Warren Spector: Dov'è il Roger Ebert dei videogiochi? - articolo
Il mondo videoludico ha bisogno di un diverso tipo di critica?
Dopo il mio ultimo editoriale, immagino che qualcuno potrebbe dire "basta, è ora di passare ad un altro argomento!", ma non riesco a smettere di pensare ad un particolare di quell'articolo: l'idea di ciò che rappresenta una critica appropriata di un videogioco (o, semplicemente, qualcosa di diverso rispetto a ciò che già abbiamo adesso). Prometto che poi cambierò argomento, ma spero che almeno per ora resterete con me e mi sopporterete.
Credo che tutti siano d'accordo sul fatto che il mondo del gaming è pieno di recensioni orientate sul piano "commerciale", che in sostanza dicono se un gioco sia "bello" o "brutto". A volte, ma non abbastanza spesso, i giornalisti esplicitano persino il ragionamento alla base delle loro opinioni. La qualità del giornalismo di videogiochi mi ricorda di quello che accadeva nel mondo della fantascienza amatoriale, dei fumetti e delle fanzine dedicate al cinema prima che la cultura pop diventasse dominante.
Poi esiste anche una critica videoludica di tipo "accademico", che circola principalmente negli ambienti accademici (ma va?) e di cui la maggior parte dei giocatori, dei developer e dei publisher ignorano completamente l'esistenza, figurarsi considerarla valida come strumento di indicazione.
Infine, ci sono una buona dose di recensioni direttamente collegate al mondo di publisher e developer, in cui si descrivono tecniche avanzate per creare i giochi, portare i pixel sullo schermo, far sì che l'IA faccia ciò che vogliamo faccia e come lanciare i giochi sul mercato. Si fa un gran scrivere di queste cose, il che è senz'altro una cosa positiva. I developer e i publisher che comunicano tra di loro, condividendo la propria conoscenza e scambiando idee? Più questo avviene, meglio è.
Dunque, esiste una scrittura critica ed esistono insegnanti capaci di raggiungere i gamer, gli accademici e il mondo dello sviluppo e degli addetti ai lavori. Qualcuno nota per caso che in tutto ciò manca qualcosa? Esatto: la gente comune. Non i gamer, non gli addetti ai lavori: le persone normali.
In altre parole, mancano la critica o l'analisi storica che potrebbero velocizzare il processo di accettazione culturale dei videogiochi come un qualcosa che non sia semplicemente un modo di sfilare una manciata di dollari dalle tasche dei maschi post-adolescenti o dalle borsette delle donne sui 30 anni.
"il mondo del gaming è pieno di recensioni orientate sul piano 'commerciale'"
(Ndr: prima che qualcuno mi accusi di sessismo, lasciatemi dire che in realtà io sto soltanto esponendo il sessismo senza vergogna che circola nell'attuale mondo dei videogiochi. Chiamatelo pure un mini-editoriale all'interno dell'editoriale. Ambasciator non porta pena!)
Quello di cui abbiamo bisogno, come ho già detto in un vecchio editoriale, sono i "nostri" Andrew Sarris, Leonard Maltin, Pauline Kael, Judith Crist, Manny Farber, David Thomson, o Roger Ebert. Abbiamo bisogno di persone all'interno dei media mainstream che vogliano instaurare una "competizione" tra di loro parlando di come i giochi funzionano, di come riflettono e influenzano la cultura, di come noi li giudichiamo in quanto forma di arte e di intrattenimento. Abbiamo bisogno di persone che vogliano "spiegare" i videogiochi, individualmente e come fenomeno complessivo, tanto quanto vogliono giudicarli. Abbiamo bisogno di quelli che potremmo definire "critici teorici" mainstream del videogioco.
E loro avrebbero bisogno di un collocamento naturale nei media. Non solo su Internet (anche se ovviamente ne abbiamo bisogno anche qui), non solo alla GDC, ma nelle edicole e sugli scaffali delle librerie. Perché? Perché attualmente la critica che abbiamo raggiunge solamente chi è già "convertito" alla cultura del gaming. Per raggiungere i genitori, gli insegnanti, i politici... abbiamo bisogno di essere là dove loro comprano la loro informazione. Anche se non avete mai comprato una rivista di critica cinematografica, il solo fatto che ne esistano così tante e di così serie fa tutta la differenza del mondo nelle menti di chi è digiuno della materia.
Altrettanto importante: abbiamo bisogno che i media di massa diano spazio a diversi tipi di copertura del mondo dei videogiochi. Critica, non solo recensioni. Come alcuni quotidiani trattano i film.
Su un recente numero del New York Times, nella sezione "Arte e tempo libero", si trovano ad esempio alcuni articoli interessanti. Ce n'è uno su Ernst Lubitsch (cercatelo su Internet) che descrive e contestualizza il suo lavoro. C'è poi un articolo su Alfred Hitchcock e su come i suoi primi film muti, relativamente sconosciuti, abbiano creato la base per i suoi capolavori successivi.
Questi articoli fondono la critica e la storia per offrire un contesto che consenta di pensare ai film come fenomeno, non soltanto ai film e ai registi specifici che vengono presi in esame. Articoli del genere possono ispirare il pubblico a pensare ai film in un modo differente. Da spettatore, si può vedere un film solo per quello che è, ma leggete abbastanza di questi articoli e la vostra percezione del film e del suo contesto cambierà. E questo potrebbe anche avere un effetto sul tipo di film che sceglierete di vedere, e su quello che ne penserete in seguito.
Ancora migliore degli articoli su Lubitsch e Hitchcock, ce n'è uno intitolato "Marriage, the Job" che discute del modo in cui una certa varietà di film riflettono il cambiamento di considerazione nei confronti del matrimonio nell'attuale contesto sociale. Senza entrare nel merito specifico della questione, voglio però sottolineare che questo articolo non si cura di giudicare se i film presi in esame siano "belli" o "brutti", o di quanto siano efficaci dal punto di vista dell'intrattenere lo spettatore.
"Mancano la critica o l'analisi storica che potrebbero velocizzare il processo di accettazione culturale dei videogiochi"
L'articolo prende in esame i film soltanto dal punto di vista culturale (soggetto niente affatto semplice), effettuando un tipo di esame indirizzato al lettore medio (ok, forse un pelo superiore alla media), il quale potrebbe avere un interesse anche del tutto secondario nei confronti del mondo del cinema in sé. Una situazione del genere aiuta il cinema a dire: "hey, guarda qui! Sono un medium serio e maturo! Sono meritevole del tuo tempo e della tua attenzione!"
Recependo un invito subliminale del genere, le persone possono ispirarsi e vedere i film presi in esame, ma non è questo il punto fondamentale. Questi articoli non mirano a stabilire se il film sia "bello" o "brutto": parlano di quello che il film dice, e di come lo dice. Il valore commerciale del film non è affatto negato, ma questi elementi di mercato vengono ignorati o minimizzati, in favore della ricerca di un significato e del modo in cui questo significato viene trasmesso. In questi articoli si cerca di capire il punto di vista dell'autore, il contesto nel quale un film è stato realizzato e il modo in cui i film, vecchi e nuovi, possono essere importanti nel contesto attuale.
In altre parole, a questi giornalisti non interessa trasmettere al lettore la propria opinione riguardo il fatto che il film sia bello o brutto. Il loro scopo (almeno a giudicare dall'esterno) è comunicare il fatto che un certo film o un certo autore meritino di essere approfonditi con un articolo, nella speranza che tale articolo possa interessare il lettore.
Ora, prima che qualcuno se la prenda sul personale, sono consapevole di aver esagerato un po' riguardo la situazione del giornalismo di videogiochi attuale, per rendere più chiara la mia idea. In realtà, esistono dei giornalisti (non molti, ma qualcuno esiste) che stanno tentando di offrire una critica mirata a spiegare, piuttosto che una mirata semplicemente a valutare, ossia quel tipo di critica di cui ho parlato finora.
Il lavoro di Stephen Totilo sul New York Times e altrove è sicuramente un passo nella giusta direzione. Leigh Alexander, Tom Bissell e Harold Goldberg hanno scritto dei buoni libri indirizzati al pubblico di massa. Studiosi come James Paul Gee, Henry Jenkins e Ian Bogost danno al settore un livello di erudizione e di profondità di pensiero di cui abbiamo disperatamente bisogno. (E, badate bene: io sto parlando solo della critica, non della storia. Potrei aggiungere alla lista numerose persone semplicemente includendo nella discussione il livello degli storici. Forse in un altro editoriale, perché rilevo dei problemi anche nel modo in cui la storia dei videogiochi viene scritta...).
"Non possiamo essere auto-indulgenti e pensare che quello che abbiamo sia già di livello sufficientemente buono"
E nel tempo sono esistiti anche all'interno delle pubblicazioni "hardcore" degli spazi, sebbene troppo pochi, per la critica videoludica che andasse oltre il semplice concetto di recensione. Al tempo, il lavoro di Tom Russo sulla rivista Next Gen non era male. Attualmente, Edge riveste occasionalmente quel ruolo. E anche alcuni siti web cominciano a pubblicare dei lavori interessanti (ma al momento sto ancora indagando sul settore, quindi non farò nomi in questo caso).
Ma nonostante queste eccezioni (e sono sicuro di aver offeso dozzine di altri critici eccezionali non menzionandoli, cosa di cui mi scuso), nessuno è mai riuscito a fare realmente breccia nella coscienza mainstream. Quello di cui abbiamo bisogno è un certo numero di spazi di pubblicazione che continuamente e costantemente offrano un pensiero critico. Un libro qui, un saggio là, un articolo ogni tanto sul New York Times... questo non è sufficiente.
Non sto dicendo che raggiungere un pubblico che non conosce i videogiochi abbastanza da prenderli sul serio sarà semplice. Di certo non attribuisco colpe a chi sta tentando di perseguire questo difficile obiettivo. Intendo solo dire che dobbiamo continuare a lavorare, sempre più duramente, per portare in questa direzione sempre più giornalisti e scrittori. Non possiamo essere auto-indulgenti e pensare che quello che abbiamo sia già di livello sufficientemente buono.
Inondiamo le librerie, le riviste e il web con lavori che riescano a comunicare con le persone. Solo in questo modo riusciremo ad ottenere il livello di rispetto che, io credo, meritiamo. Solo così facendo creeremo un pubblico più esigente per il medium, che inevitabilmente ci porterà ad avere giochi diversi e, con ogni probabilità, migliori.
Questo tipo di approccio farebbe molto bene al mondo dei videogiochi. Far penetrare nella coscienza collettiva l'idea che i videogame siano qualcosa di buono e serio e meritevole di attenzione, e non semplicemente un passatempo infantile, è una cosa di grande importanza. È importante per gli sviluppatori, per i publisher, per i giocatori e forse persino per i "nemici" (in mancanza di una parola migliore) dei videogiochi, che potrebbero avere una comprensione maggiore di questo fenomeno.
Francamente, se i videogiochi non riusciranno a stimolare un'analisi critica di questo tipo, allora forse è vero che sono solamente un passatempo infantile o un modo per sfuggire ai problemi della vita vera, come i nostri detrattori sostengono.
Un'ultima cosa prima di concludere questo editoriale. È importante sottolineare che io utilizzo come esempio la critica cinematografica più famosa per due ragioni molto semplici. La prima è che sono un vecchio appassionato di film con un background accademico che mi porta a considerare alcune cose. Avrei potuto citare altrettanti esempi nel mondo della critica letteraria, musicale, teatrale, artistica, architettonica eccetera.
La seconda è il fatto che il New York Times propone una critica del genere ogni settimana. Le riviste di critica cinematografica "seria" lo fanno ogni mese. C'è una continuità di stile, una coerenza di fondo, nel lavoro di questi critici. E persino se scopriamo che le loro idee non corrispondono alle nostre, la regolarità con la quale il tema viene trattato parla da sé riguardo la sua importanza, l'importanza del cinema come medium, persino nei confronti di chi non legge articoli del genere.
A mia conoscenza, i videogiochi sono l'unico medium (beh, a parte forse la radio, almeno successivamente agli anni '50 del secolo scorso) che non abbia una qualche forma di tradizione critica "seria", costante e mainstream. E questo, amici miei, deve cambiare.
Traduzione a cura di Luca Signorini