L'empatia nei videogiochi: una connessione speciale - editoriale
Può davvero cambiarci?
"Io ti vedo" direbbero i protagonisti di Avatar, pluripremiato film del 2009 che ha saputo emozionare milioni di persone. Un'affermazione del genere è un modo unico per dire, in un certo senso, che le nostre menti possono essere connesse. Ebbene, il panorama videoludico ci ha spesso mostrato titoli pregni di empatia, sebbene ultimamente gli sviluppatori abbiano calcato la mano. Alcuni credono che la sensibilità dei giocatori possa essere scossa dal torpore comatoso in cui si culla. Può anche essere un modo per aprire gli occhi a un animo testardo, così come cercare di coinvolgere chi provi una profonda apatia per i videogiochi.
Ve ne abbiamo parlato qualche mese fa, e forse i due piatti della bilancia si controbilanciano quasi perfettamente. Eppure, proprio come con una bilancia, alcuni aspetti vanno dosati per evitare sgradevoli esagerazioni. Innanzitutto, il tipo di sensazione che si vuole trasmettere deve essere spontaneo e genuino. È bene specificare, però, che per quanto una trama ben scritta possa sconvolgere momentaneamente, è errato pensare che possa stravolgere il modo di vivere delle persone. Un giocatore può emozionarsi, ma può anche non tradurre questa reazione con un effettivo cambiamento nelle sue azioni. Certo, potrebbe accadere, ma si tratta di casi fin troppo rari e isolati.
Proprio per questo motivo, è necessario iniziare a plasmare l'empatia e le principali abilità sociali nei due periodi più delicati e vulnerabili: l'infanzia e l'adolescenza. È infatti proprio in questo lasso di tempo che il futuro carattere di un individuo può essere formato in modo efficace. Insomma, è difficile che un uomo adulto e vaccinato possa improvvisamente apprendere il potere dell'empatia e, soprattutto, replicarlo nella vita reale grazie a un videogioco. Nel caso dovesse accadere, avverrebbe per un motivo molto importante: una buona base di "soft skills".
Si tratta di quattro abilità specifiche, in Inglese definite 4 C, che vengono insegnate ai bambini. Ci riferiamo alla creatività, alla collaborazione, al pensiero critico e alla comunicazione. A influire in modo particolarmente impattante, però, è anche il rapporto plasmatosi con la propria madre nei primi anni dell'infanzia. A quanto pare, sarebbe proprio (e anche) la figura materna a trasmettere in modo più o meno intenso l'empatia. Proprio per questo motivo, ciò che si concretizza nel corso degli anni può essere il risultato del rapporto madre-figlio (così come determinate dinamiche verificatesi nell'ambiente familiare, a prescindere). Ho avuto modo di parlarne con Camillo Langella, Dottore in scienze e tecniche psicologiche, e mi ha rivelato delle informazioni piuttosto interessanti.
"L'empatia è la capacità degli individui di sintonizzarsi con gli altri, a livello affettivo o emotivo, quindi di comprenderne lo stato d'animo. Siamo in grado di fare ciò con altri esseri umani, ma anche con gli animali, con gli oggetti e con personaggi virtuali, appunto, che riguardano i videogiochi", ha detto. Ebbene, concentriamoci sugli aspetti positivi: in questo tripudio di sfumature, abbiamo la certezza che i videogiochi non sono solo tali. Non tutti, almeno. Secondo la Entertainment Software Association (ESA), il 67% dei genitori gioca con i figli almeno una volta alla settimana, rafforzando il loro legame e scoprendo nuove sfaccettature delle proprie emozioni. Questo splendido strumento di interazione dimostra che il mondo videoludico non ha un potere distruttivo come si pensa, ma può legare le persone e permettere loro di immedesimarsi in situazioni fondamentalmente realistiche.
Un esempio perfetto è It Takes Two, ultima creatura di Josef Fares che, con estrema genuinità, mostra le varie facciate dell'empatia. Da un lato troviamo una bambina che percepisce il dolore dei genitori e cerca di riunirli. Dall'altra parte, la coppia è accecata dai litigi e non riesce a focalizzarsi sulla sofferenza che sta recando alla piccola. Potrebbe quasi sembrare una sorta di egoismo o di superficialità da parte dei genitori, ma come vedete l'empatia ha una miriade di sfumature davvero particolari. Inoltre, si tratta di una situazione in cui molte persone potrebbero rispecchiarsi, e quindi empatizzare in modo più o meno intenso.
Secondo Langella, un altro esempio perfetto non può che essere la celebre serie di Life is Strange, un universo narrativo che ha emozionato innumerevoli giocatori nel corso degli anni. "Un videogioco che sicuramente fa empatizzare molto è Life is Strange. L'empatia si attiva anche di fronte a personaggi che ci somigliano o che, comunque, vivono esperienze simili alle nostre", ha detto. "Prendiamo come esempio Max, il tipico personaggio che si sente inadeguato, insicuro, e che forse ha un po' di fobia sociale. Insomma, è una sfaccettatura abbastanza tipica tra gli adolescenti".
Uno studio effettuato su alcuni studenti delle scuole medie, dai ricercatori dell'Università del Wisconsin-Madison, ha rivelato dei risultati davvero interessanti. I ragazzi che hanno giocato titoli incentrati sullo sviluppo dell'empatia hanno mostrato reti neurali alterate; quest'ultime, infatti, sono collegate alla regolazione delle emozioni. Ebbene, queste sessioni di gioco coincidono con un'esplosione nella crescita del cervello, nonché con un momento in cui i ragazzi sono maggiormente esposti a potenziali primi incontri con depressione, ansia e bullismo. Ecco perché i videogiochi possono essere principalmente impattanti in questa fascia d'età, ma possono comunque influire sulle emozioni di qualsiasi individuo, a prescindere da quanto quest'ultimo sia giovane.
Bisogna, però, essere chiari: un aspetto molto importante dell'empatia è che essa non si focalizza esclusivamente sulle emozioni o sugli atteggiamenti positivi. Anche un personaggio cattivo, crudele ed egoista può suscitare empatia, e ciò dipende anche dal modo in cui viene strutturato il corpo narrativo della storia. È chiaro che, qualora si calchi eccessivamente la mano, si rischierebbe di ottenere l'effetto opposto. Al tempo stesso, tuttavia, non è nemmeno necessario imbattersi in chissà quale trama intricata per emozionarsi.
"Credo che la capacità di empatizzare sia molto importante, perché garantisce innanzitutto che il giocatore proceda col gioco, ma soprattutto rende l'esperienza videoludica più intensa. Questo perché entrano in gioco una grande quantità di emozioni. Tuttavia, i videogiochi emozionano anche senza empatia. Pensiamo a Super Mario o a Doom: sono giochi che non fanno empatizzare, eppure divertono tantissimo", ha detto Langella.
Ebbene, un esempio che si contraddistingue completamente è proprio il Doomguy. "Quest'ultimo è semplicemente un personaggio che uccide chiunque. Non sappiamo nulla di lui, se non che uccide demoni. Il gioco in sé fa divertire tantissimo, ma non c'è una struttura dietro che ci permetta di sentirci in un certo senso simili a lui".
Ma abbiamo davvero bisogno di una struttura emotiva per amare un gioco? E, soprattutto, i videogiochi possono cambiare la nostra mentalità e il nostro modo di vivere? Come abbiamo già anticipato prima, è difficile plasmare la mente di un adulto e modificarne le azioni in modo così sconvolgente. Al tempo stesso, si tratta di eventi estremamente soggettivi che, seppur non abbiano lo stesso impatto su chiunque, possono ugualmente restarci impressi e insegnarci qualcosa. Una cosa è certa: l'empatia svolge un ruolo fondamentale nei videogiochi, sia dal punto di vista prettamente interattivo quanto emotivo.
Può aprirci gli occhi, farci riflettere e insegnarci qualcosa. Personalmente, mi nutro di trame intricate come se fossero una sorta di fonte energetica per la mia mente. Innumerevoli titoli mi hanno regalato emozioni, mi hanno strappato lacrime, sorrisi e, in alcuni casi, sono entrati profondamente in sintonia con alcune vicende a me familiari. È questo il fulcro dell'empatia nei videogiochi: sintonizzarsi con un protagonista e sentirlo quasi come se fosse una parte di te, nonostante tutto.
Tuttavia, se ciò non dovesse verificarsi, non avrebbe alcuna importanza. Ciò che fa star bene conta più di qualsiasi altra cosa, che si tratti di uccidere demoni, fiondarsi in uno scontro PvP o platinare My Name is Mayo perché fa "numero". Il mondo videoludico è ricco di sfumature, ma a volte non è indispensabile concentrarsi troppo su di esse. Essere consapevoli dei vari aspetti formativi è sicuramente benefico ma, come chiarito nell'articolo sull'apatia, è indispensabile seguire il proprio istinto senza scervellarsi troppo. È proprio questo il bello dei videogiochi: sono un rifugio virtuale in cui non ha importanza cosa si faccia, cosa si pensi o quale sia il risultato finale. È un bel viaggio a prescindere da qualsiasi cosa. Se quest'ultimo, eventualmente, può insegnarci qualcosa o aiutarci a vivere in modo diverso e sereno, meglio ancora!