DreadOut: Keepers of the Dark - recensione
Linda è tornata, o meglio… non è mai tornata.
Il genere survival horror ha visto la sua comparsa nei primi anni '90 con Alone in the Dark e Clock Tower, veri e propri apripista per questa nuova esperienza videoludica che proponeva al giocatore un'avventura caratterizzata dalla particolarità di dover sopravvivere in ambienti terrificanti o infestati da creature demoniache con poche armi o addirittura nessuna a disposizione. Seguirono poi Resident Evil e Silent Hill, che diventarono dei punti di riferimento per questo genere che vide la sua "golden age" tra il '96 e il 2004.
Sulla scia di Resident Evil nacquero diversi cloni ma anche produzioni eccelse (soprattutto dal mondo orientale, specializzato nella produzione di film horror) come Fatal Frame - aka Project Zero - tutt'ora considerato uno dei franchise più spaventosi nel panorama dei survival horror.
Con Resident Evil che ha perso ormai da anni la sua identità, strizzando sempre più l'occhio ad un'impostazione action shooter, e Silent Hill ormai nel limbo dopo la cancellazione dell'episodio affidato a Kojima che avrebbe dovuto rilanciare la serie, gli amanti del genere survival horror vecchia scuola si sono trovati a corto di grandi IP a cui dedicarsi per vivere adrenaliniche notti di terrore virtuale.
Fortunatamente diversi team indie e piccole software house hanno capito che c'è ancora una grande fetta di consumatori non interessata all'impostazione action adottata da Capcom, che ama spaventarsi alla vecchia maniera, caratterizzata da ansiose attese, enigmi di difficile soluzione, colonne sonore angoscianti e picchi di tensione sapientemente inseriti in atmosfere apparentemente calme.
Digital Happiness è uno di questi team indie. Lo studio indonesiano ha esordito nel 2014 con DreadOut, survival horror in terza persona con protagonista Linda, una giovane studentessa che si ritrova in una cittadina abbandonata e infestata dai fantasmi, dopo essersi persa durante una gita assieme ai compagni e alla loro insegnante. DreadOut: Keepers of the Dark è il sequel di quel già valido gioco, che tratteremo in questa recensione, cercando di analizzare cosa offre di più e cosa di diverso rispetto al predecessore.
Il gioco inizia proprio dov'era terminato DreadOut, con Linda che si ritrova in quella che appare una hall di un albergo con diverse porte (chiamate reami) che conducono ognuna a una differente location. Gran parte dei reami vi riporterà a posti già visitati nel prequel, che risulteranno quindi familiari a chi li ha già "vissuti". Ma questi luoghi sono ambientati in un'altra epoca temporale e anche chi li conosce troverà delle differenze, una situazione che permetterà al contempo di capire alcuni retroscena della trama di DreadOut (non proprio chiarissima), e approfondirla da altri punti di vista. A queste aree già note si aggiungono però location completamente inedite, che sapranno offrire ore di angosciante esplorazione anche a chi conosce la vecchia scuola abbandonata o la tetra villa del secondo atto di DreadOut.
Le meccaniche di gioco, così come il motore grafico e fisico, sono rimaste totalmente invariate. La visuale è nuovamente in terza persona e i controlli macchinosi e poco fluidi come nel prequel. Ma questo non è necessariamente un punto di demerito, visto che Digital Happiness si ispira chiaramente ai primi episodi di Resident Evil, in cui la difficoltà che si poteva riscontrare ad esempio nell'orientarsi e fuggire da situazioni concitate di pericolo erano parte dell'esperienza di gioco.
Non cambia nemmeno la minaccia da sconfiggere: fantasmi e spettri. Per far fronte a tali angoscianti presenze, avremo nuovamente a disposizione il nostro fiammante "Irisphone", uno smartphone dalla batteria inesauribile che farebbe gola ai più noti produttori di cellulari odierni e, cosa più importante, dotato di un flash veramente potente che dovremo rivolgere contro i fantasmi per sconfiggerli. Ma lo smartphone ha suoi limiti e per affrontare situazioni più complesse e fantasmi più coriacei Linda potrà contare già dall'inizio sulla sua DSLR, recuperata nel corso del prequel.
In DreadOut: Keepers of the Dark ci saranno ben 13 nuovi fantasmi, realizzati in collaborazione con i backers che hanno fornito le loro idee tramite dei disegni. Ne sono risultati alcuni spettri davvero spaventosi, a testimonianza che esistono parecchie menti fervide e disturbate in giro per il mondo; a questi 13 nuovi spettri se ne aggiungono altri già incontrati nel prequel, ed altri ancora creati dal team di sviluppo.
Se DreadOut offriva un approccio di gioco lineare, con un evolversi della storia simile ad un film horror orientale, Keepers of the Dark adotta un'impostazione per certi versi più libera. Si potrà infatti scegliere a proprio piacimento di iniziare il gioco da uno qualsiasi degli otto reami disponibili, ma con molta probabilità la prima scelta non sarà quella giusta con cui iniziare. Linda avrà infatti bisogno di raccogliere oggetti ed elementi investigativi per potenziarsi e poter affrontare alcuni fantasmi che presiedono i rispettivi reami, ed alcuni boss saranno impossibili da sconfiggere senza aver completato prima altri reami.
Sarà quindi necessario, ad esempio, esplorare a fondo la stanza 103 alla ricerca di elementi narrativi e oggetti necessari, per completare la stanza 102. Da questo punto di vista il gioco obbliga a parecchio backtracking, un elemento di gameplay in genere non particolarmente amato. Gran parte dei reami, inoltre, prevede più di uno spirito da sconfiggere: dopo aver sconfitto il primo boss di un reame, infatti, la luce sulla porta che dà accesso al reame rimarrà accesa, un segnale indicante che c'è ancora qualche presenza da sconfiggere. Una volta sterminate anche le ulteriori minacce, la luce sulla porta si spegnerà.
Ma come funziona all'atto pratico la meccanica di gioco di DreadOut: Keepers of the Dark? Molte delle presenze spettrali che Linda dovrà fronteggiare sono invisibili a occhio nudo e occorrerà localizzarle attraverso l'obiettivo fotografico. Quando ci avviciniamo ad un'area infestata, la cornice dello schermo si tingerà di rosso, e se a questo aggiungiamo che in tali situazioni vi saranno come accompagnamento musiche angoscianti o terribili versi demoniaci, la paura è bella e servita su un piatto d'argento. A volte capirete ad esempio che i lamenti angoscianti provengono da una stanza con una porta chiusa e non ho esitazioni a confessare che più volte ho avuto parecchia ansia alla sola idea di dover aprire quella porta, nonostante la mia buona esperienza con i survival horror.
Il bello è che il gioco stesso vi esorta, tramite i consigli che appaiono tra una schermata di caricamento e l'altra, a non aver paura ad aprire le porte...è uno scherzo?! Più volte il joypad mi è saltato di mano quando un fantasma mi appariva alle spalle e mi gridava alle orecchie (giocare di notte nel silenzio della propria camera amplia la sensazione di angoscia), portandomi a un livello di ansia e paura che non provavo (videoludicamente) dai tempi della Mansion di Resident Evil 1. Alcuni di questi fantasmi sono poco potenti e i loro attacchi saranno raramente fatali, ma altri vi potranno far fuori con due o tre attacchi consecutivi; uno dei più spaventosi e inquietanti è addirittura capace di uccidervi in un sol colpo, e la prima volta che lo incontrerete lo spavento sarà quasi da infarto.
Il gioco è denso di elementi narrativi ed enigmi da risolvere. Quando vi troverete nelle vicinanze di un indizio o un oggetto da recuperare, la cornice dello schermo si tingerà di blu. C'è da dire che gli enigmi a volte non sono molto semplici, e sebbene il diario di Linda fornisca delle brevi annotazioni per aiutarci a procedere, spesso non basteranno per venirne a capo, e dovremo andare a tentoni esplorando più e più volte le stesse zone alla ricerca del tassello mancante per andare avanti.
L'aspetto tecnico è sicuramente quello più deludente. Il motore grafico non è per niente al passo coi tempi: mancano effetti di illuminazione avanzati, ombre complesse e alcuni elementi dello scenario hanno un numero troppo basso di poligoni, una situazione che conferisce quasi l'impressione di giocare ad un remaster di un gioco per PlayStation 2. Ottima invece la colonna sonora, che si fonde perfettamente alle atmosfere angoscianti, entrando in gioco sempre al momento giusto e aumentando così la tensione trasmessa al giocatore.
Giocare al prequel è caldamente consigliato per comprendere al meglio la storia e vivere così l'esperienza completa, ma è assolutamente possibile anche giocare a Keepers of the Dark senza aver giocato prima a DreadOut, in gran parte per via della diversa impostazione di gioco.
DreadOut: Keepers of the Dark offre quindi un'esperienza survival horror vecchia scuola, con elementi puzzle da risolvere misti ad esplorazione e tanta, tanta paura sommata ad ansia e angoscia, che vi accompagnerà dall'inizio alla fine dell'avventura in un crescendo progressivo. Il boss finale rappresenta il vero climax di questi sentimenti, e solo dopo averlo sconfitto potrete tirare un lungo sospiro di sollievo.
Per terminare l'avventura sono state necessarie 12 ore abbondanti, una lunghezza che appare adeguata al tipo di produzione ed al contenuto prezzo a cui viene proposto. Badate che Keepers of the Dark non è un gioco adatto a chi è facilmente impressionabile. Se invece siete alla ricerca di emozioni forti e siete amanti delle esperienze horror disturbanti e colme di adrenalinica tensione, questo gioco fa proprio per voi e non vi pentirete affatto dell'acquisto.