sull'onnipresente hardware Playstation: per raggiungere questo obiettivo, Konami diede il via alla più costosa campagna di marketing mai intrapresa fino a quel momento, distribuendo milioni di demo e monopolizzando l'attenzione del Tokyo Game Show 1996, poco prima di approdare a Los Angeles in occasione della successiva edizione dell'E3.

Metal Gear Solid fu finalmente pubblicato nel 1998 e, a pochi mesi di distanza dalla release, fu universalmente eletto come uno dei migliori videogiochi mai realizzati; distribuito in 6 milioni di unità, fu un enorme successo commerciale e portò a casa una media del 94 su Metacritic, convincendo la stampa e varcando per primo il labile confine che esiste tra il medium videoludico e la produzione hollywoodiana, influenzando inevitabilmente l'evoluzione dello sviluppo software destinato all'intrattenimento.

"Il messaggio antinucleare che si trova nelle mie opere, deriva senza dubbio dai miei genitori. Loro sono nati nel 1930 e hanno vissuto i raid aerei su Tokyo. Credo di aver ereditato da loro il mio sentimento di disprezzo nei confronti della guerra. Quando sono entrato nel mondo del gaming, volevo assolutamente trasmettere questi messaggi al pubblico".

Hideo Kojima si trovò ad essere, improvvisamente, una celebrità internazionale. La sua firma venne legata a doppio filo con tutte le piccole e geniali intuizioni di game design che costellavano l'opera, mentre la componente narrativa aveva le carte in regola per farsi strada prepotentemente nel sottobosco di una cultura pop che, tra ingegneria genetica e minaccia nucleare, accolse a braccia aperte il lavoro del director.

Anche se Policenauts è passato quasi sotto silenzio al cospetto di Metal Gear, è senza dubbio una tra le migliori opere mai realizzate da Kojima.

Anche se spesso è stato criticato per le sue tempistiche bibliche, Kojima era un fiume in piena nella seconda metà dei 90': ancor prima che Metal Gear Solid debuttasse sugli scaffali di tutto il mondo, era già al lavoro sulla Tokimeki Memorial Drama Series, una trilogia di dating simulator che sarebbe diventata un juggernaut per la divisione giapponese di Konami. Nello stesso periodo, iniziò a lavorare come producer per Zone of the Enders, un action hack'n slash d'ispirazione anime a cui prese parte anche Shinkawa.

È difficile valutare il successo commerciale di Zone of the Enders, che fu pubblicato a marzo del 2001. Come mai? Chiederete voi. Beh, perché ZOE fu venduto assieme alla prima demo pubblica di Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty, titolo che ormai da tre anni monopolizzava le classifiche per il software più atteso della gen. Addirittura, i recensori dell'opera lo definirono degno di essere acquistato proprio perché includeva la suddetta preview, e l'operazione di marketing, nel lungo periodo, finì per danneggiare la legacy del titolo dedicato ai mecha.

I primi documenti di design per Metal Gear Solid 2, risalenti al 1999, mettevano in chiaro quale sarebbe stato il focus dell'opera: trattare tutti i temi sociali che ruotavano attorno alla digitalizzazione della vita quotidiana e delle forze armate. Il titolo avrebbe dovuto confondere il giocatore, portandolo al punto di faticare a distinguere la realtà dalla finzione e gli alleati dai nemici, ironizzando al tempo stesso sui cliché della società digitale e della gaming culture.

È giunta fino ai giorni nostri la leggenda del gigantesco bait legato al cambiamento del protagonista: Raiden era pensato per coinvolgere nella saga di Metal Gear anche quelle videogiocatrici che, secondo una ricerca, non avevano apprezzato il character development del primo episodio. Con un budget di 10 milioni di dollari, Hideo riuscì a sfruttare al massimo l'hardware di Playstation 2, e portò sotto la sua ala anche Harry Gregson-Williams, storico compositore dello studio di Hans Zimmer che mai più avrebbe abbandonato la saga.

Sons of Liberty debuttò finalmente a novembre del 2001 svelando al mondo il nuovo e misterioso protagonista. Solo negli Stati Uniti, i profitti dell'opera arrivarono a sfiorare gli 85 milioni di dollari e, nel giorno della release, tra Nord America e Giappone furono vendute più di un milione di copie. Inaspettatamente, Metal Gear Solid 2 riuscì persino a superare la reception del capitolo precedente, e fu elogiato per il livello di dettaglio grafico, una pietra miliare per le potenzialità di PS2 secondo Digital Foundry, oltre che per i sostanziali miglioramenti al gameplay.

Psycho Mantis parlava con il giocatore, leggeva il pensiero e muoveva il controller sfruttando la telecinesi. Quanti videogiochi hanno fatto qualcosa del genere?

Ben più importante, tuttavia, fu il riconoscimento dell'estremamente ambiziosa sceneggiatura di Kojima: ancora oggi Sons of Liberty viene considerato uno dei massimi esempi di videogioco postmoderno, avendo introdotto con successo le complesse tematiche della social engineering, dell'intelligenza artificiale, della metanarrativa e addirittura dell'incesto. L'opera divenne materia di studio presso diversi istituti accademici e, nel corso degli anni, perfino i ricercatori del MIT di Boston pubblicarono una serie di paper dedicati al titolo, esplorando il peso della disinformazione, le dissonanze cognitive e le relazioni con le massime opere filosofiche.

"Non so se i videogiochi siano arte in sé e per sé: li vedo più come un'arte collaborativa, una sintesi di numerosi aspetti in un unico prodotto che poi viene percepito come arte. La differenza più grande è che nell'arte tradizionale puoi dipingere una banana e dire al pubblico che è una mela; insomma, hai il controllo su quello che mostri al pubblico. Nei videogiochi, invece, devi tenere a mente la componente interattiva. Non puoi spingere completamente la tua visione sul giocatore".

Hideo Kojima era ormai il più famoso dipendente ad aver mai varcato le porte di casa Konami. La release di Metal Gear Solid 2 diede inizio ad un'impennata per il game designer, ormai chiamato in causa per valutare quasi ogni progetto che passasse per gli studi della casa giapponese. Dopo aver contribuito alla realizzazione del sequel di Zone of the Enders, Hideo si lanciò nel nuovo progetto Boktai: The Sun is In Your Hand, titolo per GameBoy Advance che si poneva l'obiettivo di inserire a pieno titolo la luce solare nelle meccaniche di gioco, spingendo i videogiocatori a rimanere all'aria aperta.

Questa piccola parentesi passò quasi sotto silenzio, perché la notizia che monopolizzava l'attenzione dei media era l'imminente sviluppo di Metal Gear Solid 3, apparentemente realizzato per hardware nex-gen. Tuttavia, la release di Playstation 3 continuava a slittare, e i vertici di Konami decisero che era giunto il momento di sganciare il kolossal, sacrificando parte dell'innovazione tecnica ma sfruttando al massimo la solida chiusura generazionale di Playstation 2.

Kojima era ben conscio della sfida che si parava di fronte al team: da tempo avrebbe voluto esplorare un'ambientazione outdoor, nel caso specifico la giungla siberiana, ma il rendering dei dislivelli coperti dalla fitta vegetazione rappresentava un limite tecnico invalicabile. L'altro obiettivo era quello di alzare notevolmente l'asticella del pacchetto, introducendo decine di meccaniche autoreferenziali e capaci di rompere la quarta parete, spingendo l'acceleratore sul concetto della metanarrativa e accendendo i riflettori sulla seconda linea temporale della saga.

L'introduzione di Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty è probabilmente il più grande 'bait' nella storia dei videogiochi.

"So che mia madre sta giocando Snake Eater, e mi fa molto piacere. Ricordo che quando è riuscita a sconfiggere The End, il cecchino, mi ha chiamato e mi ha detto: "è fatta! Sono arrivata in fondo!".

"Credo che lo scontro con The End rappresenti al meglio il feeling di gioco aperto che volevamo trasmettere nell'opera. È una battaglia di attrito che può andare avanti per ore, rispetto ai classici combattimenti in cui l'avversario sta in piedi di fronte al giocatore. È possibile evitare il boss in due modi: uccidendo il nemico nella fase iniziale oppure salvando la partita e aspettando una settimana per poi trovarlo morto di vecchiaia. Mi piace pensare che feature di questo tipo non si possano trovare in altri videogiochi".

Metal Gear Solid 3: Snake Eater debuttò il 17 novembre del 2004, sfruttando al massimo le potenzialità di Playstation 2. Le vendite, tuttavia, si attestarono intorno alla metà rispetto a quanto fatto registrare dall'episodio precedente, e anche il responso della critica fu meno impattante che in passato: addirittura, Edge arrivò a bocciare pesantemente la sceneggiatura dell'opera definendola 'terribile'. In ogni caso, il prequel è tutt'oggi considerato uno dei migliori videogiochi mai realizzati per il suddetto hardware, e nel tempo emerse come 'fan favourite' piazzandosi più volte in vetta alle classifiche di preferenza stilate dagli utenti.

La popolarità e la legacy di Big Boss furono talmente incisive da generare un intero, nuovo filone temporale di produzioni, cresciute e sviluppatesi fino a toccare l'apice con il recente Metal Gear Solid V: The Phantom Pain. Con la conclusione del post lancio di Snake Eater, Kojima annunciò per la prima volta la sua volontà di abbandonare lo sviluppo di Metal Gear: sarebbe stato solamente un assaggio di una lunga serie di addii mai concretizzatisi fino alla recente e pesantissima diatriba con Konami.

Quando su richiesta dei fan fu messo sul piatto il concept di Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots, Hideo non volle prendere parte al progetto, lasciandolo nelle sapienti mani del collega Shuyo Murata, perché considerava la sua esalogia ormai conclusa. Accadde però che il team al lavoro sul titolo ricevette pesanti minacce di morte, situazione che spinse il designer a prendere nuovamente le redini della produzione assumendo il ruolo di codirettore.

Kojima ha dichiarato che se avesse dovuto scegliere un protagonista al di fuori di Raiden, Snake e Big Boss, la decisione sarebbe ricaduta senza dubbio su The Boss.

Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots nasceva con l'arduo compito di chiudere una volta e per sempre le vicende di Solid Snake, obiettivo che raggiunse diventando l'esclusiva Playstation 3 più venduta dietro Gran Turismo 5, avendo distribuito 3 milioni di copie il giorno del lancio e guadagnandosi il titolo di prima opera a sfruttare interamente i 50GB di Blu Ray dual layer supportati dall'hardware; sarebbe stata proprio quest'ultima caratteristica, a detta di Kojima, ad impedire l'approdo del titolo sulle macchine di Microsoft.

"All'inizio doveva finire tutto con MGS2. Poi ho fatto MGS3 e mi sono detto 'Ok, questo è l'ultimo'. Poi tutti si sono lamentati, volevano altre risposte! Allora ho deciso di dare quelle risposte, e MGS4 è diventato l'ultimo tassello del puzzle. Non sono i PR a costringermi a dire che questo sarà l'ultimo, sono io a dirlo con il cuore, altrimenti mi costringeranno ancora a farne un altro!".

Guns of the Patriots riportò la reception ai fasti dei primi due capitoli tridimensionali, facendo sentire fino all'ultimo pixel il salto generazionale e mettendo sul piatto una trama che legava egregiamente con il retaggio della saga. Nel corso dei successivi The Game Awards 2008 ospitati da MTV, Kojima ricevette un premio alla carriera, che commentò con queste parole: "Volevo precisare che, nonostante questo fantastico premio, non ho alcuna intenzione di ritirarmi: continuerò a creare videogiochi finché sarò vivo".

Ancora una volta, esaurito il post lancio, Hideo annunciò che sarebbe stata l'ultima occasione in cui avrebbe lavorato ad un episodio di Metal Gear Solid. Ma nel corso dell'E3 2009, contro ogni pronostico, dichiarò che avrebbe lavorato sia a Metal Gear Rising: Revengeance, progetto sviluppato dal suo team in collaborazione con Platinum Games, sia a Peace Walker, titolo in cui avrebbe addirittura ricoperto i ruoli di scrittore e direttore. Fu proprio in questo periodo, tuttavia, che la fine del suo rapporto con la serie iniziò ad apparire una prospettiva plausibile, specialmente a seguito del riconoscimento-non riconoscimento di Rising, situazione che mise nero su bianco i dubbi di Kojima riguardo il futuro del brand.

Ormai, il suo ruolo nella compagnia superava di gran lunga quello del semplice operativo: nel 2011 venne promosso vicepresidente esecutivo e corporate officer di Konami Digital Entertainment, iniziando a supervisionare numerosi progetti tecnologici tra cui spiccava il Fox Engine, nuovo motore proprietario che debuttò con Pro Evolution Soccer 2014. Attorno al 2012 iniziarono poi ad emergere le prime voci che accostavano la firma di Hideo al brand dormiente di Silent Hill, connubio che fu ufficializzato proprio da quella stessa Konami che avrebbe staccato la spina al progetto.

Guillermo Del Toro e Hideo Kojima si frequentano da parecchio tempo, e hanno tentato di coronare il rapporto di amicizia con la realizzazione di Silent Hills.

Nel 2014, Silent Hills fu annunciato al grande pubblico attraverso un breve videogame teaser che sarebbe divenuto cult, nome in codice PT. La produzione sarebbe stata supervisionata dallo stesso Kojima assieme al regista Premio Oscar Guillermo Del Toro, e si poneva lo scopo di riportare in auge il leggendario survival horror, ormai vivo solamente nella memoria degli appassionati e schiacciato dallo strapotere mediatico di Resident Evil. Il gioco completo non avrebbe mai visto la luce del sole, e perfino la demo sarebbe stata definitivamente cancellata dal PS Store: il trentennale rapporto tra Hideo e Konami, infatti, stava per giungere ad un punto di non ritorno.

Nel corso della GDC 2013, Kojima svelò al mondo l'esistenza di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain quale ultimo titolo che avrebbe portato la sua firma, sottolineando come stavolta si trattasse di un addio definitivo. Fin dalla preproduzione, il designer si trovò a vivere un pesante conflitto: "Come creatore, sento la necessità di esplorare i tabù e le tematiche più rischiose, ma come produttore sento di dover abbassare i toni per raggiungere un'audience più vasta possibile".

Con il titolo ormai schedulato per una release verso la fine del 2015, a marzo dello stesso anno iniziò a prendere forma quel patatrac che avrebbe per sempre separato il cammino di Kojima dal futuro di Konami. Ancora oggi sono poco chiari i motivi della debacle: c'è chi dice che Hideo abbia espresso la volontà di abbandonare la compagnia in seguito al lancio dell'opera, ottenendo per tutta risposta la revoca del titolo di vicepresidente e l'erogazione di una serie di misure restrittive nei confronti dei dipendenti di Kojima Productions, privati di qualsivoglia genere di comunicazione interna.

Numerosi report giornalistici, invece, hanno citato gli effetti di una pesante ristrutturazione aziendale volta ad allineare gli schemi produttivi di Konami alle esigenze del mercato, con un focus particolare verso le iniziative legate al mobile gaming, ipotesi poi confermata dal CEO Hideki Hayakawa. Quel che è certo, è che qualsiasi riferimento a Kojima Productions fu rimosso dagli asset di The Phantom Pain, al punto che nemmeno sulla copertina della copia fisica compariva lo storico logo associato alla serie. Dopo aver prolungato la permanenza di Kojima fino al periodo di post release di Metal Gear Solid V, a dicembre 2015 fu emanata una comunicazione ufficiale che annunciava la cessazione del rapporto di lavoro con il game designer.

"Il futuro dei videogiochi è arrivato, e adesso bisogna riuscire a raccontare una storia di livello senza costringere il giocatore sui binari imposti dal designer. Questa era la filosofia alla base di The Phantom Pain, ma credo di dover lavorare in prima persona per spingere il medium ancora oltre, fino a lasciare il giocatore concretamente libero di prendere la direzione che vuole, di plasmare completamente la sua esperienza. Anziché una storia sola, a quel punto, ce ne saranno almeno un centinaio diverse".

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Nel frattempo, The Phantom Pain raggiunse le vetrine dei negozi e, come da tradizione, fu universalmente acclamato dalla critica di settore, arrivando a guadagnare 153 milioni di dollari nel solo giorno della release. Questa volta, tuttavia, era evidente la mole di contenuti tagliati, probabilmente figli delle vicissitudini tra Konami e Kojima, fattore che non impedì assolutamente il raggiungimento di una media Metacritic attorno al 95. Con l'intero universo del gaming stretto attorno a sé, Kojima annunciò di avere grandi progetti per il futuro, lasciando Konami in quello che probabilmente sarà ricordato come il momento più buio della sua storia.

Prima della fine del 2015, Hideo annunciò la nuova venuta di Kojima Productions, questa volta nella forma di studio indipendente e partner di Sony Computer Entertainment: il primo titolo su cui avrebbe lavorato sarebbe stato una nuova esclusiva Playstation. Fu così che, nel corso dell'E3 del 2016, Kojima si prese il palco della conferenza Sony gridando quel liberatorio "I'm back!" che avrebbe velocemente fatto il giro del mondo: non era solamente un ritorno fisico, ma soprattutto psicologico, una rinascita per quel vulcano creativo troppo a lungo messo da parte per assecondare le esigenze del mercato.

Nella stessa occasione vedemmo per la prima volta Death Stranding in quel mistico teaser che pur mostrando così poco diceva così tanto dell'urgenza espressiva dell'autore, una mente che forse iniziava a sentire il peso di quelle catene 'corporate' che lo tenevano saldamente ancorato con i piedi per terra. Del resto, siamo di fronte ad un uomo che, da ragazzo, scriveva racconti tutti i giorni per sfuggire alla pressione del dogma sociale, un regista mancato che dopo anni di incrollabile ricerca è riuscito a trovare la sua dimensione. Un eterno giovane che, finalmente, è tornato ad essere libero.

"Viviamo in una società in cui, a prescindere dalla domanda che vuoi porre, puoi usare internet e ottenere immediatamente una risposta. Cos'è divertente? Cosa noioso? Cosa c'è in questo gioco? Cosa manca? Tutti chiedono cosa sarà Death Stranding, e io voglio che vivano anche questa parte dell'esperienza, perché fa parte del videogioco. Voglio vedere le persone discutere e speculare, formulare teorie finché non arriveranno le risposte. Il gioco non è ancora finito, ma in realtà è come se avesse già avuto inizio".