Doom (1993) / Doom 2 / Doom 3 - recensione
Il ritorno della trilogia originale.
Per la saga di Doom, il 2019 è un anno particolarmente importante, questo perché il nonnino degli sparatutto in prima persona festeggia i suoi venticinque anni, e nonostante il peso dell'età, riesce ancora a dire la sua nel panorama videoludico moderno, con la nuova iterazione del brand, Doom Eternal, previsto per il prossimo 22 novembre, e già lodato da stampa specializzata e pubblico durante le diverse presentazioni.
Cavalcando l'onda di questo hype, Bethesda ha ben pensato di attuare una studiata operazione nostalgia, con la volontà di riproporre l'originale Doom, Doom II e Doom 3, rispettivamente degli anni 1993, 1994 e 2004, sulle console dell'attuale generazione, ovvero Play Station 4, Xbox One e Nintendo Switch.
Questo piano ha certamente come obiettivo quello di presentare il brand a chi ancora non avesse avuto la fortuna di conoscerlo nel corso dei decenni, o semplicemente chi troppo giovane per aver giocato i capitoli originali, ma allo stesso modo funge un po' da preparazione a quello che sarà Doom Eternal. Creando, in fin dei conti, una sorta di viaggio spirituale all'interno delle varie ere degli sparatutto, con una particolare attenzione all'evoluzione tecnica di cui il videogioco ha beneficiato di pari passo all'evoluzione tecnologica.
Basti pensare ai primissimi Doom I e II, con uno stile puramente pixelloso e l'adozione di primitive tecniche di 2,5D, volte a creare un fittizio 3D, passando poi per Doom 3, visibilmente più avanzato che univa un level design più curato alla presenza di personaggi con cui interagire, oltre che ad un comparto grafico più moderno, per arrivare, oggi, a Doom Eternal che rappresenta virtualmente il meglio che il genere abbia da offrire, dal punto di vista delle tecniche e delle tecnologie utilizzate.
Pur considerandone gli anni, bisogna ammettere che i Doom coinvolti in questa riedizione sono invecchiati abbastanza bene, naturalmente tenendo bene a mente il contesto in cui furono inizialmente sviluppati. I primi due senza dubbio condividono molto a livello di design, complice lo sviluppo consecutivo e i rilasci tanto ravvicinati tra loro, e se messi in mano a un giocatore abituato agli standard odierni, sicuramente risulterebbero datati. Comandi legnosi, movimenti rapidi e mira non sempre precisa al millimetro, però, non riescono a offuscare un level design che nella sua semplicità riesce a essere estremamente funzionale, dando ai videogiochi in questione la capacità di essere rigiocabili, e avvincenti, anche a distanza di quasi tre decenni. Se vogliamo poi considerare anche tute le sfide opzionali e la possibilità di puntare a dei completamenti al 100%, le ore di gioco possono aumentare di parecchio.
Doom 3 invece (che ricordiamo non essere esattamente il terzo capitolo uscito in ordine cronologico, vista la presenza di Doom 64 del 1997), rappresenta il primo grande passo evolutivo per la saga. Un titolo che sfruttando le tecnologie più moderne sul mercato, espande il suo universo demoniaco con l'aggiunta di cinematiche, personaggi secondari e offre una maggiore libertà al giocatore, in termini di gameplay ed esplorazione. Bisogna inoltre considerare l'anno "sfortunato" in cui è stato pubblicato: quel 2004 in cui uscirono due noti titani del genere sparatutto in prima persona, ovvero Halo 2 e Half-Life 2.
Alcuni giocatori hanno apprezzato il salto evolutivo fatto con questo capitolo, altri invece hanno rimpianto l'immediatezza del gameplay dei primi, o successivamente del Doom del reboot, quel che è certo però è che questo tassello costituisce un importante passo per comprendere l'evoluzione del brand, e di come in circa venticinque anni sia passato da una semplice avventura in pixel e 2,5D, alla bellezza sanguinolenta che sembra essere Doom Eternal.
Quello che appare subito chiaro buttando uno sguardo a queste tre produzioni, e che deve rimanere sempre inciso nella pietra quando si parla di Doom, vecchi e nuovi, è che conta soltanto una cosa: massacrare, dilaniare e spappolare demoni (e non soltanto). Tutto il resto è secondario, e se c'è un qualcosa che la selezione dei titoli riproposti riesce a dimostrare, è che nonostante l'età, o le tecnologie del tempo, lo spirito del brand non si è mai perso, e la speranza naturalmente è che non accada certo con Doom Eternal.
Qualora le rispettive campagne non dovessero bastare a far passare la nostalgia, ogni capitolo include anche il multigiocatore locale, che offre la possibilità di giocare la campagna in compagnia, o di sfidarsi fino a un massimo di quattro giocatori sulla stessa piattaforma, in un classico, quanto sempre attuale deadmatch.
Dal punto di vista tecnico tutte e tre le produzioni funzionano senza alcun intoppo, quantomeno nella versione provata, ossia quella per PS4. A dirla tutta però, non poteva che essere altrimenti, parliamo pur sempre di giochi "vecchi" di oltre un decennio, originariamente distribuiti su floppy disk (quantomeno i primi due), e riproposti su qualsiasi dispositivo elettronico esistente, dai frigoriferi alla touchbar dei portatili Apple, e persino ricreati in Excel. L'unico neo che ci sentiamo di segnalare, riguarda lo scomodissimo sistema di collegamento all'account Bethesda.net, che in diverse occasioni ha dato qualche problema costringendoci a chiudere e riaprire l'applicazione più volte. La gestione dei movimenti e degli input dal controller risulta, infine, ben fatta, riuscendo a ricreare il feeling dei giochi originali, nel bene e nel male.
Tirando le somme, l'operazione nostalgia di Doom è riuscita con successo, riproponendo dei titoli che non soltanto sono dei capostipiti per il genere, ma per il medium in generale, consentendo così anche ai giocatori più giovani di recuperare dei giochi dall'elevato valore storico. Il tutto in attesa di Doom Eternal, l'ultima fatica di Id Software che di certo non ha bisogno di alcuna presentazione e che tutti i fan degli sparatutto non possono che attendere con l'acquolina in bocca.