Fable compie 15 anni! - speciale
In ricordo di Albion, dell'eroe di Oakvale e dell'Effetto Molyneux.
Peter Molyneux sognava di costruire un mondo enorme, e questo sogno l'ha trasmesso a migliaia di videogiocatori. Prometteva semi che sarebbero cresciuti, generazioni di eroi che avrebbero sostituito i propri antenati, una continua evoluzione ambientale e un gameplay, direbbe qualcuno, emergente. Cercava insomma di creare un Action-RPG che avesse la profondità di un Morrowind, l'elemento simulazionista di un titolo Looking Glass Studios, l'immersività vitale di un Legend of Zelda (con Wind Waker già a piene vele), l'interazione completa di Shenmue e l'elemento temporale di un God Game (come Populous). Un progetto ambizioso, troppo ambizioso, che nel non lontano 2004 portò a una netta divisione delle reazioni del pubblico di fronte a Fable, che oggi compie ben 15 anni.
Fable è stato un cavallo di battaglia per Xbox e Microsoft, in anni di Console War senza sosta. Già al lancio, però, era evidente che Molyneux - famoso oramai per questo genere di cadute di stile - si fosse sbilanciato. Il team Lionhead, di circa trenta persone, non poteva costruire un RPG così ambizioso. Nonostante le buone intenzioni e la fusione con Big Blue Box, i tempi erano stretti. Dopotutto s'era lontani dalle potenze di calcolo odierne, lontani dai problemi (e dai miracoli) degli Open Word, lontani dalla possibilità di correggere i passi falsi giorno dopo giorno, con patch e update continui col ritmo a cui siamo stati abituati negli ultimi anni.
Le aspettative - troppo alte - schiacciarono in breve un mondo comunque solido, tanto da vivere per altri due sequel. Una storia che conosciamo, se pensiamo alle vicende di No Man's Sky, oggi in piena rinascita. Una vicenda mediatica che forse rischia di ripetersi, se guardiamo alla confidenza con cui certi developer stanno lanciando i propri giochi (da Death Stranding a Cyberpunk 2077), forse dimentichi dell'effetto Molyneux.
Il pubblico si ritrovò di fronte ad ambienti semi-lineari, a un "libero arbitrio" quasi inconsequenziale (che tanto male ha fatto persino a Mass Effect 3), a un prodotto che si adagiava su stratagemmi strappati ai MMORPG (emotes, vestiari, modifiche estetiche) e su una narrativa sempliciotta e un po' troppo autocompiaciuta. La longevità era a sua volta carente, sostituita dall'invito a ripercorrere gli eventi seguendo linee morali presentate con una visione ingenua e manichea, con dialoghi in parte ironici e in parte banali. Poche le Side Quest, in zone che presto diventavano strette all'esploratore più avventuroso, frastagliate da caricamenti continui.
Eppure, Fable merita di essere giocato ancora oggi, proprio a ragione della sua ambizione e di quello che, tolto il contesto commerciale e le delusioni post-lancio, resta un gioco ricco di spunti e dal mondo vivace. Strutturalmente non è poi così diverso dal primo The Witcher, o - tolte le gilde - da un gioco dei Piranha Bytes (Gothic, Risen). I pregi sono molti, a cominciare dalla presenza di missioni speculari, dal lavoro di doppiaggio per rendere ogni NPC un'anima parlante, dalle reazioni del mondo al comportamento del protagonista, definito da fama, morale, vestiario e atteggiamenti. Il mondo intero reagiva all'eroe di Oakvale, anche se forse in maniera un po' troppo formulaica.
Lo stile di gioco, che permetteva un approccio melee, ranged e magico, con Level Up delle skill e barra degli oggetti per sfruttare pozioni e cibi, era divertente nella sua immediatezza, versatile nella sua responsività, e il passaggio da uno stile di combattimento all'altro avveniva senza particolare premeditazione, in una danza di spade e fulmini. La possibilità di sposarsi, di scommettere con gli avventori di una locanda, pescare, rubare, giocare al calcio del pollo, leggere libri oppure ancora di partecipare alle missioni con restrizioni particolari, garantiva una ricchezza ludica che però, a guardar bene, si muoveva in una direzione opposta a quella promessa, e verso soluzioni scriptate senza troppo camuffamento.
Fable è infatti un buon mondo chiuso, dalle mappe dettagliate, dallo stile fiabesco pronto a scontrarsi con black humour, umorismo di pancia, banditi senza scrupoli e violenza da dark fantasy (in una cornice quasi fiabesca). Mentre le case di mattoni pendono sulle strade, pericolanti, La colonna sonora, di Denny Elfman e Robert Shaw (storico collaboratore di Molyneux), ci accompagna insieme allo schiamazzare degli abitanti delle grandi città. Un enorme e bellissima luna osserva le terre di Albion, infestate da non morti e... mercanti.
L'invecchiamento in tempo reale è l'idea più affascinante del team, ma goffamente implementata. È chiaro che, se una meccanica di questo genere fosse stata gestita al meglio, i risultati avrebbero convinto, portando a storie generazionali come quelle di una buona e longeva saga fantasy. Gli eventi della prigione di Bargate, dove una volta all'anno è possibile tentare la fuga - e a un nostro fallimento corrisponde un invecchiamento del protagonista - poteva aprire una nuova dimensione temporale a tutti i giochi di ruolo. Non è andata così, l'idea è rimasta acerba.
Guardando alle origini del franchise, dal progetto Wishworld al progetto Ego (cioè l'effettivo prestanome di Fable), vediamo come si è passati da un level design orientato alle modifiche globali, a un level design orientato alle modifiche del singolo personaggio e della singola identità. Insomma: dalla possibilità di cambiare gli alberi, i vulcani, le terre di Albion, alla possibilità di avere un controllo quasi totale del proprio alter-ego, delle sue scelte e della sua attitudine. Mangiando si ingrassava, utilizzando tatuaggi particolari si diventava più spaventosi, e così via.
Al decimo anniversario (2014) l'Anniversary Edition ha aggiornato, tanto graficamente che rendendo più fluide alcune meccaniche, il gioco originale. Nonostante i problemi di framerate, era un restyle che implementava qualche novità, come una difficoltà più alta in un'avventura altrimenti molto semplice. La versione The Lost Chapters (2005) aveva già ampliato l'esperienza complessiva con aree aggiuntive e correggendo la velocità di invecchiamento. Oggi parleremmo di DLC, o di Definitive Edition, ma allora corrispondeva a un rilancio effettivo del gioco completo, con cutscene e sezioni ulteriori.
La divergenza tra attese e realizzazione non deve far pensare che il gioco non fosse amato, in anni in cui il comparto di RPG esclusivi in casa Microsoft, tolto l'ambiente CRPG, contava poche perle (tra cui Sudeki). Nel 2004 Fable era visivamente incredibile, e per cura degli scenari riesce ad esserlo ancora oggi. Al contrario. Lionhead Studios (chiuso nel 2016), non è stato in grado di apportare modifiche forti e solide nei sequel, reiterando con qualche perfezionamento una formula che aveva scontentato e togliendo, anzi, quel po' che meritava d'essere approfondito.
Fallendo inoltre con una dissonanza tra UI, modelli 3D e animazioni e perdendo l'ambizione, la bussola, con un gameplay orientato all'hack'n'slash senza più sfumature, a favore di premi estetici e non narrativi. Proponendo infine spin-off, come Fable: The Journey, di fatto un bel viaggio, ma un esperimento che ha fatto più bene al Kinect che al franchise.
Fable è affascinante, merito del modo in cui una mappa limitata cerca di essere accogliente, accessibile e a suo modo unica. Il lascito della saga, sicuramente, è questo bisogno sempre insoddisfatto di creare un ecosistema che funzioni e respiri quanto più possibile. Intanto, per chi sentisse la mancanza dei buffi e sdentati abitanti di Albion, è possibile recuperare facilmente Fable Anniversary su Steam (a un prezzo onestamente eccessivo), Fable II e III su Xbox Live. Alcuni rumour vogliono Fable IV in lavorazione, nelle mani di Playground Games (Forza Horizon) e con un budget Tripla A. Che sia l'occasione per realizzare le promesse di più di una decade fa?