È finita l'era degli FPS? - editoriale
Il genere più gettonato degli ultimi 10 anni comincia a dare segni di cedimento. Chi prenderà il suo posto?
Il mondo dei videogiochi ha vissuto molte fasi diverse. Tra la fine degli anni '80 e i primi '90, sull'onda del successo di Mario e Street Fighter, non esiste publisher che non abbia tentato di lanciare sul mercato il suo picchiaduro a incontri o il suo platform con mascotte. Ovviamente, i risultati erano spesso discutibili, o addiritturaimbarazzanti: chi vi dice che "ai vecchi tempi" i videogiochi erano più originali evidentemente ha la memoria corta, oppure è un inguaribile nostalgico che tra vent'anni dirà la stessa identica cosa dei giochi di oggi.
Prima ancora c'era stato il momento degli shoot'em up: inizialmente a schermata fissa (Galaga, Galaxian, Asteroids, Space Invaders, Centipede...) e poi a scorrimento (R-Type, 1942, Raiden, Gradius eccetera). Anche gli RPG hanno vissuto i loro anni di gloria a colpi di Final Fantasy e Baldur's Gate, e per qualche anno persino le avventure grafiche come Monkey Island sono state alla ribalta, risultando tra le esperienze di gioco più apprezzate dal pubblico.
Ognuno di questi generi in passato ha rappresentato una vera potenza economica e, a turno, la principale forza trainante della nostra industria. Per alcuni il successo è stato tanto rapido a venire quanto ad andarsene; altri sono rimasti sulla cresta dell'onda per oltre un decennio ma tutti senza nessuna esclusione hanno visto alla fine concludersi la propria parabola. L'avanzamento tecnologico, i mutati gusti del pubblico e infiniti altri fattori li hanno portati, se non a scomparire, ad essere relegati in un ruolo di importanza molto minore.
Nella maggior parte dei casi, non si è trattato di un processo istantaneo e traumatico. Semplicemente, anno dopo anno, gli esponenti del determinato genere hanno iniziato a vendere di meno, fagocitare meno gettoni nelle sale giochi (quando ancora esistevano) e suscitare meno interesse tra la gente. La storia del nostro medium ci ha regalato anche vicende più pirotecniche, di generi che sono scomparsi praticamente da un giorno all'altro (basta pensare a Guitar Hero e soci), ma solitamente questo processo di declino è stato morbido e graduale, tanto che difficilmente si può identificarne l'esatto momento d'inizio.
Secondo chi vi scrive, a trovarsi in una situazione del genere, adesso, è il genere videoludico che da circa 10 anni domina le classifiche e rappresenta la gallina dalle uova d'oro dell'intera industria: lo sparatutto in soggettiva. La sua storia la conosciamo tutti: affonda le radici ben prima dell'inizio di questo millennio e parte, più o meno, da Wolfenstein 3D, per poi giungere al successo mainstream (quasi "virale") con Doom e le sue successive incarnazioni, restando però esclusiva PC o quasi.
A fine anni '90 l'FPS approfitta dei nuovi controller con doppio stick analogico per sbarcare su console e ottenere il successo con il primo Medal of Honor, ma è indubbiamente con l'arrivo di Call of Duty (in particolare del quarto capitolo: Modern Warfare) che il genere decolla e comincia a macinare miliardi di dollari, scalando le top 10 annuali e diventando un caposaldo dell'industria con cui praticamente ogni publisher, da allora, ha tentato di cimentarsi.
Torniamo al 2015 e misuriamo qual è l'attuale stato di salute di questo straordinario fenomeno. Il primo fatto che salta all'occhio è che, date le condizioni dell'industria complessivamente mutate, il compito di creare uno sparatutto in soggettiva di successo, un 'tripla-A' che abbia qualche chance di competere con la concorrenza sempre più aggressiva, è diventato enormemente dispendioso e rischioso.
Nell'ultimo paio di anni, "sbagliare" un FPS è costato la vita ad almeno un nome illustre (Irrational Games, "colpevole" di aver mancato il target di vendite con Bioshock: Infinite) e ha contribuito al fallimento addirittura di un publisher: il flop dell'ambizioso Homefront è stato, infatti, uno degli elementi che hanno messo in seria difficoltà le finanze di THQ, poi andata in bancarotta. È evidente che tentare di attingere al piatto degli FPS si è fatto un gioco potenzialmente molto pericoloso.
Ma guardiamo anche alle fortune di chi invece riesce ancora a sfruttare il genere con indiscutibile successo, tanto da risultarne il "re": stiamo parlando ovviamente di Call of Duty. I dati di vendita parlano chiaro: la serie ha vissuto il suo picco con Modern Warfare 3 (27 milioni di copie worldwide) e da allora sta vivendo un lento ma evidente declino, con ogni capitolo successivo che ha venduto meno del precedente.
Certo, i numeri complessivi sono sempre enormi, ma tra i tempi d'oro di MW3 e l'ultimo Advanced Warfare esiste un gap prossimo ai 10 milioni di copie: non certo un buon segno. Non va meglio all'altra serie principale del settore: anche Battlefield, infatti, ha visto una flessione di vendite tra il terzo e il quarto episodio, e l'interesse del pubblico per il prossimo Hardline non sembra esattamente alle stelle.
Ampliando il ventaglio degli esempi, possiamo guardare agli altri FPS "classici" usciti nel corso del 2014. A parte quelli già citati, ci sono indubbiamente alcuni nomi piuttosto grossi: su tutti Titanfall e Wolfenstein: The New Order. Il primo ha senz'altro rappresentato un buon esordio per una nuova IP, ma combinando le tre piattaforme su cui è uscito (Xbox One, Xbox 360 e PC) avrebbe venduto circa 4 milioni di copie totali: di certo non un fenomeno di mercato.
Il secondo è stato molto apprezzato per la sua storia e ambientazione, oltre che per la sua capacità di dare nuovo lustro ad una serie un po' dimessa, ma non è comunque riuscito a superare i tre milioni di copie su cinque diverse piattaforme. Per rendere la situazione ancora più chiara: le vendite di Titanfall e Wolfenstein, sommate, non bastano a controbilanciare il declino di Call of Duty.
Da osservatore, la situazione non sorprende. Le chiavi di lettura della parabola apparentemente in discesa degli FPS sono due: la prima è l'eccessivo sovraffollamento del mercato, la seconda è la mancanza (forse fisiologica) di vere novità all'interno del genere. Sul primo punto è inutile spendersi: il mercato negli ultimi anni, è stato letteralmente saturato da sparatutto in soggettiva in tutte le forme, salse e misure. Abbiamo vissuto la fase della seconda Guerra Mondiale e quella moderna, abbiamo giocato FPS futuristici, horror, western, comici... di tutto. Il pubblico, inevitabilmente, comincia ad essere stanco.
Il secondo punto potrebbe invece darci una visione di quello che sarà il futuro del genere. Per questioni puramente tecniche, è evidente che gli FPS "classici" abbiano ormai raggiunto il loro apice: le meccaniche di base sono ormai più che perfezionate, il multiplayer online è una pratica consolidata e, non ultimo, l'impatto grafico delle console next-gen non si è dimostrato tale da motivarci a giocare ancora le stesse cose, solo perché "più belle".
La risposta a tutto ciò potrebbe risiedere in un fenomeno di trasformazione che è già iniziato e che possiamo definire con una parola: "ibridazione". A ben guardare, infatti, nel 2014 una storia di successo (forse non di critica ma sicuramente di pubblico) esiste per gli sparatutto in soggettiva: si chiama Destiny. Pur essendo una nuova IP, il titolo di Bungie ha venduto oltre 10 milioni di copie. Non sfuggirà però il fatto che Destiny non è un "semplice" FPS: alle dinamiche classiche degli sparatutto, infatti, coniuga quelle dei titoli massivi online. Tanto è bastato (unitamente ad una campagna di marketing massiccia) per riaccendere l'interesse del pubblico.
Un'operazione simile è stata tentata anche dal più recente Evolve, che con il suo gameplay asimmetrico ci mette una volta nei panni dei cacciatori e un'altra in quelli del mostro, in un gioco di cacciatore-e-preda che finisce per risultare un po' FPS cooperativo, un po' stealth e un po' action in terza persona. Infine, impossibile non citare la nuova modalità in soggettiva di GTA V, che impiega il punto di vista tradizionale degli FPS per offrire al pubblico un gioco noto ma, al tempo stesso, diverso.
Forse è proprio questa la strada per consegnare al futuro, in un certo senso, il "retaggio culturale" degli FPS: reinterpretare le meccaniche classiche di un genere che ormai conosciamo a memoria e inserirle in altri contesti, rendendole il completamento di un "piatto" più grande, complesso e interessante. Un po' quello che è successo agli RPG, che da un lato si sono marginalizzati come fenomeno ma dall'altro hanno "innestato" parecchi elementi del loro gameplay in tutti gli altri generi: basti pensare alla "crescita di livello" ormai presente anche negli sparatutto o agli elementi di storia nei giochi di guida eccetera.
Ovviamente il 2015 ci porterà ancora una discreta infornata di FPS "puri" che, probabilmente, godranno di un certo successo: nomi come Halo, Call of Duty e Battlefield difficilmente scompariranno dalle classifiche di vendita nel giro di una stagione. Però numerosi segnali indicano un fatto: l'era in cui imbracciare uno shotgun e sparare a qualcuno (che fosse un mostro o un avversario online) costituiva, da sola, una motivazione sufficiente a coinvolgere il grande pubblico, facendogli spendere miliardi di dollari, potrebbe essersi avviata al termine. Per gli FPS, come del resto avviene ad ogni altra cosa, è arrivato il momento di evolversi o farsi da parte.