Elden Ring ha ravvivato la fiamma dell'avventura - editoriale
Da Gothic a Dragon's Dogma passando per Breath of the Wild.
Da quando è uscito Elden Ring, nella mia cerchia di amicizie legate al mondo dei videogiochi non si parla d'altro. C'è chi si sta perdendo nelle profondità dell'Interregno, c'è chi sta sudando sette camicie per abbattere le mostruosità di Castello Grantempesta, e c'è soprattutto chi, in seguito a lunghi periodi di pausa, ha ritrovato nell'opera di FromSoftware l'unico motivo per tornare ad accendere la console, in certi casi a distanza di anni dall'ultima volta.
Potremmo trovare dozzine di ragioni dietro l'incredibile successo di una filosofia creativa storicamente destinata a una piccola nicchia. Del resto è già successo più e più volte, gli esempi eccellenti non mancano, come nel caso di Monster Hunter al momento del rilascio di World, oppure di The Witcher con l'avvento del terzo episodio, oppure ancora di Skyrim, che in seguito ai successi di Fallout ha raccolto un pubblico senza precedenti sotto la bandiera di The Elder Scrolls.
I primi dati parlano di un titolo capace di piazzare un numero di copie alieno alla sua dimensione, imponendosi in mercati come quello UK al pari di colossi come FIFA, Call of Duty e Red Dead Redemption 2, mentre la maggior parte degli indicatori suggeriscono una settimana d'esordio da record che - stando ad alcuni analisti quotati - avrebbe fatto sfiorare al lavoro di FromSoftware la soglia dei 10 milioni di unità vendute.
Potremmo trovare dozzine di ragioni esoteriche dietro questo exploit, dicevamo, ma l'impressione emersa dai primi feedback disegna una situazione in cui Elden Ring è stato capace di centrare un obiettivo che i videogiochi open-world mancavano da The Legend of Zelda: Breath of the Wild, ovvero quello di riaccendere la fiamma dell'avventura e la passione per la scoperta, regalando un senso ai mondi sterminati che ormai caratterizzano pigramente gran parte della produzione del medium.
L'idea di cavalcare verso l'orizzonte senza l'ausilio di alcun indicatore, senza trovarsi davanti un percorso dorato e già piastrellato per giungere a una destinazione predeterminata, senza la benché minima idea di ciò che si nasconde nelle profondità di un castello oppure oltre un semplice ascensore, ha restituito all'esperienza targata FromSoftware un sapore che pochissime opere sono state in grado di tramandare nel corso degli anni.
Quella sensazione che i pionieri del settore ricordano da Adventure, che molti trentenni hanno vissuto vagabondando negli Hyrule Fields dei primi capitoli di Zelda in tre dimensioni, che i più determinati hanno ciclicamente riscoperto nei confini di produzioni per l'appunto storicamente "di nicchia", come Shadow of the Colossus, Gothic o Dragon's Dogma, opere che sono riuscite a convincere i giocatori di non trovarsi all'interno di un mondo scaturito dal determinismo della programmazione.
L'avventura "vera", quella che Shigeru Miyamoto ha più volte celebrato raccontando delle scorribande che viveva durante l'infanzia, quando girovagava in mezzo alle campagne del paesino di Sonobe: salendo una collina scopriva un lago, all'ombra di un salice s'imbatteva in una grotta, allontanandosi dai sentieri battuti incontrava sempre una sorpresa inaspettata e non segnalata sulle cartine.
Al primo sguardo, potrebbe sembrare che la filosofia creativa di Miyazaki, per raggiungere questo risultato, sia stata costretta a sacrificare il peso della narrativa. Se ne discute spesso, della narrativa di FromSoftware: molti la considerano una forma embrionale di scrittura, qualcosa che deve ancora portare a termine il proprio processo di maturazione fino ad assumere i connotati di una "sceneggiatura" tradizionale, al fine di comunicare una grande storia al pubblico in aggiunta all'esperienza straordinaria che l'accompagna.
A nostro avviso, però, non è così. In Elden Ring il giocatore non è il protagonista di una canzone di gesta, non è l'attore principale di una kermesse, bensì uno storico, un esploratore che prima d'ogni altro mette piede nei confini di un'antica città perduta svelando i misteri di antiche civiltà. Come un archeologo che per la prima volta varca la soglia di una piramide egizia e accumula elementi per ricostruirne la storia, così i videogiochi di FromSoftware ci pongono costantemente davanti a mosaici da ricomporre pezzo dopo pezzo in lande sconosciute.
L'Interregno è una "Terra di Mezzo" sospesa nel tempo ma priva di una Compagnia dell'Anello che funga da protagonista, un mondo nel quale muoversi affamati di conoscenza per svelare il passato di Granburrone, il destino di Moria e i misteri di Minas Morghul senza l'ausilio di un narratore consapevole. Operazioni che, al tempo stesso, è possibile effettuare solamente dopo aver completato l'incessante scalata che la casa giapponese si ostina imperterrita a porre dinanzi al giocatore una release dopo l'altra.
Anche questo è un elemento che ha fatto e continua a far discutere gli appassionati di videogiochi, tanto che difficoltà e curva di apprendimento sono ormai divenuti argomenti all'ordine del giorno nel settore. Perché FromSoftware non si piega alla crescente domanda di ulteriori opzioni di regolazione del livello di sfida? Forse si tratta di uno studio elitista volenteroso di opporsi all'allargamento del suo potenziale bacino di utenza?
Purtroppo è molto difficile riuscire a spiegarlo a chi non abbia vissuto in prima persona il percorso di crescita che regala un'anima unica alle opere dello studio, ma se private della caratteristica curva di apprendimento queste crollerebbero come castelli di carte, allo stesso modo in cui molto probabilmente non reggerebbero l'eradicazione dell'approccio narrativo di tipo "storico" in favore dell'innesto forzato di una trama "contemporanea".
È ironico, infatti, che nel corso degli ultimi anni dozzine di autori abbiano provato a replicare la magia degli originali soulsborne tentando di mettere in scena senza successo dei "soulslike", individuando erroneamente il segreto del successo del genere dietro la cruda componente meccanica, mentre l'opera che più ci si è avvicinata, ovvero Hollow Knight del Team Cherry, è quella che più d'ogni altra si è allontanata dalla formula tecnica di Myiazaki per abbracciarne invece l'essenza.
Proprio a causa di questa essenza, finalmente uscita dalla sua nicchia, Elden Ring avrà un devastante impatto sul mercato come anni fa lo ebbe Breath of the Wild: se a partire dal 2017 nessun titolo open-world è più riuscito a portare a casa riconoscimenti importanti, l'ultima fatica di Miyazaki potrebbe inaugurare un ulteriore ciclo. Un'epoca che si tradurrà nell'inevitabile senso di inadeguatezza che ammanterà le produzioni ancorate alla moderna tradizione del genere, e che probabilmente porterà, un giorno, all'emersione di un'altra opera capace di imbrigliare nuovamente questo rarissimo spirito d'avventura.
Magari sarà proprio Starfield, che quest'autunno promette di portarci in un universo sci-fi come non se ne sono mai visti, o magari dovremo attendere almeno un altro lustro prima di sentirci a casa sulle sponde di un mondo virtuale. Quel che è certo è che l'Interregno ha spalancato i suoi cancelli, accogliendo sì tantissimi entusiasti, ma anche tantissime persone che non sembravano più in grado di trovare un proprio posto oltre il velo malinconico delle moderne avventure interattive ambientate in mondi aperti. Ed è possibile che, in seguito alla vicenda dell'Anello Ancestrale, il sapore delle esperienze open-world sia destinato a cambiare per sempre..