Dying Light: gli zombi di Techland spiccano il balzo - recensione
Se non puoi sconfiggerli, ti faranno unire a loro.
Che Dying Light si portasse dietro il retaggio di Dead Island, la famosa serie a base di zombi e smembrature targata Techland, non è un mistero. La forte enfasi sul parkour introdotta dal nuovo titolo poteva sembrare, fin dalla presentazione del gioco, una bizzarra variante difficile da amalgamare con il resto, più che l'elemento vincente di cui si avvertiva la mancanza in Dead Island.
L'idea dell'open world infestato da navigare in lungo e in largo a furia di salti, scivolate, arrampicate e acrobazie risulta invece, una volta messo mano ai controlli, meno strampalata di quanto sembri ed effettivamente conferisce a Dying Light una sua identità, anche se in alcune circostanze capita di avere l'impressione di essere finiti nuovamente a Banoi.
Ma questo accade solo una volta che ci si è adattati alle nuove regole che dettano la sopravvivenza nel mondo di Dying Light. Le fasi iniziali ci catapultano infatti senza troppi complimenti nello scenario urbano della città di Harran, ridotta a quanto di più vicino a un inferno in terra possa esserci.
Il morbo ha ormai raggiunto la maggior parte della popolazione, compreso il protagonista Kyle Crane, che dopo un veloce adattamento alle nuove meccaniche di parkour deve lanciarsi giocoforza per i tetti di Harran al fine di recuperare risorse, completare missioni e destreggiarsi tra infetti, sopravvissuti non sempre amichevoli, aiuti paracadutati e il preziosissimo Antizin, unica sostanza in grado di tenere a bada la trasformazione dei sopravvissuti in zombi senz'anima.
La trama parte da capisaldi prevedibili: alla diffusione incontrollata del virus che abbiamo vissuto centinaia di volte nei videogiochi si aggiungono un po' di colpi di scena, alcuni meno telefonati di altri, che per una volta tanto rischiano veramente di sorprendere il giocatore nell'arco narrativo, tanto che è impossibile scendere in dettagli senza incappare in spoiler.
Un po' di riempitivi qua e là, insieme a qualche alto e basso, impediscono alla storia di mantenersi avvincente fino in fondo, ma complessivamente la voglia di vedere come si concluderà la sfortunata vicenda di Harran riesce a sopravvivere questi momenti di impasse.
Crane è comunque un uomo d'azione come le circostanze impongono, e dopo un'infarinatura iniziale in cui si fa la conoscenza della base delle operazioni e delle meccaniche fondamentali di spostamento e sopravvivenza, è tempo di scendere per le strade della città, o meglio ancora salire sui suoi tetti e darsi da fare.
All'inizio l'arsenale non si compone d'altro che spirito d'osservazione, doti atletiche e qualche rudimentale arma di fortuna trovata in giro, come tubi o martelli abbandonati. Eseguendo determinate azioni si guadagnano punti che permettono al personaggio di svilupparsi in tre differenti rami: sopravvivenza, agilità e forza.
Il ramo sopravvivenza contiene abilità utili a costruire ordigni, riparare meglio armi, usare vari tipi di trappole e in generale a migliorare l'adattabilità di Crane alle circostanze. L'agilità comprende tutta una serie di mosse acrobatiche utili a far mordere la polvere agli zombi come placcaggi, calci e schivate mentre dalla forza derivano ovviamente tecniche molto dirette con cui far capire agli infetti chi è che comanda ad Harran. Il percorso di potenziamento non è lineare, e c'è quindi la possibilità di personalizzare abbastanza il proprio bagaglio di mosse e tecniche.
Ma l'arma probabilmente più valida, potente e versatile di Crane sono... i suoi calci. Oltre alla semplice e rozza pedata, buona al massimo per fare indietreggiare di qualche passo i non morti troppo 'affettuosi', ci sono tecniche per calci volanti e in scivolata che vi troverete a utilizzare molto spesso come arma a costo zero, trasformando le scorribande di Crane per Harran in una sorta di riscaldamento post-apocalittico di Maradona.
Tutto il resto dell'arsenale, infatti, è soggetto a forte usura o, nella fortunata ipotesi che riusciate a mettere le mani su un'arma da fuoco, a scorte di munizioni non proprio generose. Le armi contundenti possono essere riparate una volta rotte, ma solo per un numero limitato di volte, il che limita l'utilità dei progetti che permettono di costruire e modificare tubi, picozze, accette e altro ancora.
Gli oggetti con cui assemblare armi e ordigni sono di vario tipo e fortunatamente abbondano nella desolata Harran. Armadietti in negozi o abitazioni abbandonate, furgoni (anche della polizia o ambulanze), contenitori nelle abitazioni e perfino bidoni della spazzatura contegono spesso spago, pezzi di metallo, plastica e qualsiasi altra cosa che farebbe la gioia di Mac Gyver.
Nel caso dei furgoni, spesso è necessario scassinarne le serrature prima della meritata razzia, ma con l'abbondanza di non-morti in giro non si può mai stare tranquilli. Fortunatamente la base dell'armamentario dei sopravvissuti è composta da tutta una serie di diversivi come petardi, ma anche ad esempio di granate congelanti con cui bloccare temporaneamente i nemici. Il crafting non richiede particolari strumenti e può essere effettuato via menu con pochi click.
A proposito di infetti, il luogo comune che vuole gli zombi di Dying Light praticamente inoffensivi durante il giorno è fondato solo a metà. Dopo qualche ora, ai nemici di base si aggiungono altri tipi di virali appena trasformati (spesso richiamati da rumori forti come le esplosioni, per cui la discrezione ha sempre senso) che corrono molto velocemente e per di più si arrampicano.
Nell'assortimento trovano posto anche giganti ben armati, lenti ma difficili da tirare giù, sputatori che colpiscono da molto lontano e altre varianti ancora. Al calar della notte, come noto, i ruoli si invertono e lo stealth diventa un obbligo: i cacciatori notturni sono molto sensibili ai rumori e il loro cono visivo viene mostrato sulla mini-mappa. In caso di avvistamento scatta un inseguimento molto tirato che di solito si conclude con la morte del protagonista o con il raggiungimento di uno dei tanti rifugi utilizzabili dopo averne fatto la dovuta disinfestazione.
La notte, in realtà, può essere aggirata abbastanza facilmente dormendo nei letti all'interno dei rifugi, ma visto che i punti abilità conquistati sopravvivendo alla notte o sfuggendo agli inseguimenti sono cospicui, ci sono buoni motivi per rinunciare a una sana dormita e avventurarsi per le strade buie di Harran oltre che per il semplice fattore sfida. È un peccato, invece, che le missioni che teoricamente obbligano ad azioni notturne siano più o meno sempre aggirabili con qualche trucchetto che riduce i rischi non proprio a zero, ma quasi.
Dying Light, insomma, ci mette un po' a esaurire il fattore novità e se non fosse per la storia un po' sottotono (chi è stanco dei cattivi psicotici che si esprimono come luminari dell'Accademia della Crusca alzi la mano), un playthrough sarebbe una divertente cavalcata ininterrotta dall'inizio alla fine.
I diversivi, comunque, non mancano. Per essere una città sull'orlo dell'estinzione, Harran è sorprendentemente ricca di persone intenzionate a recuperare oggetti e portare a termine compiti anche futili, o meglio a chiedere a qualcuno di farlo al posto loro.
Vagando da un punto all'altro si incappa poi in emergenze di vario tipo, da un sopravvissuto assediato dagli zombi o da una banda, allo svitato di turno da proteggere durante gli spostamenti. Degli aerei sorvolano sporadicamente la città, sganciando casse di aiuti che diventano immediatamente l'obiettivo di altri sopravvissuti, rendendo necessario raggiungerle per primi in caso si voglia arraffare qualche scorta in più.
A questo proposito, c'è da dire che i continui spostamenti sono piuttosto facili. Le meccaniche del parkour sono volutamente benevole e basta tenere premuto il tasto designato per attaccarsi a una sporgenza anche dopo un salto di parecchi metri. La facilità di movimento potrebbe sembrare eccessiva ma è fondamentale soprattutto durante le fasi notturne, in cui i non-morti sono dannatamente rapidi e letali.
Il multiplayer s'integra nel normale flusso del gameplay. Durante il gioco è possibile flaggare la propria partita come privata, aperta ai soli amici o anche pubblica, e in caso di ingresso di altri giocatori ci si ritrova in uno scontro tra umani e non-morti, con i primi intenti a distruggere dei nidi degli infetti prima che questi ultimi esauriscano i respawn del nemico.
Grazie al DLC apposito rilasciato gratuitamente, durante queste fasi è possibile impersonare anche il cacciatore notturno, con mobilità e possibilità di esegiure kill istantanee nelle giuste condizioni. Naturalmente gli zombi hanno dalla loro mobilità e potenza, mentre gli umani possono contare sul loro arsenale e sulla luce ultravioletta, in grado di esaurire l'energia nemica e rendere indifeso il bersaglio.
I sensi di sopravvivenza, che corrispondono a una scansione dell'ambiente con tanto di comparsa di segnalatori sulla mini-mappa, pareggiano un po' le cose sia nel multiplayer che nelle fasi notturne in generale.
Nel complesso, dunque, le cose da fare non mancano in Dying Light. L'estensione della città e la sua buona resa rendono le cose gradevoli anche dal punto di vista grafico, sebbene alcune impostazioni rendano le visuali più larghe abbastanza pesanti per la GPU. Le impostazioni permettono comunque di regolare a piacimento la qualità di ombre e altri elementi, nonché di abilitare o meno l'anti-aliasing, per alleggerire le cose.
La questione delle GPU merita un discorso a parte: nonostante le segnalazioni di difficoltà a far girare adeguatamente il tutto con schede AMD, nel nostro caso non abbiamo riscontrato problemi con una R9 270X e una prova effettuata con una vecchia HD 6950 da 1GB ci ha permesso di giocare tranquillamente pur dovendo rinunciare, come prevedibile, ad alcuni dettagli grafici.
Complessivamente il motore sembra stabile: in parecchie ore di sessioni siamo incappati solamente in uno sporadico problema di personaggio incastrato nel pavimento durante una sequenza di fuga da segnalare, e in un singolo glitch di cadaveri con cui non è stato possibile interagire dopo un'esplosione.
Per quanto bizzarra, alla fine l'accoppiata Dead Island + parkour si è rivelata un'evoluzione ben riuscita del genere, che soffre principalmente di un cast e di una storia non sempre all'altezza e di un difetto congenito a cui gli open world per ora non sembrano riuscire a sottrarsi, quello delle attività secondarie che in più di un'occasione mostrano la loro natura di riempitivo preconfezionato senza troppi slanci creativi.
Anche se tutti questi elementi presi singolarmente non sono il massimo dell'originalità, Techland ha fatto un buon lavoro nell'unirli in un insieme convincente e, soprattutto, divertente. Sicuramente un buon passo nella giusta direzione per l'evoluzione della formula di Dead Island.