L'E3 ha ancora senso? - editoriale
Il principale show della games industry è invecchiato, si è rimpicciolito e continua a perdere pezzi: c'è bisogno di una strategia di rinnovamento.
A cosa serve l'E3? Non lo chiedo con sarcasmo, ma con genuina curiosità, mista a preoccupazione. Semplicemente, non riesco più a capire come l'ESA, società organizzatrice della fiera, veda la sua stessa creatura. Nel corso degli anni, quello che prima era il più grande appuntamento sul calendario di ogni appassionato di gaming ha imboccato direzioni diverse, nel tentativo di restare rilevante, ma ha sempre finito per tornare alla formula più classica e collaudata: un mega-show organizzato al Convention Center di Los Angeles, al quale sono ammessi solo coloro che possono dimostrare di lavorare attivamente nell'industria. Per quanto gli organizzatori tentino di vendere ogni piccola novità come una rivoluzione totale, l'E3 di oggi è ancora più o meno lo stesso di quando ci andai per la prima volta, 15 anni fa. Con la differenza che a quei tempi la formula godeva ancora di grande successo.
C'è solo una differenza molto sostanziale rispetto al passato: oggi l'E3 è più piccolo. Fa fatica a riempire le sale del Convention Center, e qualche tempo fa ha totalmente abbandonato la Kentia Hall, che per anni aveva consentito di scoprire piccole gemme nascoste a chiunque avesse la voglia e il tempo di scovarle tra un mare di idee male abbozzate o irrealizzabili. Quest'anno, poi, i partecipanti non potranno fare a meno di notare diverse assenze importanti. La perdita dello stand Konami, un tempo imponente e affollatissimo, era una conseguenza inevitabile dell'abbandono da parte del publisher del mercato console, ma le decisioni di EA e Activision di tirarsi fuori dallo show di quest'anno sono ben più significative.
La domanda, quindi, sorge spontanea: l'E3 ha ancora senso? A cosa e a chi serve esattamente? Ovviamente non è per i consumatori, che non sono neppure ammessi all'ingresso (sebbene l'ESA abbia spesso inventato diversi sistemi, più o meno creativi, per farne comunque entrare una certa quantità). In teoria sarebbe uno show per gli addetti ai lavori, ma molti dei più grandi player dell'industria ne sembrano tutto fuorché soddisfatti. Non soltanto Electronic Arts e Activision: persino le aziende che saranno presenti nei padiglioni sembrano vedere la cosa come un'aggiunta a quella che è la parte più importante della settimana, ossia le conferenze pre-show individuali. Un tempo queste erano esclusivo appannaggio dei produttori di console, ma ora ogni grande publisher organizza la propria. Se la decisione di EA e Activision di non presenziare alla fiera non avrà particolari ripercussioni negative su nessuna delle due, potete scommettere che il prossimo anno altri publisher prenderanno in considerazione di fare altrettanto.
Il problema di fondo è che il mondo è cambiato, mentre l'E3 è rimasto lo stesso. Un tempo era l'unico evento davvero globale in calendario. Londra aveva l'ECTS, Tokyo il TGS, ma nessuno dei due era in grado di rivaleggiare davvero con l'E3. A quei tempi, però, il mondo era molto diverso: internet era molto meno diffuso e non esistevano gli streaming in alta risoluzione, per esempio. Al giorno d'oggi, l'E3 si ritrova in un contesto in cui molti altri eventi, francamente, sono più efficaci nel motivare la loro esistenza e svolgere la loro funzione. Singoli eventi di grandi dimensioni, organizzati in diverse parti del mondo, servono il pubblico meglio di quanto non faccia un enorme evento a Los Angeles: la GamesCom di Colonia e il TGS di Tokyo restano tra gli appuntamenti principali, ma ci sono anche altri grandi eventi in Europa, Asia e America Latina, in grado di offrire alle aziende uno spazio per raggiungere i propri clienti nelle loro regioni di appartenenza.
Negli Stati Uniti, intanto, l'E3 si trova assediato su due fronti. Il PAX è diventato lo show con la maggior partecipazione di pubblico consumer, mentre uno sciame di eventi più piccoli serve le necessità delle realtà più di nicchia. La GDC, invece, è diventata il punto di riferimento principale per gli addetti ai lavori della games industry, il luogo in cui publisher e sviluppatori si incontrano e discutono fra di loro. Tra queste due realtà, lo spazio vitale per uno show "dedicato ai professionisti, ma tutto sommato anche ai consumatori, dove discutere di affari ma anche impressionare il pubblico tramite costosissimi ed appariscenti stand"... si fa sempre più esiguo.
Alla base di tutto ciò c'è semplicemente il fatto che l'E3 è in crisi d'identità. Vuole ancora essere uno show globale nell'era degli eventi disseminati nelle regioni di appartenenza: al giorno d'oggi, essere "globali" significa puntare una telecamera verso il palco e trasmettere in diretta streaming, non pretendere che il pubblico salga su un aereo per raggiungerti da ogni parte del mondo. L'E3 vuole anche essere uno "spettacolo" e al tempo stesso un posto dove parlare di affari, con il risultato di fare male entrambe le cose. Vuole emozionare ed intrigare i consumatori, ma non li ammette all'ingresso.
I mezzi passi compiuti in passato per smussare questi angoli non sono bastati a convincere il pubblico del fatto che l'E3 ha ancora il suo ruolo di centralità assoluta: lasciar entrare una quota limitata di consumatori ha soltanto creato problemi a chi è lì per lavoro, irritando al tempo stesso tutti i gamer che sono rimasti esclusi. Anche la realizzazione, più volte ipotizzata, di un evento a parte interamente dedicato al mondo consumer, non farebbe altro che frammentare ulteriormente gli sforzi delle aziende, lasciando comunque agli appassionati la sensazione di non essere al "vero" evento. Nel frattempo, lo show in sé comincia a sembrare sempre di più il contorno della portata principale, ossia le innumerevoli conferenze satellite che gli vengono organizzate intorno ogni anno. Infine, non posso fornire i numeri esatti ma ho la sensazione che sempre più addetti ai lavori restino semplicemente a casa a guardare gli streaming in diretta, piuttosto che prendersi la briga di volare fino a Los Angeles.
La risposta ai problemi dell'E3 deve passare per un rinnovamento integrale: l'ESA deve riunirsi con i suoi membri (inclusi quelli che hanno già abbandonato lo show) e ridefinire i suoi obiettivi e il suo target di riferimento. Il "marchio" E3 ha chiaramente ancora molto impatto tra i consumatori, ed è improbabile pensare che non ci sia richiesta per uno show al Convention Center di Los Angeles che apra davvero l'ingresso a tutti gli appassionati di videogiochi. Tutto sta a vedere se l'ESA sia realmente interessata a realizzare qualcosa del genere. Dal punto di vista degli affari, credo che sarebbe per loro un grosso errore non prendere in considerazione questa opzione: la settimana dell'E3, con tutte le sue conferenze e i suoi annunci, ancora emoziona e coinvolge i gamer di tutto il mondo, che probabilmente sarebbero lieti di accorrere in massa ad un evento esplicitamente dedicato a loro.
Per quanto riguarda i professionisti, ci sono già modelli collaudati per combinare l'aspetto business e quello consumer senza creare malumori e confusioni. Molti eventi in giro per il mondo, non soltanto in ambito gaming, aprono i battenti per un paio di giorni soltanto agli addetti ai lavori e poi, solitamente durante il weekend, accolgono anche i consumatori. Si possono immaginare anche altri approcci, ma il punto è che ci sono molte soluzioni migliori di quelle che in passato l'ESA ha tentato con poca convinzione di adottare. (Davvero qualcuno pensava che fosse una buona idea lasciar distribuire agli organizzatori dei vari stand un "numero chiuso" di inviti per i loro super-fan personali...?)
Anche se l'E3 in senso stretto sta perdendo colpi ormai da tempo, la settimana dell'E3 rimane un momento di grande importanza per la games industry. Questa galassia di conferenze e eventi privati merita di gravitare intorno ad uno show centrale meglio organizzato e mirato. Gli organizzatori dell'ESA devono mostrare coraggio, fare mosse radicali e aggressive per rinnovare l'Electronic Entertainment Expo: continuare ad affidarsi al vecchio e stagnante format continua a restituire, anno dopo anno, risultati sempre più preoccupanti.