Dragon Quest XI - prova
Il più classico dei JRPG torna in occidente.
Il grande Barney Stinson diceva "Nuovo è sempre meglio", ed è senza alcun dubbio un'affermazione che trova un riscontro importante nelle opinioni di critici e destinatari del mercato videoludico. Le serie che hanno saputo costantemente rinnovarsi vengono osannate, mentre il cosiddetto "more of the same" ha assunto nel corso degli anni una connotazione piuttosto negativa.
Dragon Quest è l'eccezione che conferma la regola: la saga, nata nell'ormai lontanissimo 1986, è divenuta sinonimo dello stesso genere JRPG, gettando le basi per lo sviluppo di Final Fantasy e portando l'allora Enix alla fama internazionale, macinando numeri impressionanti e guadagnandosi più di un'iscrizione nel Guinness World Record.
Sono risultati incredibili e ancor più scioccanti se consideriamo come la formula originale sia rimasta sostanzialmente immutata. Dopo un breve seppur apprezzato excursus nell'universo MMO, la serie è infatti tornata a percorrere il suo binario naturale, ovvero quello del JRPG tradizionale. Gli ingredienti dell'undicesimo capitolo sono gli stessi che hanno segnato l'ultimo trentennio: un Eroe destinato a salvare il pianeta si fa strada tra i continenti di un immenso mondo semi-aperto, stringendo amicizie e combattendo decine di battaglie caratterizzate dal più classico dei sistemi a turni.
Di tutte le novità introdotte dai capitoli più recenti, l'unica ripresa dall'undicesimo episodio è la presenza fisica dei nemici sulla mappa, feature che sembra confermare il definitivo abbandono degli scontri casuali. Per la gioia dei fan, invece, i personaggi secondari tornano ad essere pienamente caratterizzati, diventando parte integrante della narrazione e di fatto cancellando lo sfortunato sistema di creazione che aveva fatto capolino nella nona istanza della saga. Dopo una rapida infarinatura ci siamo buttati nell'universo narrativo prendendo confidenza con la trama, le ambientazioni e la mole di attività destinate a un party completo e pronto a scoprire ogni angolo del mondo di gioco.
Come si può spiegare Dragon Quest a chi ancora non dovesse conoscerlo? Non è altro che il capostipite dei JRPG tradizionali, e dal quarto episodio in avanti offre esperienze completamente stand-alone. Il character design è affidato alle pennellate di Akira Toryiama, già autore di Dragon Ball e matita dietro Chrono Trigger, che ciclicamente presta i suoi talenti a Square-Enix per dare un volto a quel misterioso Eroe destinato a salvare il mondo dopo un'infanzia trascorsa in un villaggio ai margini della civiltà. Nel caso in esame il villaggio si chiama Cobblestone, e sorge in una fiorente e verdeggiante valle sotto l'attenta protezione del vicino regno di Heliodor.
Ci siamo immediatamente confrontati con alcuni elementi cardine dell'esperienza di Dragon Quest: il sistema di combattimento è ricamato attorno ai turni più tradizionali che esistano: l'Eroe attacca, ed è immediatamente seguito dai nemici. Il Character Builder, invece, si presenta come una scacchiera fatta di skill e abilità passive che diventano più incisive man mano che ci si allontana dal centro, con intere sezioni dedicate allo sviluppo di singole armi e una serie di requisiti che evidenziano la necessità di grindare esperienza nelle fasi più avanzate dell'avventura, in cui ci aspettiamo di incontrare nemici decisamente più impegnativi.
L'esplorazione ha fatto qualche passo avanti, e perfino le piccole comunità offrono ricompense sottese al completamento di semplici fasi di platforming e quest secondarie che, almeno inizialmente, non sembrano brillare per originalità: per intenderci, ci è stato chiesto di salvare un gattino bloccato su un tetto. Arrivati a Heliodor abbiamo saggiato la differenza tra gli insediamenti minori e le grandi città, vedendo queste ultime caratterizzate da una piacevole verticalità in cel-shading, oltre che decisamente più vive e ricche di attività. La maturazione del comparto esplorativo rimane comunque minima, e siamo sempre all'interno dei confini disegnati dalla formula JRPG più antica, fatta di brevi dialoghi con gli NPC e subquest nascoste tra i vicoli.
Ciò che è veramente apprezzabile è la cura dedicata alle ambientazioni: dagli spazi aperti ai maestosi edifici, il comparto artistico di Dragon Quest XI è stato meticolosamente studiato per offrire costantemente quegli scorci mozzafiato tipici dell'atmosfera fiabesca della serie. Incontrando il re siamo stati introdotti al motore dell'intreccio: il nostro Eroe viene additato come portatore di calamità, e dunque imprigionato per il bene di quello stesso mondo che è destinato a salvare. Non sappiamo le circostanze che porteranno alla sua fuga: quel che è certo è che pochi istanti più tardi abbiamo potuto vivere una sezione di gioco decisamente più aperta, ambientata nella suggestiva regione di Gallopolis.
Questa zona desertica ospita un regno che ricorda i sultanati mediorientali, ed è molto più accogliente della prigione di Heliodor. I locali sono appassionati di corse a cavallo, disciplina che si trasforma in uno dei numerosi minigiochi nei quali cimentarsi per vincere equipaggiamenti. Qui abbiamo fatto la conoscenza di Silvando, un simpatico performer che si è unito alla causa; ma Silvando non è l'unica new entry nel nostro team: a schermo spento siamo stati raggiunti da Erik e Serena, altri due personaggi volenterosi di impugnare le armi al nostro fianco. Ovviamente non abbiamo avuto il tempo materiale per costruire saldi legami con i comprimari, ma il loro livello di caratterizzazione ci è comunque parso leggermente blando e saldamente ancorato al cliché della gioventù candida e pura.
In ogni caso, il party completo regala un nuovo sapore al gameplay e aumenta l'immersione grazie al celebre comando di Question che permette di confrontarsi con i compagni, dando vita a dialoghi e interazioni uniche. Il combat system cresce di pari passo con la squadra, e ogni decisione assume maggiore importanza quando si affrontano i mostri più potenti. Se per occuparci dei trash mob possiamo organizzare gli sforzi degli alleati in una sorta di sistema Gambit, pre-impostandone il comportamento e scegliendo ad esempio se farli attaccare senza pietà o preservare gli MP, è decisamente meglio affidarsi alla gestione manuale per uscire vincitori dalle battaglie più impegnative.
La ritrovata libertà si è portata dietro anche la forgia, una delle feature che ci ha colpiti maggiormente per realizzazione. Per sfruttarla al meglio bisogna raccogliere i materiali attraverso un sistema di gathering, cercando minerali nel mondo aperto per poi fisicamente modellarli alla vecchia maniera. La silouhette della spada prende forma sotto i colpi del nostro martello, e possiamo sfruttare una serie di abilità legate al crafting per rifinire il lavoro e creare oggetti +1, +2 o +3 a seconda della precisione.
Al di là del gameplay, l'edizione di Dragon Quest XI destinata al mercato occidentale introduce una serie di novità piuttosto interessanti. Anzitutto, l'immediatezza e l'accessibilità caratteristiche della saga possono essere completamente azzerate attraverso un sistema di Draconian Quest ancor più difficile di quello presente nella versione giapponese; stando ai rumor non si potranno neppure equipaggiare armature e accessori. Inoltre, per la prima volta nella storia di Dragon Quest, l'esperienza ha potuto beneficiare di un doppiaggio inglese (ovviamente sottotitolato in Italiano) che va a sostituire i classici effetti sonori che simulavano il brusio dei dialoghi.
L'interfaccia utente e i menù sono stati sottoposti a un lavoro di rifinitura, ed è stata introdotta anche una modalità in prima persona per studiare i dettagli e scattare screenshot; il comparto esplorativo è stato invece arricchito con uno scatto, utile per ridurre i tempi morti nelle fasi di raccolta e di questing. Insomma, il Dragon Quest XI che si affaccerà sui nostri mercati il 4 settembre somiglia sempre più a una definitive edition, con tutti gli accorgimenti e le novità del caso.
Sarà decisamente interessante assistere alla reazione della community internazionale a questa undicesima istanza della saga senza tempo: l'utenza è da anni divisa in una frangia hardcore, che vorrebbe vedere il genere JRPG come eterno ed immutabile, e una fazione progressista che si è dimostrata più che volenterosa di calcare nuove strade. Dragon Quest rimane senza dubbio uno di quei titoli che suonano sempre la stessa sinfonia, cambiandone le sfumature di volta in volta e facendo la fortuna degli appassionati più nostalgici.