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C'era una volta il Dreamcast

L'ultimo sogno di SEGA.

L'arrampicata verso il successo era però destinata ad arrestarsi in maniera tragica: a due anni dal lancio sul mercato di SEGA comparve infatti nei negozi di tutto il mondo la console destinata ad infrangere ogni record di vendita, il cosiddetto monolito nero, la PlayStation 2 di Sony. Seppur in ritardo di oltre 24 mesi e quindi a mercato virtualmente chiuso, la Play 2 ebbe dalla sua un marchio affermato, diventato con la generazione precedente sinonimo di macchina da gioco e una caratteristica distintiva non indifferente, ovvero la possibilità di poter essere utilizzata anche come un lettore di DVD da salotto, così da raggiungere un target fino ad allora nemmeno considerato. La situazione volse quindi rapidamente al peggio.

Parallelamente le mosse di SEGA per cercare di contrastare la dirompente crescita della console concorrente furono tardive e assolutamente fuori scala: a causa di una gestione finanziaria non esattamente brillante, della dispendiosa vertenza con 3dfx che si concluse con la sconfitta della casa nipponica e di un’attenzione al marketing neanche paragonabile a quella di Sony, il declino si presentò presto quindi come irrecuperabile sia per mancanza di risorse, sia per una mentalità non improntata alla lotta senza esclusioni di colpi che si sarebbe presentata.

Un esempio di queste scelte per certi versi inspiegabili può essere riscontrato nelle decisioni relative alla politica di prezzo adottata dalla casa del sol levante: dovendo fronteggiare una rivale agguerrita, la strada iniziale fu quella di lottare in maniera sincrona sia sul fronte del prezzo che della qualità del proprio parco giochi: tale scelta avvenne però in maniera delocalizzata nei diversi mercati, con Sega che ad esempio decise di operare con degli importanti tagli di prezzo sul mercato americano, lasciando invariato invece il costo di una singola console in una realtà in forte crescita come quella europea. In questo modo i campi dove Sega poteva giocare la propria partita diminuirono sensibilmente.

Il Dreamcast, in tutto il suo splendore.

Dopo un veloce stillicidio, la fine delle danze venne sancita definitivamente il 31 gennaio 2001, quando, nonostante il tentativo di negare fino all'ultimo ogni voce relativa alla cessazione della produzione del Dreamcast, la casa giapponese dovette ammainare bandiera bianca. La produzione di giochi continuò comunque negli anni successivi, così come schedulato in precedenza: Sega si rese conto infatti che concentrare i suoi sforzi su un asset dove conservava ancora un certo margine di mercato fosse la soluzione migliore.

Scavando più a fondo alla ricerca delle cause di un insuccesso così clamoroso, è necessario considerare uno degli errori maggiori commessi da SEGA, ovvero il non aver valutato fin dall’inizio l’importanza del supporto nelle terze parti nello sviluppo di software per la nuova console: volendo a tutti i costi allontanare la propria immagine dai deludenti prodotti fatti uscire in precedenza, SEGA decise infatti di spezzare in maniera drastica qualsiasi legame con il passato, recidendo in maniera deleteria qualsivoglia supporto strategico con la generazione precedente; questa morte prematura del Saturn se da una parte non permise probabilmente di sfruttare appieno il potenziale di una console ancora in erba, dall'altro lasciò con l'amaro in bocca chi per quell'hardware si stava impegnando a creare dei giochi.

Di conseguenza il Dreamcast dovette pagare lo scotto di questa scelta commerciale non tempestiva, ritrovandosi con un supporto da parte di gruppi esterni alla famiglia SEGA che tardò in maniera considerevole, con tutto quello che ne conseguì. Di contro Sony, avendo a disposizione la possibilità di poter spendere un nome come PlayStation" si poté permettere di entrare nel mercato in ritardo e con un prezzo iniziale nemmeno paragonabile a quello dei concorrenti, ma con la consapevolezza di avere la possibilità di poter attingere fin da subito ad un catalogo in continuo arricchimento e in grado di richiamare parecchi investimenti.

Avatar di Roberto Bertoni
Roberto Bertoni: Proveniente dalla ridente Brianza, è cresciuto a pane e Amiga. Ama inoltre in maniera viscerale il retro, ma solo videoludico. Piatto preferito: pollo con la carrucola in mezzo.
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