Etherborn - recensione
Un bel gioco dura poco e fa girare la testa.
Di puzzle game che sovvertono le regole della fisica e provano in tutti i modi a confonderci il cervello, ne sono usciti tanti. Ricordate il vecchio Kula World per PlayStation? Aveva un concept semplice: guidare una palla colorata lungo labirintici livelli sospesi cercando di arrivare al traguardo evitando tutti gli ostacoli.
La pratica ovviamente era assai più complicata della teoria ed è proprio questo il segreto di questo tipo di giochi. Il solo cambio di asse orizzontale o verticale è in grado di mandarci in confusione, figuriamoci se in gioco entrano anche altri fattori in grado di moltiplicare ulteriormente le possibilità di movimento.
Etherborn appartiene ad una nuova generazione di puzzle game ambientali, ed è stato ibridato con un platform dall'atmosfera onirica che lo rende decisamente appetibile sotto il profilo estetico. Il concept che tiene insieme il tutto è una versione poetica della fine delle cose.
Piuttosto che proporre il solito scenario post-apocalittico, gli sviluppatori di Etherborn hanno immaginato un mondo completamente destrutturato, tornato alla sua forma primaria (l'Albero del Mondo) sul quale domina una voce narrante (Dio?) e nel quale si muove l'ultimo simulacro di vita senziente, un essere senza volto più simile ad un manichino che ad un vero e proprio umano. C'è insomma anche una sorta di trama, ma è decisamente trascurabile e ben presto non ci farete neanche più caso.
Ciò che invece non potrete non apprezzare è il particolare stile grafico di Etherborn, capace di riportare alla mente i desertici e poetici scenari di Journey ma in parte anche le multiformi ambientazioni di Portal e molto altro ancora. La forma insomma non manca, ma la sostanza è altrettanto intrigante? La risposta è "sì", ma con qualche riserva.
Come spesso accade in questo genere di giochi, i primi livelli servono più che altro a prendere confidenza con le regole e il sistema di controllo. Quest'ultimo è decisamente semplice quindi ci concentreremo principalmente sulle prime. In sostanza ciò che dovrete fare è interpretare le forme dei surreali scenari in cui vi muoverete e rispettare sempre i dettami della gravità.
Possono sembrare consigli scontati ma vi assicuriamo che in alcuni casi perdere la bussola non è affatto difficile. Spesso e volentieri inoltre dovrete affidarvi anche ad un pizzico di fortuna, specialmente nei salti, quando la visuale del punto di atterraggio non è esattamente comoda. Una volta entrati nell'ottica di Etherborn, però, inizierete a "vedere la luce" e tutto diventerà più immediato.
Ogni mondo nasconde un enigma che non consiste nella risoluzione di formule matematiche o nella manipolazione di oggetti. È invece necessario raccogliere dei globi luminosi che spesso aprono nuove vie e attivano meccanismi "naturali". L'esplorazione riveste un ruolo fondamentale, visto che spesso avrete anche una discreta libertà di movimento.
Vi capiterà almeno in un paio di occasioni di pensare di essere incappati in un bug che rende impossibile la progressione ma così non è, sicuramente avrete trascurato un angolino o un piccolo passaggio che vi farà puntare dalla parte opposta e proseguire verso la fine del livello. In questo senso Etherborn mette a dura prova la pazienza, ma regala anche buone soddisfazioni anche se la varietà non è certo uno dei suoi pregi.
Il vostro girovagare sarà accompagnato da un'eccellente colonna sonora che ha il preciso obiettivo di rilassare i vostri nervi messi a volte a dura prova dall'intricata morfologia dei livelli. L'avventura non dura molto, bastano un paio d'ore per arrivare alla fine ma i titoli di coda porteranno in dote una modalità New Game + ancora più ostica e accattivante.
Nel complesso quindi abbiamo di fronte un puzzle game un po' diverso dal solito, forse un po' "strappato" via in alcuni momenti ma comunque piacevole e impegnativo. Un po' più di sostanza non avrebbe guastato, per questo ci aspettiamo un minimo di supporto post-lancio in grado di rimpinguare sia la varietà che la longevità.