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Dietro il Videogioco: La storia di Shigeru Miyamoto - editoriale

La filosofia di design del padre dei videogiochi.

Sonobe, primi anni '60: il piccolissimo paesino del distretto di Kyoto è completamente immerso nella natura, e i mosaici di colline non perdono occasione per abbracciare le sponde di qualche stagno dimenticato all'ombra dei salici. Ancora oggi la vicina Miyama è una delle mete più visitate dai turisti interessati agli splendidi panorami della campagna giapponese; figuriamoci come doveva essere all'epoca, in una regione che aveva lottato per restare pacifica persino all'ombra dello spettro della guerra.

Il castello feudale era l'unica struttura imponente ad ergersi in mezzo ai campi circostanti, luoghi ancora lontani dalla smania urbanistica dell'uomo, campagne dominate dal verde e attraversate da decine di sentieri non ancora battuti. Proprio in quei boschi, c'era un ragazzino che trascorreva gran parte dei suoi pomeriggi all'avventura costeggiando i corsi d'acqua, facendosi largo tra le fronde e fermandosi ogni giorno davanti all'entrata di una caverna buia nella quale non aveva mai trovato il coraggio di entrare.

Un giorno, il giovane Shigeru Miyamoto raccolse tutta la sua determinazione e varcò la soglia, scoprendo il mondo nascosto nel fianco della collina; probabilmente, dentro quella grotta doveva esserci qualcosa di fantastico, perché sarebbe stata proprio quell'innocente esperienza a gettare le fondamenta per l'intramontabile universo di The Legend of Zelda.

Miyamoto San, il dio dei videogiochi, il padre di Nintendo e probabilmente il più grande game designer di tutti i tempi aveva trascorso un'infanzia spensierata, tranquilla, all'insegna della fantasia. Figlio di un'insegnante di inglese, crebbe proprio nel mezzo della natura, portando avanti con diligenza l'attività scolastica e coltivando le sue grandi passioni: i manga, specialmente quelli concepiti secondo la formula del Kishōtenketsu, vicini alla struttura classica della fiaba, e l'intrattenimento occidentale, con un'attenzione particolare verso il genere western.

Le campagne vicino Kyoto, tra Sonobe e Miyama, sono state le grandi ispirazioni per la creazione del regno di Hyrule.

Shigeru chiuse la pratica universitaria conseguendo una laurea in design industriale al College Municipale di Kanazawa, ma non si buttò immediatamente nel mondo del lavoro. Allora Nintendo era una compagnia relativamente piccola, versata nella creazione di carte, figurine e altri beni, e aveva solo da poco inaugurato un nuovo ramo d'azienda specializzato in giochi e videogiochi. Così, dal momento che il padre del ragazzo vantava qualche conoscenza nella società, organizzò un colloquio con il presidente Hiroshi Yamauchi, e Shigeru iniziò la sua carriera come apprendista nel reparto destinato al planning.

Miyamoto divenne il primo artista ad essere accolto sotto l'ala della Grande N, inaugurando la seconda generazione creativa dell'aspirante multinazionale: il suo primo lavoro fu proprio la stesura dei disegni relativi a Sheriff, macchina che avrebbe caratterizzato la prima era coin-operated della casa di Kyoto. Nel 1981, un anno più tardi, Nintendo dovette ridimensionare la sua ambizione nel mercato americano, perché Radar Scope, opera ispirata a Space Invaders, non raggiunse assolutamente il successo sperato.

Sommersa da copie invendute, la compagnia decise di puntare tutto sul giovane Shigeru, allora l'unico impiegato disponibile, per trasformare Radar Scope in qualcosa di profondamente diverso, qualcosa che avrebbe avuto più chances di bucare il confine del Pacifico. Rispondendo alla chiamata, Miyamoto iniziò immediatamente a rivoluzionare il medium: per la prima volta, infatti, un videogioco sarebbe nato dalla stesura della storyline anziché dal classico design del gameplay.

Tutto ebbe inizio da un triangolo amoroso tra un muratore, una bellissima principessa e un gigantesco scimmione: l'idea era quella di reinterpretare le dinamiche che coinvolgevano Popeye, Bruto e Olivia, anzi, Nintendo era convinta di riuscire a procurarsene i diritti, ma alla fine dovette ripiegare sull'ispirazione del giovane designer, che pescò a piene mani da King Kong e da La Bella e la Bestia. Il nemico di "Jumpman", protagonista poi trasformatosi in Mario, avrebbe dovuto essere un gorilla simpatico e carismatico, e non il classico villain malvagio dell'epoca arcade.

Sheriff fu il primo titolo sul quale Miyamoto lavorò come artista, e il tratto si nota immediatamente: notate similitudini tra la donzella in pericolo e l'ormai onnipresente Peach?

Qualcosa stava iniziando a bollire in pentola, ma le skill di programmazione di Miyamoto non erano all'altezza del compito, pertanto dovette fare affidamento sull'esperto team di Nintendo. La formula era piuttosto inusuale, al punto che il ragazzo dovette convincere il resto del team a programmare livelli multipli, feature che in principio era vista come un inutile "more of the same". Gunpei Yokoi, supervisore del progetto, vedeva un ostacolo nel perfezionismo di Shigeru: il giovane designer aveva immaginato sprite e animazioni uniche per ogni personaggio, oltre ad un gameplay che avrebbe deviato pericolosamente dal binario tipico dell'epoca.

Quando Nintendo of America si trovò per le mani la versione beta, costruita sui vecchi circuiti di Radar Scope, temeva che l'abbandono degli onnipresenti generi maze e shooter avrebbe penalizzato l'operazione, ma Hiroshi Yamauchi, ancora presidente, riconobbe immediatamente il valore del prodotto. Così, due prototipi furono dati in gestione ad un paio di riluttanti commercianti di Seattle e, inaspettatamente, la macchina si rivelò una piccola miniera d'oro, al punto che i produttori di home console iniziarono a darsi battaglia per accaparrarsi i diritti per il porting, giunti infine nelle mani di Coleco.

Un exploit del genere non poteva che meritare almeno un paio di sequel, ma Shigeru decise di spostare il focus su Jumpman, modificandone il design in modo tale da renderlo più affine alla professione di idraulico: così nacque Mario, personaggio che assieme al fratello Luigi sarebbe divenuto protagonista di Mario Bros, un arcade innovativo ispirato al setting della fognatura Newyorkese ed erede spirituale del dimenticato Joust.

Sarebbe stata l'ultima fatica coin-operated del designer, perché negli anni successivi Nintendo si gettò a capofitto nel mercato console attraverso il suo Entertainment System, piattaforma che vide i primi sforzi di Shigeru concentrarsi sulla mole di titoli sportivi. Pochi immaginavano che, di lì a breve, quella che appariva come un'industria in stato comatoso sarebbe stata resuscitata da una coppia di produzioni apparentemente irripetibili.

Lo Stage 1-1 di Super Mario Bros è considerato il miglior livello mai creato e, in effetti, ogni elemento è posto con una dovizia tale da trasmettere all'utente tutte le informazioni necessarie.

A differenza della maggior parte dei producer del tempo, Miyamoto era convinto che sarebbe stato meglio concentrarsi sul gameplay piuttosto che sul sistema di high scores e, soprattutto, pescare dai prodotti di maggior successo di casa Nintendo, i cosiddetti "athletic games", grandi precursori del platform. La scelta di utilizzare Mario come protagonista fu il risultato degli astronomici dati di vendita relativi alla produzione arcade, ed il prefisso Super fu introdotto solamente in seguito alla creazione dell'ormai celeberrimo Fungo.

"Siamo stati i primi a ideare il genere, quindi sembrava una scelta naturale celebrare l'era delle cartucce con Super Mario Bros.". Non solo fu ridefinito il sistema del gameplay nel side scrolling, ma fu allora che iniziò a prendere forma anche la 'lore' scaturita attorno al Regno dei Funghi; il vero, grande impatto è tuttavia da ricercare nel game design: il Mondo 1-1 è tutt'ora considerato un livello perfetto, e conteneva già all'epoca tutti gli strumenti necessari per catturare nel vortice sistemi chiunque avesse impugnato il gamepad.

Tra le altre cose, si trattava di uno dei primi lavori di Koji Kondo, storico sound designer di Nintendo, e spalancò le porte alla presenza in pianta stabile della musica all'interno del software, allora sfruttata solo quale espediente per attirare l'attenzione. È inutile girarci intorno: in Super Mario Bros. c'era l'essenza stessa del videogame, ed è ancora oggi un'esperienza capace trasmettere tutte le potenzialità alla base del medium anche al di fuori del relativo substrato culturale.

Con 44 milioni di copie piazzate nella sola release per NES, si tratta di uno fra i videogiochi più venduti di tutti i tempi e, di gran lunga, il titolo più celebre mai realizzato, destinato ad incarnare per un trentennio la filosofia della Nintendo Difference. Gli incassi da capogiro giustificarono non solo la costruzione di un sequel, ma addirittura di una gigantesca legacy, cresciuta attorno a titoli sportivi, RPG, giochi automobilistici e party game.

The Legend of Zelda non fu certo il primissimo esempio di gameplay non lineare, ma fu senza dubbio il titolo che ne fece l'uso più coerente e consapevole.

Super Mario Bros., che vide luce nel 1985, fu sviluppato in parallelo ad un'altra IP, una completamente originale e scaturita dalla fantasia del solo Miyamoto. The Legend of Zelda avrebbe debuttato cinque mesi più tardi quale precursore del concetto di gameplay non lineare: l'opera sarebbe stata ambientata in un mondo completamente aperto, un regno in cui aguzzare l'ingegno per superare una serie di stanze ed enigmi di difficoltà crescente.

L'anima embrionale di Zelda trovava le sue radici nell'infanzia di Miyamoto, in tutte le avventure che il designer visse da ragazzo esplorando le campagne vicino Sonobe, imbattendosi in laghetti, montagne e la sopracitata caverna. L'obiettivo era trasmettere al giocatore la sensazione della meraviglia, immergendolo in un mondo apparentemente sconfinato e permeato da una profondità e una libertà di scelta che fino ad allora non avevano mai trovato spazio fuori dalla cornice delle esperienze testuali.

"Quando ero un bambino ed esploravo le campagne, mi è capitato di imbattermi in un lago. È stata una vera sorpresa trovarlo lì. Sapete, quando ho iniziato a viaggiare senza portarmi dietro una cartina, cercando di trovare da me il sentiero, ho conosciuto la sensazione che si prova imbattendosi in panorami fantastici. È stato allora che ho realizzato cosa significasse vivere un'avventura".

The Legend of Zelda è, senza ombra di dubbio, uno dei titoli più impattanti nella storia dello studio del game design. Oltre a materializzare dal nulla il genere action-RPG, oggi tra i più presenti sul mercato, introdusse una serie feature divenute lo standard, come ad esempio i dialoghi attivi con gli NPC e il sistema di salvataggio.

Starfox per Super NES fu uno tra i primi videogame a sfruttare poligoni tridimensionali.

In effetti, gran parte dell'architettura videoludica moderna si deve proprio a questa coppia di titoli, sviluppati in contemporanea secondo due focus completamente distinti: era proprio Myiamoto il responsabile della separazione tra "Zelda ideas", ispirazioni votate alla libertà d'azione, e "Mario ideas", meccaniche figlie del concept lineare.

The Legend of Zelda fu il primo titolo per NES a superare il milione di copie vendute, e gettò le basi per The Adventures of Link, progetto intenzionato a costruire sui sistemi fino a disegnare gli assiomi che avrebbero dato i natali a tutti i classici del genere, nati come emuli e cresciuti fino a raggiungere una dignità propria. Ormai, in casa Nintendo erano certi che qualsiasi progetto toccato da Myiamoto si sarebbe trasformato in oro, e i fatti diedero ragione al direttivo: la golden age del NES vide la sua firma accostarsi a classici come Kid Icarus, Excitebike, Ice Climbers e Super Mario Bros. 3, fino ad allora l'opera dedicata all'idraulico meglio recepita dalla critica.

All'orizzonte stava spuntando il Super Nintendo, e Shigeru fu messo alla direzione di una nuova unità, quella di Analysis & Development, che aveva il compito di supervisionare tutte le IP destinate ad approdare sulla piattaforma. La console avrebbe dovuto esordire con il botto: quindici mesi prima del lancio il team si mise al lavoro sul racing F-Zero, ma l'attenzione del pubblico era calamitata da Super Mario World, il primo titolo della baffuta mascotte a poter fruire della rinnovata palette cromatica.

Per la prima volta fu mostrato al mondo Yoshi, accolto nell'entusiasmo generale, e il nuovo successo portò alla joint venture con Square co. che avrebbe generato Super Mario RPG, deriva ruolistica che vide lo stesso Miyamoto prendere le redini del progetto, inaugurando il filone che avrebbe dato i natali a Paper Mario. Nel frattempo, il programmatore Jex San convinse Shigeru a sperimentare la tecnologia tridimensionale del chip Super FX nell'imminente release di Starfox, titolo che vide il ritorno dell'ormai onnipresente producer nell'inusuale ruolo di creative director.

Super Mario 64 è una pietra miliare dell'industry, un titolo che ha rivoluzionato per sempre l'evoluzione del platform in tre dimensioni.

Vale la pena riflettere sul fatto che, ai primi del '90, Miyamoto aveva dato i natali al platform più famoso di tutti i tempi e al genere action-RPG, oltre ad essersi cimentato nel racing game, nell'IP sportiva e nella simulazione di volo, il tutto senza mai sbagliare un colpo. Anche Donkey Kong, la sua prima creatura, trovò uno spazio nella storia grazie alle sapienti mani di Rare, che riuscì a ricavarne un universo indipendente mai più uscito dai confini della grande N.

Finalmente, Shigeru ultimò i lavori sulla produzione di The Legend of Zelda: A Link to the Past, l'opera che avrebbe fissato nel granito tutti gli elementi alla base del franchise, tra mondi paralleli e spade leggendarie. Ancora oggi, A Link to the Past è considerato uno dei più grandi capolavori nel portfolio di Nintendo, e rappresenta uno di quei rarissimi casi di completa immunità al processo di invecchiamento software: le meccaniche introdotte allora sono divenute parte delle fondamenta del mercato contemporaneo.

Dopo aver progettato numerose IP per GameBoy, molte delle quali non erano altro che porting dei grandi successi per home console, Miyamoto lavorò a stretto contatto con Satoshi Tajiri per trasformare l'ambizione dietro Pokémon Rosso e Blu in realtà, lasciando la sua impronta anche nel secondo media franchise più redditizio a varcare le porte del colosso di Kyoto: il rivale del protagonista, nella versione originale, fu chiamato Shigeru proprio in suo onore.

Con l'avvento delle tre dimensioni, in molti vedevano l'intero genere del platform giunto al capolinea e sacrificato sull'altare della grafica realistica, ma Miyamoto, tornato alle redini del game design, era di tutt'altro parere: con la release di Super Mario 64, riuscì non solo trasportare egregiamente il suo personaggio più celebre nel vivo della generazione successiva, ma arrivò a gettare le basi per un motore fisico e un sistema di gameplay divenuti indissolubili dalle avventure tridimensionali dell'idraulico.

In epoca recente è stato piuttosto raro vedere Miyamoto scendere in campo al di fuori della cornice di Mario: Pikmin è uno dei più moderni concept scaturiti dal suo ingegno.

L'era del Nintendo 64 vide la sporadica comparsa del suo nome tra le file dei designer e dei director: oramai era noto come il producer con la P maiuscola. Salvo rari casi, come ad esempio Pilotwings, Starfox 64, il futuro Pikmin e, ovviamente, tutte le proprietà intellettuali con Mario protagonista, da quel momento in avanti si sarebbe dedicato ad un più consono lavoro di supervisione creativa. Non accadde, però, nel caso di The Legend of Zelda: Ocarina of Time, primo progetto della casa ad essere sviluppato da numerosi team e directors distinti, tutti coordinati dallo stesso creatore di Link.

Ocarina of Time è considerato da più di un'autorità del settore il miglior videogioco mai realizzato, un'opera seminale capace di introdurre decine di meccaniche rivoluzionarie, tra cui Z targeting e meteo dinamico, preparando il terreno per innumerevoli capolavori dell'industria. Nel frattempo, tutti i grandi successi dei primi anni '90 stavano trovando nuova linfa vitale sul sistema tridimensionale, e lo stesso Mario apparve lungo una serie di acclamati spin-off, dal party game fino al revival delle corse su kart.

L'era del Game Cube fu quella che vide il minor apporto creativo da parte di Shigeru: varcò il confine della produzione solamente attraverso Pikmin, la sua nuova creatura originale, e Luigi's Mansion, opera inizialmente realizzata dal solo Miyamoto per mostrare al direttivo le potenzialità dell'hardware, salvo poi trasformarsi in un prodotto stand alone. Ovviamente, anche nel ruolo di producer il suo apporto fu sempre determinante, come spesso sottolineato da numerosi game director, e con Metroid Prime, ad esempio, raccolse l'eredità del designer Yokoi, suo caro amico tristemente scomparso durante i lavori.

Dopo aver realizzato al fianco di Hideo Kojima Metal Gear Solid: The Twin Snakes, la maggior parte dei suoi sforzi si concentrarono nel design dell'infrastruttura Wii, hardware che incarnava gran parte della sua nuova filosofia creativa: da qualche tempo, Shigeru era volenteroso di tornare ad unire le famiglie, obiettivo perseguito attraverso titoli come Wii Fit, Wii Sports e tutte le altre esperienze disegnate attorno alla condivisione da salotto.

L'impatto di Shigeru si può comprendere facilmente pensando all'intramontabile design delle opere dedicate a Mario: oltre 20 anni dopo la prima istanza in 3D, il gameplay alla base dell'IP non è cambiato di una virgola.

Il suo ruolo principale era proprio quello di limare il design dei controlli per premiare le funzionalità dei sensori di movimento, obiettivo che raggiunse in buona parte dei titoli di bandiera tra cui The Legend of Zelda: Skyward Sword, il cross generation Twilight Princess e le istanze touch per Nintendo DS; tornò in cabina di comando in occasione di Super Mario Galaxy e Super Mario Galaxy 2, straordinari successi per i quali, come direttore creativo, ideò le fondamenta alla base del rinnovato gameplay.

È importante precisare che stiamo analizzando solamente una microscopica parte della gigantesca "gameography": il suo nome figura nei crediti di una frazione prossima al 90% delle IP scaturite dall'ingegno di Nintendo, laddove quasi tutte conobbero il suo tocco sotto forma di consulente, produttore o ideatore di sistemi. L'instancabile lavoro di produzione proseguì anche nella generazione WiiU - 3DS, ma di lì a breve le cose sarebbero cambiate: Satoru Iwata, infatti, ci avrebbe lasciati a luglio del 2015.

Con la morte di Iwata, Shigeru assunse il ruolo di Representative Director, una sorta di presidente reggente, fino alla nomina di Tatsumi Kimishima; dopodiché, come Creative Fellow, sarebbe divenuto assieme a Takeda il consulente di rango più alto nel direttivo della compagnia. La presenza istituzionale finì per tenerlo lievemente più distante dal mondo delle proprietà intellettuali, eppure, lo scorso anno, il suo nome figurava tra i creativi dietro Super Mario Odissey, e il team al lavoro sull'opera ha definito "incalcolabile" il contributo di Myiamoto per la buona riuscita del progetto.

Insomma: siamo di fronte ad un vero e proprio titano, un uomo capace di salvare con le sue sole forze l'intera industria del videogioco. Nei primi anni '80, infatti, il medium stava conoscendo la peggior crisi della sua storia, scaturita dall'enorme numero di produzioni 'low effort, low quaility' immesse sul mercato, situazione che fu rivoluzionata dall'esordio di Super Mario Bros., opera che avrebbe cambiato per sempre la percezione del videogame nella cultura di massa.

L'E3 è sempre stato uno dei palchi preferiti dal maestro per mostrare la sua verve.

Qual è il segreto di Shigeru Miyamoto? Beh, la sua filosofia di design è più che mai particolare: non amando i focus groups, Shigeru ha sempre testato da solo le produzioni di casa Nintendo affermando che, se gli fossero piaciute, era certo che sarebbero state apprezzate anche dal pubblico. Parlando della serie di Pokémon, ad esempio, disse: "Per far sì che un prodotto venda, che diventi popolare, bisogna amare ciò che si sta facendo, in modo da costruire un'esperienza prima di tutto amata dallo stesso creatore. Questa è l'idea che tutti dovrebbero avere realizzando un videogame".

Questa concezione, definita dallo stesso Myiamoto come "kyokan", punta a far provare al consumatore finale le stesse sensazioni già esperite dal game designer. Per raggiungere questo scopo, Shigeru ha sempre puntato su una serie di tester molto speciali, ovvero la famiglia e i conoscenti, perché era fermamente convinto che la cosa più importante fosse conoscere il parere di un'audience aliena alla cultura del gaming, capace di accendere i riflettori sull'accessibilità della produzione.

Secondo questa filosofia, la fase di sviluppo di tutti i suoi progetti ha inizio sempre e solo dal secondo livello in avanti, e lo 'Stage 1' non è altro che l'ultimo tassello del puzzle: "Per essere divertente un gioco deve essere sempre facile da capire: deve bastare uno sguardo per comprendere immediatamente cosa fare. Deve essere strutturato in modo da intuire lo scopo del gioco a prima vista e poi, se non ce la fai a superare la prova, te la prendi con te stesso e non con il gioco. Inoltre, deve essere divertente anche per chi ti sta intorno e ti guarda giocare".

Non è mai stato un amante dell'evoluzione grafica, ma ha più volte dichiarato che si tratta di un elemento che necessita del suo spazio nei confini del medium. Da parte sua, ha sempre puntato sulle cutscene renderizzate in tempo reale, mai sulle cinematiche prerendered, perché ritiene che il focus debba rimanere saldo sulla "game continuity" e sul videogioco come esperienza interattiva e divertente.

Un genio a 360°.

Dopo aver affermato che non avrebbe mai realizzato un "videogioco simile ad un film", spiegò che preferiva un approccio agile e poco impattante sulle meccaniche, in modo da poter rivoluzionare completamente il gameplay anche a ridosso del lancio, e a sostegno di questa tesi ha citato più volte Ocarina of Time, opera che fu sostanzialmente modificata proprio nei mesi antecedenti alla release.

In effetti, in Ocarina of Time troviamo 90 minuti di piccole cutscenes implementate tramite il motore di gioco; Miyamoto è convinto che ogni team dietro un prodotto disponga di una serie limitata di energie, e che per evitare il crunch sia fondamentale identificare i sistemi più importanti, le fondamenta del progetto, e non faticare inutilmente sui "fronzoli". "Piuttosto che sprecare un'incalcolabile dose di tempo ed energia sulle sequenze cinematiche, trovo molto più sensato testare i sistemi interattivi e limare ogni sfaccettatura del gameplay", disse nella cornice dell'esordio di Link nelle tre dimensioni.

Più volte si è detto affascinato dalle sensazioni scaturite negli utenti grazie ai capitoli tridimensionali di Mario. Parlando della versione 64, disse: "La cosa fantastica di Mario 64 era il modo in cui Mario, per la prima volta in 3D, si poteva muovere liberamente. Era un concetto rivoluzionario e a un certo punto ho iniziato a pensare che quello che stavo creando non avrebbe necessariamente dovuto essere un gioco".

Da quel momento iniziò a ricercare "l'ingrediente segreto" per il successo dell'opera: "Sviluppando Galaxy, ho iniziato a chiedermi cosa rendesse il mondo di Mario unico rispetto a quello di altri giochi in 3D. Sto parlando di qualcosa che esula da elementi come la grafica e la trama".

La costante ricerca del "cuore" dell'IP divenne un elemento fondamentale per il suo procedimento creativo e, ad esempio, espresse una teoria riguardo quello di The Legend of Zelda durante il post lancio di Twilight Princess: "La densità e la rarefazione si alternano armoniosamente: questo è un aspetto essenziale di Zelda. In Twilight Princess c'è stato un momento in cui si è perso l'equilibrio. Quando le dimensioni dell'opera crescono troppo, capita che i contenuti non riescano a tenere il passo, oppure un contenuto finisce per interferire con altri, rovinandoli. Alla fine, diventa inevitabile realizzare che è proprio il controllo dell'equilibrio tra densità e rarefazione a fare uno Zelda."

Nel 2002, poi, ha reso pubblica la sua avversione per il genere RPG: "Credo che negli RPG il giocatore inizi a giocare in manette, senza potersi muovere. Poi, gradualmente, è come se imparasse a camminare e muovere le mani, si libera lentamente dal fardello iniziale, e alla fine si sente potente. Quello che ottieni dall'esperienza RPG è una sensazione di felicità, ma non ritengo che tutto quello che c'è nel mezzo sia intrinsecamente divertente da giocare. In un titolo del genere, tutti possono diventare molto forti; con Mario, invece, se non sei forte probabilmente non lo diventerai mai".

Nonostante lo sfrenato attaccamento al gameplay, Shigeru è stato un pioniere della tecnica: dopo aver popolarizzato il side-scrolling attraverso Super Mario Bros., fu il primo sviluppatore ad implementare poligoni tridimensionali con Starfox per Super NES e, durante i lavori su Super Mario 64, inventò sia il gamepad analogico sia la gestione dinamica della telecamera. The Legend of Zelda fu uno tra i primi esponenti del genere open world e della filosofia di gameplay non lineare, ma soprattutto introdusse la tecnologia del Battery Backup Saving, che consentì l'implementazione dei moderni sistemi di salvataggio in sostituzione delle obsolete password.

Al di là dei riconoscimenti interni, le opere di Miyamoto hanno sempre raggiunto un enorme successo commerciale: Super Mario, con 400 milioni di copie vendute, è tutt'ora il secondo franchise videoludico più redditizio di tutti i tempi. Le sue IP, da Super Mario World a Mario 64 passando per The Legend of Zelda, Wind Waker e Twilight Princess, sono risultate top seller sulle rispettive piattaforme, mentre Wii Sports è addirittura riuscito, col oltre 82 milioni di unità piazzate, a ritagliarsi uno spazio personale accanto ai risultati del franchise di bandiera.

Per comprendere l'impatto del producer nel mondo del game design non serve cercare tra le migliaia di premi e onorificenze emesse a suo nome, ma basta leggere ciò che disse di lui Warren Spector, creatore di Ultima e Deus Ex: "Ho incontrato Myiamoto, e lui mi ha messo una mano sulla spalla. È bastato questo a rendermi un designer di videogiochi migliore".

Da sempre convinto che i videogames risveglino una parte sopita del nostro inconscio, quella che si nasconde sotto gli strati di etica e morale, Shigeru pensa che dietro i pixel ci sia una sorta di magia capace di riportarci fino all'infanzia. Chiunque abbia toccato con mano le sue opere non può che ritrovare il frutto di quest'idea nell'originalità dei sistemi, studiati proprio per andare a toccare quelle corde, per risultare intrinsecamente belli ed intuitivi fin dal primo sguardo, come accade quando gli occhi di un bambino si posano su una semplice palla che rotola.

"Per me non è mai stata una questione di videogiochi. C'era più che altro la volontà di creare qualcosa, qualsiasi cosa che fosse molto più grande di me". Signore e signori: Shigeru Miyamoto.

Avatar di Lorenzo Mancosu
Lorenzo Mancosu: Cresciuto a pane, cultura nerd e videogiochi, i suoi primi ricordi d'infanzia sono tutti legati al Super Nintendo. Dopo aver lavorato dentro e fuori dall'industry, è finalmente riuscito ad allontanarsi dalle scartoffie legali e mettere la sua penna al servizio di Eurogamer.it.
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