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Dragon Quest I, II e III Switch - recensione

Dopo Dragon Quest XI, arrivano su Switch i primi tre giochi della serie.

Dragon Quest è una delle saghe di RPG più longeve della storia dei videogiochi, con oltre 30 anni di vita sulle spalle. Una serie inizialmente confinata al Giappone, che è uscita in oOcidente in ritardo cambiando nome in Dragon Warrior, e che nonostante la grande popolarità nel paese d'origine è rimasta per molti anni un prodotto di nicchia.

Eppure negli ultimi 15 anni la serie è esplosa anche da noi, crescendo sempre più in popolarità, complice anche l'art design di Akira Toriyama, divenuto famosissimo grazie ad anime come Dragonball e Dr. Slump e Arale. Con Dragon Quest VIII per PS2 ed i vari remake e spin-off per DS, ed i recenti Heroes, l'accettazione è stata unanime a livello internazionale e così, assieme ai nuovi capitoli, sono arrivati su current-gen anche i porting ed i remaster.

Recentemente, Nintendo sta consolidando la sua partnership con Square-Enix, rilasciando numerosi porting e remaster per Switch di Final Fantasy e Dragon Quest. Nelle scorse settimane abbiamo infatti avuto l'arrivo di Final Fantasy VIII Remaster e di Dragon Quest XI Complete Edition. Sulla scia di tale entusiasmo, arrivano anche Dragon Quest I, III e III, i primissimi capitoli della serie di JRPG usciti originariamente su NES e rilasciati su eShop in tre release separate.

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Recensire prodotti simili non è impresa semplice. Parliamo di giochi vecchi 30 anni che hanno tracciato e definito le linee guida degli RPG per le decadi a venire. Con l'avvento delle console a 32-bit, e ancor di più con quelle a 128-bit, i canoni degli RPG sono decisamente cambiati, proponendo mondi di gioco più coesi, aperti e privi di battaglie a turni ed incontri casuali. Contestualmente sono cresciute anche le sceneggiature, il look cinematografico e la caratterizzazione dei personaggi. Insomma, chi è nato nel nuovo millennio farà fatica a comprendere giochi come i primi Dragon Quest. Più che andare a recensire i prodotti in sé, che conosciamo bene per via dei numerosi porting, andremo quindi a focalizzarci sulle caratteristiche delle conversioni per Switch.

Un breve accenno alla storia è però doveroso. Innanzitutto, a differenza di giochi come Final Fantasy, i primi tre Dragon Quest sono tutti ambientati nella stessa sfera spazio-temporale e fanno parte di una trilogia che narra dell'eroico Erdrick e dei suoi discendenti, in lotta contro le forze maligne (nel primo capitolo rappresentato dal Dragonlord che ritroviamo citato in numerosi recenti giochi della serie). Il primo Dragon Quest è semplice ai minimi termini. La storia è ridotta a un paio di righe e serve solo a veicolarci da un posto all'altro nel compimento della nostra missione. Sembra decisamente molto vecchio riprendendolo al giorno d'oggi.

Il secondo capitolo, Dragon Quest II: Luminaries of the Legendary Line, fa diversi passi avanti, espandendo la trama e la ramificazione di storia e interazioni tra personaggi. Qui vestiremo i panni di un discendente del nostro eroe, a distanza di diverse decadi dagli eventi narrati nel prequel, andando ad affrontare un nuovo nemico: il mago chiamato Hargon che minaccia di evocare il temibile demone Malroth, tutti nomi che avrete sicuramente sentito nel recente spinoff Dragon Quest Builders 2.

Nel primo Dragon Quest la mappa del mondo è decisamente semplice e piccola.

Oltre alla storia, abbiamo novità nel gameplay e nuove meccaniche rudimentali che saranno poi espanse nelle decadi a venire. Anche il mondo è notevolmente più grande, tant'è che la mappa del prequel ne rappresenta solo una piccola parte se messa a confronto. Viene introdotto anche il party a tre, che aggiunge profondità alle battaglie ma di fatto triplica la necessità di grinding.

E poi c'è Dragon Quest III: The Seeds of Salvation, che è indubbiamente il migliore dei tre. Espande ancora di più il gameplay, la grandezza del mondo ed i contenuti. Propone feature che per quell'epoca risultavano innovative, come l'alternanza di giorno e notte o di scegliere se controllare manualmente o fare gestire dalla CPU i membri del nostro party. Dragon Quest III funge da prequel, narrando gli eventi precedenti al primo capitolo. La cosa bella è che può essere giocato indifferentemente in ordine cronologico o da prequel, l'esperienza complessiva non né risente granché.

Insomma, siamo indubbiamente al cospetto di tre grandi classici che hanno fatto la storia degli RPG alla stregua di Final Fantasy o Ultima, ma come si comportano queste conversioni su Switch? Prima di tutto occorre dire che si tratta di porting nudi e crudi delle versioni smartphone uscite qualche anno fa e poi portate anche su PlayStation 4. E questa non è una buona notizia.

I mostri sono stati ridisegnati già nella versione mobile, ma nello schermo di Switch c'è un enorme spreco di spazio.

Queste riedizioni godono di un restyling agli sprite dei personaggi e di altre feature. Personaggi che risultano belli, più grandi e definiti rispetto agli originali, con un aspetto più simile alla grafica a 16-bit. Tutto il resto è però rimasto invariato con la grafica originale a 8-bit, ed il contrasto arreca forse più un danno che altro. C'è un restyling anche ai menu, leggermente diversi rispetto al passato. Si vede che sono stati riorganizzati per gli schermi degli smartphone, ma sul display 16/9 di Switch sembra ci sia un grande spreco di spazio. E la cosa peggiora ulteriormente se si gioca sul grande schermo della TV.

Un altro problema figlio del porting diretto delle versioni mobile è che c'è molto lag tra la pressione dei tasti e l'azione corrispondente, con il risultato che nelle città si finisce sempre per parlare con l'NPC sbagliato all'interno di un gruppo, o di non riuscire a interagire con precisione con gli oggetti. La versione Switch non offre nemmeno vantaggi particolari, se non quello insito nel concept della console, ovvero di poter giocare in versione ibrida o portatile senza interruzioni (ora meno impattante con l'arrivo sul mercato di Switch Lite). Inoltre, anche muoversi tra le città e la mappa risulta poco fluido, una situazione incomprensibile considerando quanto il codice sia leggero e semplice.

Tutto il resto è identico all'esperienza dei titoli originali. Narrazione, feature e dungeon sono rimasti inalterati. Per gli standard moderni, incontri casuali e grinding pesante potrebbero essere aspetti eccessivi o difficilmente tollerabili. Non c'è supporto al touch screen per i menu e non ci sono nemmeno feature aggiuntive come un artbook digitale o del fan service, cose che sarebbero state semplici da implementare e sicuramente gradite. In tal senso Square Enix aveva fatto meglio con i porting dei Final Fantasy classici, che vantavano feature opzionali per accelerare il gameplay, saltare i random encounter e attivare potenziamenti vari. Opzioni utili a chi conosce già il gioco e vuole rivivere la trama o chi non tollera questi approcci obsoleti al gameplay.

In Dragon Quest III viene introdotto il party a quattro e tutto è più complesso. Peccato non sia stato usato il remake per SNES.

Tirando le somme, ci troviamo di fronte a tre classici che valgono la pena di essere recuperati se ve li siete persi a suo tempo, e soprattutto se siete diventati fan di Dragon Quest con gli ultimi capitoli moderni. Chi ha giocato ai Builders, ad esempio, riconoscerà numerosi aneddoti e citazioni giocando questi tre giochi.

Rimane tuttavia una grande occasione mancata guardando altre opere simili, una su tutte il recente ed eccellente remake di The Legend of Zelda: Link's Awakening. Essendo venduti come prodotti separati, se dovete scegliere tra i tre conviene andare sul terzo: è il più profondo e il più bello graficamente, invecchiato decisamente meglio rispetto agli altri (e infatti è venduto a un prezzo più alto).

6 / 10
Avatar di Luca De Dominicis
Luca De Dominicis: Nel 2001 fonda Elemental e nel 2004 la prima Accademia Italiana dei Videogiochi. Nel 2008 decide di portare in Italia il più importante marchio nella stampa specializzata in videogiochi: Eurogamer.

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