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Donne e videogiochi: una skin non basta - editoriale

Ma qualcuno ha chiesto alle donne che ne pensino davvero?

Mancano solo quattro mesi all'uscita di Assassin's Creed: Unity ma è già polemica. Nuovo protagonista, nuova ambientazione ma soprattutto una nuova modalità cooperativa che la scorsa settimana pare aver suscitato l'astio di parecchi giocatori che hanno subito puntato il dito contro Ubisoft, pronti a far notare quella che per loro sembra essere un'enorme mancanza: non ci sono personaggi femminili.

Mettiamo da parte, per un attimo, le giustificazioni indubbiamente insufficienti del publisher che ha prontamente dichiarato che l'assenza è dovuta alla quantità di tempo che il team di sviluppo avrebbe impiegato per creare le migliaia di animazioni necessarie per l'inserimento di un'assassina. E tralasciamo anche il fatto che questa risposta suoni un po' come un tentativo di lavarsene le mani oltre ad evidenziare una certa pigrizia da parte degli sviluppatori, una sorta di "ci vuole troppo, non ci mettiamo nemmeno".

Il punto è che, al di là del fatto che la difesa di Ubisoft possa essere più o meno condivisibile, o più o meno soddisfacente, io, in quanto donna, di solito stabilisco se un gioco mi convince sia tecnicamente che emotivamente solamente giocandolo. E questo succede a prescindere dal fatto che i personaggi siano uomini oppure donne perché quello che conta, per me, è che alla fine il gioco funzioni e che sia in grado di soddisfarmi, giustificando il tempo che ho deciso di concedergli. Si tratta di qualità dell'esperienza, di coerenza della narrazione e della capacità degli sviluppatori di farmi immergere all'interno della nuova avventura che hanno costruito mese dopo mese.

Assassin's Creed Unity: ma il polverone è stato sollevato dalle donne o dagli uomini?

E siccome i videogiochi sono fatti per evadere dalla propria quotidianità e avere, per una manciata di ore, una vita immaginaria, non mi faccio problemi a giocare con un personaggio di sesso maschile, perché in fondo sono donna ogni singolo instante della mia vita quindi fatemi fare l'uomo ogni tanto. La mia femminilità non ne risentirà, e di certo non mi sentirò offesa per questo motivo.

"Non c'è niente di offensivo nell'inserire esclusivamente personaggi maschili in un gioco"

Mi domando quindi se i proclami letti nei giorni scorsi siano stati sollevati da uomini oppure da donne. Non c'è niente di offensivo nell'inserire esclusivamente personaggi maschili in un gioco. Accade peraltro anche nei libri e nei film, perché è una scelta narrativa, una decisione presa dall'autore che ha il compito, e il dovere, di creare qualcosa che sappia convincere e coinvolgere. Ricordiamocelo: i videogiochi sono fatti per divertire. Io, esattamente come tutte le altre donne videogiocatrice che conosco, non troverò meno immersivo un titolo per via del sesso del protagonista. Non è e non sarà mai questo a rovinare l'esperienza di gioco.

Se la risposta di Ubisoft è suonata come una scusa inconsistente e approssimativa, è altrettanto vero che la polemica sembra voler imporre l'inserimento forzato delle quote rosa. Un'idea parzialmente condivisibile perché sì, più personaggi femminili all'interno dei videogames darebbero sicuramente più varietà al mondo videoludico.

I videogiochi con protagoniste femminili non vendono? Remember Me pare esserne la conferma.

Ma questo non significa avere per forza assassine in un gioco come Unity. Significa creare qualcosa di nuovo che veda protagoniste le donne, significa avere giochi di ruolo che permettano di dare vita a personaggi complessi che possano essere uomini, donne, di colore o omosessuali; significa avere personaggi femminili che non siano solo una presenza obbligata per compiacere i giocatori ma una scelta narrativa meditata che apporti un effettivo arricchimento per la storia.

"Imporre la presenza di personaggi femminili solo per il "buon costume", ecco, questo sì che è offensivo"

Le quote rosa obbligate, a parer mio, sono una nota stonata, uno stridio paragonabile a quello delle unghie sulla lavagna. Imporre la presenza di personaggi femminili solo per il "buon costume", ecco, questo sì che è offensivo. Noi donne non abbiamo bisogno di qualcuno che prenda le nostre difese cercandoci sempre e comunque nel castello sbagliato.

Sarebbe corretto e apprezzabile che la donna non venisse trattata come un adesivo da staccare e riattaccare dov'è più comodo ma piuttosto come un personaggio attorno al quale si costruisca una storia ben definita e perché no, sviluppata per piacere a un pubblico femminile.

Negli Otome Game le videogiocatrici devono conquistare il loro oggetto del desiderio. Il che dà un taglio senz'altro più femminile dell'aggiunta di una skin.

Se a non tutte le donne piace sparare, potrebbe essere utile proporre un tipo di videogiochi che si avvicini maggiormente al loro essere. È del tutto comprensibile e in Giappone, non a caso, vengono sviluppati gli Otome Game, dei simulatori di appuntamenti per signorine dove per vincere occorre conquistare il protagonista.

Tutto ciò però si complica se teniamo da conto un fattore fondamentale per qualunque tipo di business: le vendite. Dei videogiochi per signora venderebbero bene? Probabilmente no e le stesse software house, nonostante le idee siano buone (Remember Me vi dice qualcosa?), spesso ammettono che i videogiochi con protagonisti femminili non vendono abbastanza. Nei videogiochi il carro di buoi spesso tira più di qualcos'altro.

Concludendo, Ubisoft ha preso la sua decisione, scegliendo di non inserire personaggi femminili nella versione co-op di Assassin's Creed: Unity. La scelta se comprarlo o meno starà a noi donne, le polemiche invece lasciamole da parte.

Fjona Cakalli è direttore di Game's Princess, magazine d'informazione e approfondimento sul mondo dei videogiochi, ma con una peculiarità: troverete contributi solo di donne videogiocatrici.