Perché è così difficile annunciare un nuovo videogioco?
Sony non sarà all'E3 e altri evitano l'evento. Ma ormai è come una roulette russa.
Qual è il momento giusto per presentare al pubblico un nuovo videogioco? Nel pieno di un gigantesco festival dedicato al medium, in cui i più grandi publisher del pianeta si sfidano a colpi di immensi tripla A?
Forse in un luogo più tranquillo come ad esempio il palco dei The Game Awards? È possibile che la scelta migliore sia quella di evitare il traffico e anticipare i tempi rispetto alle grandi kermesse? Oppure, ancora, bisognerebbe far calmare le acque e sorprendere tutti con un exploit estemporaneo?
E soprattutto, qual è il modo migliore per catalizzare l'attenzione degli appassionati? Anche se non esiste una risposta univoca a questa serie di domande, e i publisher più celebri dell'industry stanno cercando costantemente nuove formule per emergere in un mercato ormai estremamente affollato, c'è una considerazione con la quale è molto difficile essere in disaccordo: Rockstar Games è l'unica software house capace di piegare le regole del gioco a suo piacimento.
Perché Rockstar è Rockstar, e lo studio fondato dai fratelli Houser se n'è sempre fregato delle logiche di marketing e di comunicazione che governano l'industria. Un giorno cambia l'immagine di copertina delle pagine social, una settimana dopo sbuca un teaser trailer, e nel giro di poche ore tutto il mondo viene investito dal terremoto del nuovo gioco della casa, sia esso un capitolo di Grand Theft Auto o di Red Dead Redemption.
Questo genere di libertà, tuttavia, è una conquista. Non basta adottare le strategie comunicative di Rockstar per diventare Rockstar: servono anni e anni di successi nel corso dei quali non si sono mai disattese le aspettative degli appassionati, sfornando capolavori capaci di segnare per decenni la crescita delle community. I Rockstar Studios non devono mostrare o vendere un videogioco, è il pubblico che desidera follemente la loro ultima creazione, perché ormai si è venuto a creare un rapporto di fiducia inscalfibile.
Un rapporto di fiducia che sembrava aver contaminato anche l'orbita di CD Projekt RED fino al lancio di Cyberpunk 2077, titolo che ha impartito agli aspiranti competitor un'altra pesante lezione: basta un singolo scivolone e si rischia di perdere tutto.
Annunciare videogiochi, oggi, è come partecipare alla roulette russa. Scegli un grosso palcoscenico e rischierai di finire oscurato da un altro enorme progetto tripla A. Accelera i tempi e ci sarà l'eventualità di bucare clamorosamente le tempistiche di pubblicazione incorrendo in rinvii inevitabili. Affacciati troppo presto sul mercato e finirai per essere dimenticato rapidamente. Tarda con la presentazione e incorrerai nelle ire dei consumatori.
L'E3 2021, così come la Summer Game Fest 2020, ricorda ormai lo spezzatino della Serie A calcistica: c'è un anticipo, poi un altro ancora, poi arriva il match delle 12 seguito dal grosso delle partite, infine arriva l'ora dei posticipi e, perché no, anche di un incontro rinviato di un mese.
Il caso più emblematico è quello di Sony, che sembra aver ormai divorziato definitivamente dalla kermesse losangelina. I più maliziosi diranno che la casa non ha più le cartucce necessarie per mettere in scena show memorabili come quelli visti in passato. Alcuni analisti, di contro, sostengono che la compagnia non è più disposta ad aumentare la cassa di risonanza mediatica della concorrenza portando sul palco i suoi prelibati first party.
A prescindere dalle motivazioni che hanno guidato la scelta del colosso giapponese, Horizon Forbidden West è stato estensivamente mostrato al pubblico ben prima dell'apertura delle porte dell'E3. Verosimilmente, Sony tiene nascosto qualche altro colpo nel caricatore e osserverà con pazienza lo svolgersi della manifestazione per poi sferrare il suo colpo come un predatore, magari sfoderando dal cilindro le prime immagini di God of War Ragnarok al momento opportuno.
Ubisoft ha deciso di scorporare Far Cry 6 dalla sua presentazione, mentre Techland, dopo due anni di silenzio, ha riesumato Dying Light 2, completando il trio di produzioni AAA che si sono volontariamente escluse dai confini dell'E3. La domanda è: perché? E la risposta più logica risiede ovviamente nella paura di passare inosservati nel ciclone di annunci che caratterizzeranno le conferenze vere e proprie.
C'è un rischio del quale i publisher non sembrano tuttavia tenere conto, ed è quello di scontrarsi con la memoria a breve termine che caratterizza i moderni consumatori dei videogiochi. Pensate a strepitosi successi come Fall Guys, Valheim o Among Us: se persino titoli di questo genere, capaci di monopolizzare i canali di streaming e le classifiche di Steam, finiscono per svanire senza lasciare traccia nel giro di pochi giorni, vien da chiedersi quale sia il destino di un semplice annuncio preventivo.
Il problema del "quando" annunciare un videogioco, d'altra parte, andrebbe analizzato anche in senso più ampio. Fino a qualche tempo fa non era raro assistere a teaser di titoli che sarebbero usciti ad anni di distanza, e che venivano svelati brevemente solo per stuzzicare la fantasia degli appassionati. Ma la voglia di sognare ha velocemente ceduto il passo all'insofferenza, e la maggior parte dei publisher sembrano ormai temere più di ogni altra cosa il primo confronto con il pubblico.
Dopo un Kingdom Hearts 3 che ha tardato per oltre 15 anni, dopo i meme maturati attorno ai teaser di casa Sony, dopo casi eclatanti come quello di Scalebound che ha investito Microsoft, la gestione della comunicazione si è fatta oltremodo cauta. I tempi di sviluppo si sono dilatati, ed è ormai chiaro che possa accadere la qualunque nel periodo di post-reveal, dalla discesa in development hell fino addirittura alla temuta cancellazione.
Tutte queste preoccupazioni stanno portando i grandi palchi dedicati ai videogiochi ad abbandonare la classica connotazione da "fabbrica dei sogni" per abbracciare la formula della mera presentazione pubblicitaria. Schiacciati dal peso delle aspettative, guidati dalla mano del marketing, spaventati dalla vastità del calderone videoludico, i publisher hanno deciso di correre ai ripari, arrivando a smontare pezzo per pezzo anche il grande parco divertimenti dell'E3.
Forse non ascolteremo più orchestre impegnate a suonare in diretta le colonne sonore più amate dagli appassionati. Forse non vedremo più Shigeru Miyamoto cavalcare il palcoscenico vestito da Link per annunciare la genesi di un nuovo capitolo di Zelda. Forse non arriverà nessuna celebrità a raccogliere lo scettro lasciato da Keanu Reeves al centro dell'arena di Los Angeles.
Probabilmente verrà selezionata minuziosamente una determinata data sul calendario, allo stesso modo in cui vengono inquadrati solo i migliori segmenti del gameplay, quelli che vengono ritenuti più adatti per sedurre lo spettatore e catturarlo nella rete del pre-ordine. E forse è anche giusto che le cose vadano in questo modo, perché l'annuncio di un nuovo videogioco è passato dall'essere un momento di festa all'incarnare le peggiori paure di uno sviluppatore.
E allora quando si annuncia un videogioco? Probabilmente la risposta corretta è anche quella più ovvia: bisognerebbe annunciarlo quando è pronto. Perché è vero che Rockstar è Rockstar, ma se ha raggiunto un simile stato di grazia è anche a causa del modo in cui si muove nelle viscere del mercato, attendendo nell'ombra e centellinando ogni informazione per poi sorprendere gli appassionati così, di botto, con un prodotto già pronto e infiocchettato sul quale è possibile fantasticare per pochi mesi.
Scegliere di evitare una grande manifestazione è come ammettere di avere dei dubbi sul proprio progetto quando accostato a rivali eccellenti, mentre anticipare i tempi... beh, basta guardare a Cybeprunk 2077, Beyond Good & Evil 2 o Scalebound per farsi un'idea delle possibili conseguenze.
Il compianto Steve Jobs ci aveva visto lungo: quando le imprese creative finiscono per essere guidate dalle sole logiche di marketing, e dimenticano che il loro andamento è legato alla qualità di prodotti in cui si crede ciecamente, sono dolori per tutti.