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Downward Spiral: Horus Station - recensione

A gravità zero è tutto più noioso.

La realtà virtuale è un concetto tutto sommato giovane ma che solletica la curiosità degli appassionati di videogiochi da lungo tempo. Per molti anni questa tecnologia è stata appannaggio di produzioni fantascientifiche che hanno contribuito a creare aspettative piuttosto elevate nella mente e nei cuori di milioni di videogiocatori. La verità dei fatti è che la sua applicazione in campo videoludico è, al momento attuale, ancora agli albori. Così, mentre i più fiduciosi si limitano a godere delle potenzialità ancora inespresse di questa tecnologia rimanendo estasiati durante la visione di Ready Player One, la dura realtà si concretizza talvolta in produzioni non proprio brillanti. Downward Spiral è una di queste.

A bordo della stazione spaziale Horus, in una condizione di totale e permanente assenza di gravità, siamo chiamati a portare a termine una missione il cui obiettivo finale non è del tutto chiaro. Il titolo infatti è estremamente avaro di informazioni e il nostro incedere è sospinto da indicazioni che appaiono come avvisi lampeggianti sui monitor che occhieggiano in quasi ogni stanza, piuttosto che da uno scopo ultimo ben definito.

I più accomodanti potrebbero ipotizzare che una così marcata carenza sul versante narrativo inciti il giocatore ad andare alla ricerca all'interno dell'ambientazione di indizi e rivelazioni in grado di sfaccettare silenziosamente la lore, in realtà più corposa di quel che sembra. Dopotutto, il maestro Myazaki ha dimostrato con la serie Souls che questo tipo di narrazione silenziosa è possibile, nonché particolarmente efficace in determinati frangenti.

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Non è però il caso di Downward Spiral, che risulta talmente criptico da lasciare il giocatore meno zelante a svolgere in modo disinteressato tutti i compiti assegnatigli tramite monitor. Agganciare la sezione del laboratorio di ricerca, oppure ripristinare l'energia nel settore comunicazioni e altri incarichi di questo tipo, scandiscono un incedere monotono e povero di momenti salienti. Anche i datapad collezionabili, che si trovano a fluttuare nel ventre metallico della nave, non sono che meri riempitivi, che non aggiungono nulla di concreto all'esperienza se non l'iconcina colorata nell'elenco degli achievement una volta che li avremo raccolti tutti.

L'esplorazione della stazione spaziale, se non altro, è un'esperienza che si discosta in buona parte dagli altri titoli in prima persona, soprattutto a causa della totale assenza di gravità. Impossibilitati a muoverci camminando, dobbiamo fare affidamento su alcuni strumenti, tra cui un rampino in stile Batman, una pistola a propulsione e i muscoli delle nostre braccia. Ecco quindi che l'eco dei passi è sostituito dal rumore del mulinello che si riavvolge o dal sibilo dell'aria compressa che spinge il nostro corpo attraverso il vuoto siderale. In effetti la trovata è potenzialmente interessante, ma allunga in modo esasperante i tempi di navigazione e compromette alla base il dinamismo degli scontri.

Per proseguire attraverso i vari compartimenti della nave è sufficiente risolvere semplicissimi enigmi che, la maggior parte delle volte, richiedono solo di recuperare schede o batterie fluttuanti e posizionarle nei relativi scomparti. Ad intralciare il nostro incedere ci sono diversi tipi di robot volanti, che attaccano in gruppo e non sono mai risultati un problema. Nel caso in cui dovessero sopraffarci, inoltre, ripartiremo da una delle numerose camere di rigenerazione sparse in giro, con l'unico onere di fare piazza pulita dei sopravvissuti allo scontro precedente. I nemici non respawnano e risultano quindi essere in numero sempre minore, una scelta che abbassa ulteriormente il livello di sfida e rende gli scontri piatti e privi del benché minimo mordente.

L'unico modo per orientarsi tra le stanze sin troppo simili tra loro della stazione è usare le mappe disseminate per la stazione.

Le armi di cui si entra in possesso sono rivisitazioni delle bocche da fuoco più classiche, mutate nel design per conformarle ad un'ambientazione spaziale dai toni cupi. Pistola, mitragliatore, fucile a pompa, fucile da cecchino e poco altro: l'unico strumento degno di particolare menzione è un inibitore che permette di mettere fuori gioco i nemici in zona per un breve periodo, un gadget che rappresenta un espediente per la collaborazione in caso di co-op con un secondo giocatore.

A proposito di questa possibilità, il titolo consente di essere giocato in compagnia di un amico, eventualità che non riesce in alcun modo ad offrire un valore aggiunto di rilievo. L'incedere è il medesimo, con la differenza che gli enigmi vengono adattati alla coppia: non basta spingere un pulsante o tirare una leva per aprire la porta ma bisogna che entrambi i giocatori agiscano sul bottone o la manovella in contemporanea, una trovata davvero originale.

Oltre alla storia in cooperativa abbiamo anche una modalità deathmatch e orda, entrambe davvero superflue considerato che gli scontri a gravità zero sono l'antitesi stessa del divertimento. A minare ulteriormente l'esperienza vi è un matchmaking raffazzonato, che non consente di selezionare gli amici con cui giocare (magari sfruttando l'interfaccia di Steam) e costringe a fare i salti mortali per trovarsi nella partita giusta.

Giocare in cooperativa non aggiunge nulla di concreto all'esperienza; sarebbe stato opportuno sviluppare qualche enigma dedicato.

Sul piano tecnico ci troviamo davanti ad un lavoro abbastanza scialbo che fa un pessimo riutilizzo degli assets, generando parecchi dubbi in fase di esplorazione. I corridoi e le stanze sono tutti uguali e a confondersi ci vuole un attimo. Inoltre, la scarsa ottimizzazione è evidenziata anche dai pesanti cali di frame che si verificano ogni volta che si apre una porta. A coronare un'esperienza mediocre troviamo anche alcuni fastidiosi bug, che comportano la sparizioni di armi dall'inventario e altre amenità come il crash dell'applicazione.

In definitiva Downward Spiral: Horus Station è un'occasione mancata, inficiato da criticità legate a un po' tutti gli aspetti, partendo da quello narrativo e finendo con quello ludico. La possibilità di fruire il titolo da dietro il caschetto, godendo di una prospettiva immersiva e di controlli dedicati, non riesce a risollevare la produzione dall'oblio composto da scelte di game design infelici e da una cronica mancanza di mordente.

5 / 10
Avatar di Andrea Forlani
Andrea Forlani videogioca da sempre e scrive da parecchio. Il suo ambiente naturale è la sedia davanti al PC e si nutre principalmente di cibo spazzatura. Se importunato, potrebbe difendersi tirandovi contro manciate di dadi da 20.

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