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La storia di The Last Guardian - articolo

Il Digital Foundry ripercorre lo sviluppo del gioco, dal rendering iniziale alla versione finale.

The Last Guardian alla fine è stato pubblicato. Dopo il lancio di Ico nel 2001 e di Shadow of the Colossus quattro anni dopo, si può dire che il terzo gioco di Ueda sia stato protagonista dello sviluppo più travagliato di tutti e tre i suoi titoli. Quando iniziarono i lavori nel 2007 su PS3, nessuno avrebbe infatti immaginato di dover aspettare 9 anni per vedere il gioco sugli scaffali dei negozi. Ma nonostante l'anzianità del concept il risultato è mozzafiato: i fondali di The Last Guardian sorprendono ancora oggi grazie alla direzione artistica di primissimo livello ad opera dello stesso Fumito Ueda. La storia dietro la sua tecnologia comunque, dai primi leak del 2009 alla sua release del 2016, assume un ruolo fondamentale nella spiegazione della trasformazione che ha subito il prodotto finale.

Il nostro primo sguardo al gioco è avvenuto nel 2008, attraverso un annuncio di lavoro pubblico. Accanto ad esso c'era un'immagine di una misteriosa catena che si stendeva lungo il terreno. Il primo filmato del gioco è emerso solo nel 2009, quando un trailer trafugato da playstationlifestyle.net ha svelato il render target utilizzato dallo sviluppatore, verosimilmente appartenente a una fase embrionale dello sviluppo. Era una demo interna del titolo provvisorio "Project Trico", e offriva un modello che il Team Ico si sarebbe impegnato a sviluppare usando l'hardware di PS3. Mostrava il concept base alle spalle di un eventuale titolo PS3, e una qualità a tratti simile a una presentazione in CGI, sebbene con alcune limitazioni.

Le ombre dei personaggi erano assenti e l'aliasing imperversava. E mentre alcuni contenuti sarebbero apparsi nei trailer successivi, alcuni ambienti mostrati inizialmente non vennero più riproposti. Ma anche così, si potevano notare le stesse tecniche di render impiegate in Shadow of the Colossus, traslate direttamente sul nuovo motore di gioco. In particolare, l'architettura in rovina di una civiltà filo-Azteca, l'HDR simulato, il motion blur, il depth of field, e gli elementi governati dalla fisica delle catene. C'era tutto ed era molto in linea con il precedente titolo. Quel render forniva un affascinante punto d'incrocio tra il lavoro del Team Ico svolto con Shadow of the Colossus, e un nuovo engine per PS3 che avremmo visto nei mesi successivi.

Il primo trailer ufficiale del gioco è arrivato alla conferenza Sony dell'E3 2009, occasione in cui il progetto fu rinominato in "The Last Guardian". Con grande sorpresa appariva molto simile al render iniziale, dando vita a confronti alla ricerca dei cambiamenti più evidenti. Per fare un esempio, il rendering dell'erba era passato da un design più geometrico e più pieno, a un rendering meno impegnativo che faceva uso delle trasparenze alpha per ogni ciuffo. L'illuminazione è stata complessivamente migliorata ma il motion blur ha subito un downgrade a un numero minore di campioni.

The Last Guardian: un enigma perdurato durante tutti I suoi 9 anni di sviluppo; prendiamo i primi modelli mostrati al pubblico e li compariamo al gioco finale.Guarda su YouTube

Il più grande cambiamento, comunque, riguardava le ambientazioni e il design dei personaggi. Lo stile di architettura azteca era svanito, ed il trailer E3 era virato verso modelli più ornati e una paletta di colori più tendente al grigio. Il modello del ragazzo era stato sostituito passando da un design sobrio che aveva più la funzione di placeholder a un modello più dettagliato che vantava un numero visibilmente più alto di poligoni. Anche Trico ha subito un upgrade: il suo piumaggio ha acquisito uniformità ed il pop-in durante i suoi movimenti è stato sensibilmente ridotto. Questo primo trailer delineò fortemente lo stile artistico che avrebbe preso il titolo negli anni successivi.

Il game director Fumito Ueda ha poi confermato che la dimostrazione del 2009 girava su hardware standard PS3. Comunque, per via delle performance molto deludenti a quel tempo, ha confessato che il team aveva optato per una soluzione non in real time. Per farla semplice, la build girava a un frate inferiore, per poi ricevere un'accelerazione nel playback in modo da venire incontro alle scarse prestazioni ottenute su PS3. In movimento, il risultato sembrava molto fluido, simile ai 30fps, e così riusciva a celare abilmente lo sviluppo travagliato del gioco. È inoltre lecito immaginare che si puntasse al massimo a una risoluzione 720p su PS3, la risoluzione più utilizzata di quella generazione, una bella differenza dagli attuali 1890p di picco raggiungibili su PS4 Pro.

La release del gioco a questo punto sembrava imminente al pubblico e alla stampa. C'era grande ottimismo nel 2010, specialmente dopo un'attesa così protratta per The Last Guardian, e fu annunciata una finestra di lancio per le Festività del 2011. In verità, il trailer del TGS 2010 fu l'ultimo filmato di gameplay ad essere mostrato nel corso di sei anni. Proprio in questo periodo iniziarono a venir fuori gli intoppi nello sviluppo, assieme alle voci che altri studi, come Sony Santa Monica, sarebbero stati coinvolti per dare man forte ed aiutare nell'ottimizzazione su PS3. E così si smise di mostrare altri trailer, e le uniche rare notizie sul gioco venivano saltuariamente da Sony, che si limitava ad assicurare che il progetto fosse ancora in vita. All'inizio del 2012 una longeva generazione stava giungendo al termine. La PS3 era ormai alla fine del suo ciclo vitale e PS4, la prossima console di Sony, stava prendendo forma in vista della presentazione dell'anno successivo. Secondo Shuhei Yoshida di Sony, è stato proprio in quel periodo che il team decise di spostare il proprio engine sul nuovo hardware.

Uno sguardo alla duplice modalità di visualizzazione di The Last Guardian su PS4 Pro; vediamo inoltre come si rapporta ognuno dei due profili con la PS4 standard.Guarda su YouTube

Con il gioco ormai così ottimizzato per il processore Cell di PS3, ci è stato detto che non è stata semplice la transizione all'architettura x86 del processore AMD di PS4, e ci è voluto più di un intero anno per rendere il gioco compatibile. Per rendere ancor più complicate le cose, il Team Ico è stato anche smantellato, e Fumito Ueda ed alcuni membri chiave hanno formato un nuovo team chiamato Gen Design. Gli artisti originali hanno continuato a lavorare con contratti a progetto ma il tutto era ormai nelle mani di Sony Interactive Entertainment Japan che, con l'aiuto dei suoi global studios, aveva l'oneroso compito di finire il lavoro ormai da troppo tempo iniziato.

Alla fine il gioco è stato reintrodotto alla conferenza Sony dell'E3 2015, con un lungo filmato a 1080p nativo che mostrava sequenze in cui un ponte crollava. Filmato che spiegava a malapena le meccaniche del gioco. In quell'occasione Sony ha dichiarato i suoi intenti. Il frame-rate era, in effetti, più rappresentativo dell'esperienza che avremmo avuto su PS4 Pro a 1080p, con 30 fotogrammi al secondo solidi nonostante l'intensa azione basata sulla fisica, una situazione in cui la PS4 standard avrebbe arrancato.

Comparando la grafica della demo del 2015 alla release finale del 2016, notiamo molte somiglianze, seppur con qualche cambiamento visibile. Il tono dei colori è più tenue nella build precedente, mentre le geometrie e il dettaglio ambientale vedono leggeri cambiamenti tra le due versioni. Nel complesso il nuovo reveal del 2015 rappresenta un riflesso del gioco finale. Infatti quello che ci troviamo ora per le mani è forse ancora più rifinito dal punto di vista tecnico: nel gioco finale abbiamo un'occlusione ambientale più raffinata, e lo shading di oggetti e personaggi appare migliorato rispetto al trailer del 2015.

Il gioco finale non è certamente esente da difetti ma il suo stile grafico ammalia non poco. Senza dubbio siamo di fronte al degno successore di Ico e Shadow of the Colossus, una release dove è stato inserito tutto il meglio possibile, consci del rischio che non venisse mai pubblicata. È comunque difficile scrollarsi di dosso la sensazione che la tecnologia alla base del gioco abbia radici antiche, che risalgono al reveal del 2009. I miglioramenti grafici sono evidenti, ma tutto sommato giocare a The Last Guardian è come aprire una capsula del tempo del 2009, un'era nella quale la telecamera 3D ed i controlli dei personaggi erano ancora in fase di rifinitura da parte del team.

Chi avrebbe mai immaginato che The Last Guardian sarebbe balzato su una nuova console girando a 1890p? Qui trovate i 25 minuti iniziali del gioco in modalità di output 4K su PS4 Pro.Guarda su YouTube

La buona notizia è che il Team Ico già all'epoca aveva utilizzato tecniche di prim'ordine che aiutano The Last Guardian a reggere il passo coi tempi anche adesso che è diventato un gioco per PS4. Le animazioni sono uno dei punti forti: le orecchie di Trico si muovono indipendentemente l'una dall'altra, l'animale indietreggia quando s'innervosisce e, quando è di buon umore, sguazza allegro nell'acqua. Questi sono tutti dettagli che rendono la creatura verosimile. Il lavoro al piumaggio dell'animale era già iniziato con Shadow of the Colossus e Trico è ora ricoperto di un manto di piume e penne che portano nuovo dinamismo alla formula. Un particolare tocco di classe è costituito dal modo in cui le piume fungono da isolante, trattenendo l'aria e sollevandosi individualmente proprio come la pelliccia di un cane o di un gatto.

Le varie parti che compongono il corpo di Trico s'impregnano anche di acqua e quando, tutto inzuppato, viene illuminato dai raggi solari, si generano degli splendidi riflessi sulle sue piume. In questo senso, la creatura è composta di diverse parti mobili, ognuna di esse funzionante con la propria logica. La coda può muoversi manualmente, per esempio, mentre il tronco anteriore del suo corpo è disegnato per ruotare indipendentemente dal posteriore. Il motore fisico sviluppato internamente dal team è in grande spolvero nella simulazione del movimento degli abiti e degli oggetti, e mentre il ragazzo si muove sopra Trico. Per certi versi si tratta di una versione migliorata delle dinamiche che governavano Shadow of the Colossus.

Alcune parti del gioco finale sono rimaste tali e quali nel tempo, e i poligoni e le texture sono dei buoni esempi. Sono spesso semplici ma d'effetto, con forme geometriche basilari adottate in ogni dungeon che affronterete. Sono i limiti tecnici dell'era PS3 che hanno influenzato la struttura dello stile grafico, anche se alcune strutture architettoniche ben congegnate e morbide aiutano a conferire l'aspetto labirintico agli ambienti. C'è anche un buon senso di vastità del mondo, ed uscendo all'esterno si vedono distese di pilastri, muri e torri che si ergono a distanza. Dando uno sguardo da vicino si notano le radici dell'era PS3 del gioco (specialmente per via delle texture a bassa risoluzione) ma, a distanza, il gioco tiene botta ancora bene, specialmente a 1890p.

Molti di questi limiti quanto meno sono ben nascosti dall'eccellente sistema d'illuminazione del titolo. Le luci volumetriche ed il bloom conferiscono alle scene un aspetto abbastanza saturato, un vero e proprio marchio di fabbrica dei precedenti titoli dello sviluppatore. L'high dynamic range, che si attiva automaticamente se la console riconosce un TV compatibile, aggiunge naturalezza con un ampio contrasto tra scene luminose e scure. In definitiva i colori appaiono più tenui, ma l'illuminazione è più naturale. Ci sono anche degli apprezzabili abbellimenti, come l'effetto di diffusione lungo le superfici. L'accuratezza della scena a volte presenta dei veri tocchi di classe, come le orecchie del ragazzo che si tingono di rosa chiaro quando il sole è posizionato dietro di lui, per poi tornare del colore normale non appena si gira.

È sorprendente che per ottenere un'esperienza di gioco fluida e consistente sia necessario utilizzare una PS4 Pro a 1080p, una modalità non intuitiva per chi possiede una PS4 Pro connessa a uno schermo 4K Ultra HD.Guarda su YouTube

Le Screen space reflections sono utilizzate per i corpi in acqua. Elementi come l'erba e le geometrie possono talvolta apparire pasticciati, ma rappresentano dei fattori in tutti i movimenti di Trico, del ragazzo e dei detriti circostanti. Sfortunatamente non tutti gli elementi visivi rendono bene in quest'area: sì, c'è l'occlusione ambientale attorno all'erba, ma gran parte della vegetazione del gioco soffre di un evidente effetto di punteggiatura. È un rumore digitale che provoca un effetto di flickering nell'erba quando si muove la telecamera, un problema che l'anti-aliasing fatica a risolvere.

D'altro canto, The Last Guardian presenta numerosi effetti di post-processing che potenziano il risultato finale. Il motion blur è di primo livello e ha una qualità cinematografica, dimostrandosi totalmente privo degli artefatti riscontrati nella demo del 2009. Viene impiegata inoltre una tecnica di frame-banding simile a quella utilizzata in Ico e Shadow of the Colossus (ma meno invasiva) che sfoca leggermente l'immagine. Ciò risulta evidente nella modalità 4K su PS4 Pro, in cui le immagini appaiono decisamente più appannate di quanto ci si possa aspettare da una presentazione a 1890p. I cambiamenti dell'inquadratura durante le cut-scene causano una sorta di risultato cross-fade, che curiosamente non riscontriamo giocando su PS4 Standard e su Pro in modalità 1080p.

Tirando le somme, il giudizio tecnico su The Last Guardian è controverso ma il titolo riesce comunque a brillare grazie alla sua eccellente direzione artistica. È innegabile che texure e design del mondo di gioco risentano dell'età del progetto, ma le tecniche di rendering di prim'ordine aiutano a rendere il gioco apprezzabile anche al giorno d'oggi. Dopo tutti i rinvii, le build e le differenti interpretazioni dello stesso gioco mostrate ad i vari eventi, e soprattutto il cambio di hardware, ci si potrebbe pure sorprendere che ci stiamo trovando in mano un prodotto finito. Il cammino verso la pubblicazione è stato lungo e irto di ostacoli, ma per i fan di Ico e di Shadow of the Colossus l'attesa è sicuramente valsa la pena.