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Dracula - recensione

“Sei quello che mangi”.

Come si può raccontare in modo nuovo e originale un personaggio come Dracula, creato nel 1897 da Bram Stoker e oggetto poi di infiniti trattamenti, riletture, aggiornamenti, e incarnato in una schiera infinita di attori?

La novità principale era stata quella degli anni '80, con un Dracula indiscutibile oggetto di desiderio sessuale (affidato infatti ad attori molto attraenti), che conquistava e seduceva a priori, senza dover fare leva su arcani incantamenti. E la promessa di una vita eterna insieme, anche se parzialmente trascorsa in una bara, non poteva che essere la ciliegina sulla torta.

Casi a parte sono la versione di Werner Herzog con un Klaus Kinski di inquietante orrificità ma capace di suscitare sentimenti di pietà, e la mitica rilettura di Francis Ford Coppola del 1992, con una fra le più romantiche e disperate coppie alla "Giulietta e Romeo" della storia, Gary Oldman e Winona Ryder, tragici amanti impossibili.

Ci provano adesso due personaggi dal gran pedigree, ossia Steven Moffat e Mark Gatiss, autori (Gatiss anche interprete) di Sherlock, rivisitazione originale e molto interessante di un altro caposaldo letterario. Nei tre episodi della serie, coprodotta con BBC e distribuita da Netflix, tre film da un'ora e mezza ciascuno, il mitico Conte (ispirato alla figura di Vlad III Principe di Valacchia) ha la faccia di Claes Bang, attore danese poco noto, visto nell'antipatico ruolo del rivale di Dominic West nella quinta stagione di The Affair, oltre che nei film The Square e Millennium. Un uomo non particolarmente fascinoso che qui mostra maggiore e ambiguo carisma.

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Siamo nel 1897 e come da consueta narrazione Dracula vuole lasciare la sua natia Transilvania, per trasferirsi nella Londra vittoriana. A tale scopo dalla capitale, dove un prestigioso studio legale gestisce i suoi cospicui interessi, viene inviato l'ambizioso avvocato Jonathan Harker (John Heffernan), in procinto di sposare l'amata Mina.

Nel primo episodio ("Le regole della bestia"), tutta la parte iniziale sembra ricalcare, a tratti quasi citare, il film di Coppola (anche nella colonna sonora scritta da David Arnold e Michael Price aleggiano echi di quella storica di Wojciech Kilar). Ma a far intuire che si andrà a parare da un'altra parte c'è l'inserimento di un personaggio nuovo, una volitiva giovane suora (Dolly Wells), addetta all'interrogatorio di uno sconvolto Harker.

La suora è appassionata dell'occulto e vuole indagare, forse con eccessiva arroganza, l'origine di superstizioni e credenze che sembrano ridicole. Perché i vampiri non possono esporsi alla luce del sole? Perché temono crocefissi e ostie (qui c'è una spiritosa ipotesi)? Perché devono essere invitati ad entrare? E il fatidico paletto? Non saranno abitudini che diventano feticci, che diventano leggende?

La fede della giovane donna non è saldissima, troppe volte ha cercato Dio senza trovarlo. Afferma di essere "una moglie coinvolta in un matrimonio senza amore" e spera di raggiungere Dio solo attraverso il suo opposto, il Diavolo. Perché in questo inizio della narrazione Dracula è indiscutibilmente il Male assoluto, la Bestia, anche di orrendo aspetto, senza afflati romantici, senza un background che giustifichi in qualche modo le sue azioni.

Un grande classico...

Nel secondo episodio però, "Veliero di sangue", saremo a bordo della Demeter, la nave che porta Dracula verso l'Inghilterra, e mentre l'imbarcazione solca le onde in una costante coltre di nebbia che blocca i letali raggi del sole, il vampiro, in versione mondano-seduttiva, è libero di aggirarsi a bordo, di fare quello che vuole con i passeggeri, di giocare con loro prima di "assorbirli". Alla fine, come noto, lo sbarco avviene ma qui abbiamo il primo vero colpo di scena della miniserie, che poi nella terza e ultima puntata riprende i fili lasciati in sospeso nel primo episodio.

Il film conclusivo, La bussola oscura, che è diretto da Paul McGuigan (Gangster n°1, Slevin, Sherlock), sposta l'azione ai giorni nostri, 123 anni dopo il prologo, e sembra trovare finalmente una sua ragion d'essere, anche se tardiva. Ma un finale inutilmente melò (e trash), che oltretutto rende più inutilmente lunga la puntata centrale, lascia fortemente delusi perché sembra portare a chissà quale intensa rivelazione e invece si rivela ben poco cosa. Anche gli effetti speciali a tratti lasciano a desiderare, mentre è ben realizzata la sigla di apertura.

Dopo tante trasposizioni deciderà lo spettatore quale sarà il suo trattamento preferito, pur rinunciando alla pretesa fedeltà al libro originale. Deciderà anche quale sarà il volto migliore, se Bela Lugosi diretto nel '31 da Ted Browning o Christopher Lee nello storico film del '58, per arrivare a Frank Langella che nella versione del '79 iniziava lo sdoganamento in chiave sexy e poi avanti in quella direzione, passando per Gerard Butler (Dracula's Legacy) e Luke Evans in Dracula Untold, oppure Jonathan Rhys Meyers della serie tv di sei anni fa, che pure tentava un'attualizzazione della nota trama.

Uno scontro che valica i secoli.

Non dimentichiamo vampiri "pop" come Wesley Snipes o Kate Beckinsale e ricordiamo anche le varianti comiche, come quella con George Hamilton in Amore al primo morso o Mel Brooks nel '95 con Leslie Nielsen (perfino Fracchia si è misurato con il Conte). E che dire del delizioso Per favore non mordermi sul collo, di un Roman Polanski di lontane leggerezze?

Negli anni '80 si è anche introdotto il tema della bisessualità del Conte, soprattutto con il gran classico Fright Night, con un allora assai seducente Chris Sarandon, film vittima di un deludente remake con Colin Farrell. Anche Gatiss e Moffat non si mostrano indifferenti a questo argomento, ma lo danno quasi per scontato. Come potrebbe infatti una bestiale, cosmica entità come Dracula porsi il problema della sessualità del partner che userà come nutrimento?

Non manca mai lo humour tipico dei due autori, che serpeggia qua e là senza mai disturbare (tranne che in qualche battuta un po' troppo "ganassa" della suora). La coppia di autori si diverte a giocare, intrecciando tutti gli elementi noti di una narrazione fin troppo messa in scena, aggiungendo, deviando, attualizzando (si cita Gary Oldman nei suoi azzurri occhialini da sole).

Chi avesse finora sentito la mancanza di Renfield, si consolerà con la spiritosa comparsa dello stesso Mark Gatiss e pure Lucy avrà il suo spazio (mentre Mina resterà sempre in ombra). Ma tanto stravolgimento è giustificato? L'operazione riesce del tutto? L'orrore che Dracula promette con il suo contagio è inimmaginabile, la mutazione priva gli umani della "divina abilità" di morire, condannati a una vita eterna di orrori indicibili, in un sotterraneo che ricorda la soffitta di Miriam o nelle banali tombe di tutti i cimiteri.

Le cattive abitudini non cambiano.

Ad un certo punto però Dracula dirà: "in un mondo di strade battute la morte è l'ultima neve immacolata", manifestando per quel passaggio a lui precluso una certa fascinazione. Quindi a quale scopo l'eternità, in nome della quale tutto avviene? Se cercavamo un altro seducente Bad Boy fra le cui braccia abbandonarci, nel sogno di un amore eterno (nessun amore è eterno come quello dei vampiri, ovviamente), abbiamo sbagliato serie.

Cercavamo risposte al proverbiale interrogativo "Who Wants to Live Forever"? Esigevamo una maggiore fedeltà all'impianto narrativo originale? Niente di tutto ciò. Abbiamo una trama che si vorrebbe innovativa, che priva di derive romantiche tutta la storia, che suscita solo blandi interrogativi esistenziali.

Senza aggiungere però nulla di diverso, nulla di più, a renderla memorabile, a far comprendere come mai un tale personaggio abbia conquistato tanta parte del nostro immaginario in più di un secolo, "attraversando oceani del tempo per ritrovarci".