L'era dell'acquisto compulsivo - editoriale
Compriamo più di quello che possiamo giocare: perché?
Analizzare attentamente certi schemi comportamentali è probabilmente il modo migliore per proclamare l'uguaglianza tra i popoli, e per popoli non intendo quelli sanciti dai confini geografici ma le migliaia di tribù, fandom, insiemi sociali, gruppi d'ascolto e forum tematici che definiscono i nostri interessi. Perché se riduciamo a zero le variabili date dalle preferenze e dal contesto, ci rendiamo conto che siamo fondamentalmente schiavi degli stessi schemi mentali.
Quello che sto per dirvi potrebbe non piacervi ma... avete presente le donne durante i saldi? Quelle donne che comprano qualunque cosa, non tanto perché il prezzo è basso ma perché è forte lo sconto? Quelle donne alla Sex & The City che collezionano scarpe, anche se non ne hanno assolutamente bisogno? Quelle che "costava così poco"? Quello stereotipo femminile che amiamo prendere in giro, che tanto stereotipo poi non è?
Ecco quelle, anzi, quelli, siete voi. Anzi, se faccio l'elenco dei giochi che non ho ancora provato, quelle siamo noi, noi vittime di questa favolosa epoca di saldi infiniti. Non siamo poi così diversi da coloro che assediano un centro commerciale, siamo solo più fortunati perché non dobbiamo sgomitare per un gioco indie venduto a 2 euro.
Chiariamo subito, il fatto di poter comprare un gioco a un prezzo veramente basso è una gran cosa, soprattutto quando, come negli Humble Bundle, il nostro acquisto ha un fine ancora più nobile. Ma se in questo caso posso giustificarmi dicendomi che lo faccio per beneficienza, che scusa ho per tutti quei titoli su Steam comprati a meno di 10 euro e giocati per neanche un'ora o che addirittura non ho neppure installato?
"Siamo sicuri che correre il più possibile per terminare un gioco e passare a quello dopo sia realmente divertente?"
"Beh", mi dico, "li giocherò un giorno, intanto li compro che costano poco". Peccato che "un giorno" abbia la stessa valenza di quel "vediamoci qualche volta, eh?" con cui si salutano i vecchi amici che s'incontrano per strada dopo che non li si vedeva da una vita.
E intanto la collezione cresce e se può capitare che mi recuperi, magari durante qualche festività, il titolo imprescindibile perso per qualche motivo, ma tutti gli altri rimangono lì ad aspettare il loro turno. Il tempo è poco, i giochi tanti, e per quanto possa cercare di terminare un gioco nel minor tempo possibile, uscirà sempre qualcosa che mi distrarrà dal sacro compito di esplorare tutta la collezione.
Tra l'altro, siamo sicuri che correre il più possibile per terminare un gioco e passare a quello dopo sia realmente divertente? Perché lo facciamo? Ci stiamo veramente divertendo o è il nostro gusto per lo compulsione? Potrà sembrarvi un po' drastico ma io sono fermamente convinto che chiunque ami veramente molto i videogiochi, me incluso, abbia qualche crepa dentro di sé.
Attenzione, questa non è una critica, è solo un aspetto della personalità; sono convinto che qualunque media permetta di lasciare il mondo fuori dalla porta, attragga in maniera naturale un certo tipo di persone.
Passare un'intera giornata sul divano a leggere un libro (magari dopo aver svuotato la carta su Amazon), spararsi una maratona di serie TV senza neppure alzare le tapparelle, distogliersi dal PC solo per andare in bagno durante un raid, sono attività che hanno in comune molto più di quello che possiamo pensare.
Lo dicevo all'inizio, se eliminiamo i dettagli, siamo tutti vittima degli stessi schemi mentali: sono le attività che sono viste e percepite in maniera diversa. Per questo chi gioca tutto il giorno si vergogna (o viene visto) come se avesse passato il pomeriggio a masturbarsi e chi legge no.
Non è colpa dunque del mezzo in sé ma dell'uso che ne facciamo o dell'utilizzo suggerito dal nostro modo di vedere le cose. Solo che i videogiochi, con i loro continui rischi e ricompense, con le loro piccole gratificazioni istantanee, sono probabilmente la trappola migliore per un cervello modellato sui ritmi di oggi. D'altronde ci sarà un motivo se il concetto di "gamification" ha invaso quasi tutti i settori in cui è prevista l'interazione umana e, spesso, un acquisto, no?
"Nessuno ci dirà di fermarci, tranne lo zero sul conto in banca."
Possediamo quindi un cervello che vive di piccole compulsioni, di gratificazioni istantanee e quale compulsione moderna è più gratificante dell'acquisto? E quale acquisto più facile di quello fatto comodamente seduti di fronte a uno schermo? È così che l'atto di comprare diventa un gioco esso stesso: pochi euro per una scarica di endorfina, e la nostra pila di giochi non è altro che l'high score.
Forse parte del successo dei titoli indie e mobile è dovuto proprio a questa situazione. Spesso sono giochi piccoli, veloci e poco costosi, quindi riusciamo a finirli in poco tempo, senza lasciare che si accumulino, spendendo poco. Un procedimento molto più difficile da mettere in atto, anzi impossibile, se si volesse giocare a fondo tutti gli Assassin's Creed, i GTA, gli Uncharted, i Batman e magari spendere qualche ora in un MMO.
Inoltre, quando compriamo un gioco in digital delivery non dobbiamo creare spazio su uno scaffale, non arriva nessuno a dirci di mettere in ordine e non rischiamo di finire sepolti dalle scatole. Nessuno ci dirà di fermarci, tranne lo zero sul conto in banca. È tutto là, al suo posto, ordinato e incorporeo, e il non vedersi di fronte più di 1000 titoli non ci permette di capire fino a che punto siamo arrivati.
Per certi versi, è un concetto molto simile alla facilità di spesa generate dalle carte di credito. Quante volte, dopo averla usata, non ci è sembrato neppure di aver speso soldi perché è mancato l'atto fisico dello scambio di denaro?
Triste? Patetico? Non sono qui per dare giudizi morali e ognuno è libero di spendere i propri soldi nel modo che preferisce, ma siamo sicuri che avere una collezione piena di giochi che non giochiamo sia veramente ciò che vogliamo?