Everything - recensione
Un'esperienza interattiva che vi condurrà oltre i limiti dell'umana comprensione.
Ad Everything la definizione "videogioco" sta decisamente stretta. Quello che ci siamo trovati tra le mani, dopo averlo scaricato dal PS Store, non risponde ai canoni classici del medium. In Everything non esiste grado di sfida, non c'è una storia, un protagonista né tanto mento un cattivo a cui farla pagare. Quello che offre la produzione firmata da David OReilly è un'esperienza interattiva in grado di trasmettere un ampio ventaglio di emozioni, un prodotto che sicuramente farà fatica ad andar giù ai gamers più tradizionalisti.
David OReilly è un game designer visionario e difficile da inquadrare, una sorta di hipster del digitale, basti pensare che tra le sue opere si annovera un simulatore di montagne, in cui il giocatore è chiamato a prendere le parti di questi appuntiti ammassi rocciosi. Everything si discosta a livello di protagonista ma il concept del prodotto rimane comunque di difficile interpretazione. Come indica la parola stessa possiamo essere qualunque cosa, dal microorganismo più insignificante alla galassia più maestosa, e spingerci al di là dei limiti dell'umana comprensione.
Okay, ma quindi in questo Everything che cosa c'è fare? Domanda spinosa questa, poiché in realtà non c'è nulla "da fare" più che altro c'è tanto da esplorare, da percepire e da apprendere. Molto spesso si dice che è più importante il viaggio della meta stessa, ebbene qui la meta non esiste, esiste solo il viaggio. Le sensazioni, la meraviglia e lo strano senso di scoperta e crescita sono il vero motore portante di questo bizzarro prodotto, la sensazione che si prova dopo averlo giocato è di aver fatto esperienza, ma non in termine di punti e abilità come nei normali GDR, bensì un'esperienza che possiamo portarci dietro anche dopo aver spento la console.
Ma andiamo con ordine, per quanto possibile. All'inizio non siamo che un flebile puntino luminoso che vaga per la galassia in cerca di uno scopo. Solo pochi istanti e ci avviciniamo ad un pianeta verde e rigoglioso, tutto sommato simile al nostro. Il viaggio ci porta da un tenero e mansueto bovino e in men che non si dica siamo dentro di lui. Sensazione strana, non siamo effettivamente una mucca, ne vestiamo semplicemente la pelle, liberi di spostarci altrove quando più ci aggrada.
Le animazioni sono ridotte all'osso e il quadrupede che ci ospita non è nemmeno in grado di camminare. Rotola su sé stesso, come se fosse formato da un poligono solo, un parallelepipedo rotolante senza velleità di grazia. L'impatto iniziale è esilarante, così come lo è veder rotolare un intero branco dopo aver capito che è possibile richiamare attorno a sé altri elementi della nostra stessa specie.
Dopo alcuni minuti ci viene insegnata la danza, il metodo attraverso il quale è possibile incrementare il numero degli esseri che controlliamo. Tenendo premuto un tasto infatti, le creature cominciano a fremere, e arrivate al culmine della loro frenesia danno vita ad un nuovo esemplare. A cosa serve? A nulla di preciso, una fumosa metafora dell'origine della vita, slegata da inopportuni atti sessuali che avrebbero snaturato la produzione.
Dopo qualche minuto nei panni della mucca ci viene insegnato che è possibile passare ad una qualsiasi altra forma: cervi e lupi sono gli esempi più lampanti, ma perché non alberi, cespugli o sassi? Tutto in Everything è un contenitore in grado di ospitare la nostra essenza, uno spirito in perenne movimento la cui ricerca dell'illuminazione non ha mai fine.
La trasmigrazione da un contenitore all'altro può sembrare limitata per come ve l'abbiamo descritta, d'altronde siamo abituati a pensare secondo schemi rapportati alla nostra dimensione, ma le possibilità che ci troviamo davanti sono più di quel che sembrano. La meccanica dell'ascesa e della discesa entrano in gioco proprio adesso, rivoluzionando completamente la nostra idea di "personaggio giocabile". Con l'ascesa si passa a dimensioni maggiori, viceversa con discesa si entra in mondi sempre più ridotti.
Partiamo dalla mucca di cui sopra, la discesa porta magari ad un cane, poi una roccia, un filo d'erba, un insetto, una cellula, un atomo e poi particelle talmente piccole da rientrare nei misteri del microscopico. Viceversa, sempre partendo dal bovino, potremo passare ad un albero, poi ad un'isola, al pianeta intero, al sistema solare, la galassia e via discorrendo, entrando nel campo dei paradossi quantici in cui preferiamo non addentrarci. Se state già pensando di vedere cosa c'è al limite dell'infinitamente piccolo o dell'infinitamente grande non vi roviniamo la sorpresa, ma vi diciamo che in Everything c'è una risposta che forse non siete pronti a sentire.
Ma il viaggio non sarebbe completo senza una guida, o meglio, un compagno, che vi aiuti ad esplorare i misteri dell'infinito condendoli con una sana dose di filosofia e qualche lezione di vita. Durante il nostro peregrinare per le dimensioni, sia fisiche che metafisiche, si entra spesso in contatto con dei messaggi audio. In questi podcast trascendentali il filosofo inglese Alan Watts snocciola perle di saggezza che ci spingono ad interrogarci sui più intensi misteri della nostra esistenza. L'origine della vita e il suo scopo ad esempio, tematiche di rado trattate in un videogioco e che qui vengono messe in risalto con un fare quasi accademico.
Everything non può essere quindi definito "gioco", è più un'esperienza, un documentario interattivo adatto a coloro che vogliono addentrarsi in riflessioni filosofiche attraverso un medium più leggero di un mattone cartaceo da cinquecento pagine. In ultima nota vogliamo segnalare la bizzarra (ma in questo caso azzeccata) possibilità di lasciare che il titolo si "giochi da solo" attraverso una funzione di autoplay. Questa ci vede come osservatori passivi di un universo in continuo mutamento, in cui la forma cambia, così come lo spazio in cui ci si muove, ma il mistero dell'ignoto continua a diradarsi, facendosi al contempo sempre più fitto.