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Fallout 76 B.E.T.A. - prova

Almost Purgatory, West Virginia.

Lo abbiamo ripetuto più volte nel corso dell'ultimo semestre: accade qualcosa di magico nel momento in cui Todd Howard sale sul palcoscenico dell'E3. Sarà per lo sguardo furbo, per la capacità di trasmettere sicurezza o per il fascino magnetico che la profondità dei mondi Bethesda esercita su milioni di videogiocatori: l'hype scorre possente nelle sue vene. Eppure, quest'anno si respirava un'aria diversa, e i manager della software house si sono espressi con particolare cautela; un tempo bastava entrare in scena, lanciare un trailer e prepararsi ad assorbire il boato della folla mentre le immagini sul maxischermo parlavano da sole. Questa volta non è accaduto: Fallout 76 è molto distante dalla tradizionale filosofia dello sviluppatore e necessita una mole di spiegazioni fuori dall'ordinario, al punto che neppure il contenuto documentaristico targato Noclip è stato sufficiente per chiarire i dubbi della community.

Che cos'è Fallout 76? Fallout 76 non è altro che un puro e semplice "survival as service" multigiocatore ambientato nel celebre universo post apocalittico. Un'avventura sandbox costruita attorno al sistema di progressione, agli apparati del looting e del crafting, all'interazione tra giocatori e a tutti i classici pilastri del genere. Se state pensando: "allora non è Fallout" sappiate che state sbagliando di grosso, perché è proprio l'impianto "core" di Fallout a rappresentare al tempo stesso il più grande successo e il più grande limite del titolo; se da una parte è encomiabile la preservazione dell'atmosfera e di ogni singola sfumatura del gameplay, dall'altra il contesto della B.E.T.A. ha alzato il sipario su una serie di frizioni tra la formula originale e la natura multiplayer.

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Paradossalmente, è proprio giocando in solitaria che abbiamo conosciuto il volto migliore dell'esperienza: i fiumi prosciugati della West Virginia diventano culle per una serie di location vicinissime alla tradizione post apocalittica, luoghi in cui la narrativa ambientale supera di gran lunga il livello qualitativo riscontrato nelle scorse istanze; il picco del decadimento radioattivo ha trasformato pacifiche creature in terrificanti abomini, mentre la fotografia di una civiltà recisa è più inquietante che mai all'interno della regione senza vita. Al tempo stesso, la main quest dipinge un quadro nitido e credibile nonostante il setting svuotato della polpa rappresentata dagli NPC umani, costruendo un mondo volenteroso di comunicare in modo non convenzionale attraverso pezzi di carta e olonastri che custodiscono tutta l'eredità dell'Appalachia.

L'inseguimento del sovrintendente è una missione che consegna al protagonista pochi pezzi di un gigantesco puzzle, e sta a noi scegliere se lanciarci in un'esplorazione sconsiderata o seguire le orme del mentore attraverso una trama radiale che introduce "personaggi" sorprendentemente ben caratterizzati. I pochi Protectron e Mr. Handy capaci di mantenere intatti i propri circuiti sorvegliano con dovizia gli ultimi baluardi della civiltà americana, piccole fazioni ricche di ricompense estetiche e addestramenti specifici. I punti di interesse incontrati lungo il cammino trasudano storia e misteri che, nella cornice del soverchiante sistema di questing, si sviluppano in una immensa ragnatela di attività fin dai primi passi sul terreno bruciato.

Le Scorched Beasts funzionano un po' come i draghi di Skyrim: li si vede svolazzare placidamente attorno ad alcune aree della mappa. Fidatevi, è meglio non farli arrabbiare.

Fino a qui tutto bene, se non fosse che la struttura si rivela piuttosto fragile quando vissuta assieme a un gruppo di alleati; la narrativa emergente di Fallout è un'esperienza intima, oltre che poco funzionale per la fruizione di gruppo. Non esiste la condivisione degli obiettivi, pertanto tutti i giocatori devono interagire individualmente con ogni oggetto di missione, che si tratti di un terminale o di una lettera, rallentando pesantemente il ritmo dell'azione. La logica dell'ognuno per sé Dio per tutti non tarda a subentrare, e anche esplorando con amici si tende a percorrere sentieri diversi in preda alla sete di conoscenza e di risorse; sulla carta, gli incentivi per una collaborazione impattante non mancano, basta pensare al valore di una squadra versata tanto nello scasso quanto nell'hacking, ma il cerchio fatica a trovare una chiusura.

Il che è un vero peccato perché, dal canto loro, alcune attività ricamate attorno alla cooperativa si sono dimostrate all'altezza della novità. Gli eventi pubblici ricalcano il sistema introdotto con Destiny, ma spingono la varietà del gameplay lungo un binario interessante: certo, ci è capitato di sconfiggere semplici orde di ghoul, ma ci siamo anche cimentati nella riparazione di un'immensa centrale nucleare e nell'organizzazione di un banchetto per Halloween. L'intera struttura sembra presupporre una crescita dell'apparato co-op che vada a braccetto con il sistema di progressione, e non è da escludere che fin dal day one sia possibile imbarcarsi in una sorta di raid disseminati tra le catene montuose.

Queste sono le due anime di Fallout 76: prese singolarmente, hanno il potenziale per gettare le fondamenta di una stimolante esperienza in divenire ma, non appena si tenta di trovare un punto d'incontro, il connubio avventura-multigiocatore inizia a scricchiolare sotto il peso di una serie di criticità. L'innesto della componente RNG nel sistema di progressione non offre una prospettiva rosea di ciò che sarà l'economia legata alle bustine che contengono i perk, mentre la presenza dello S.P.A.V. in tempo reale cozza con la natura dell'offerta e non sembra in grado di ritagliarsi una collocazione convincente. Allo stesso modo, l'assenza di dialoghi e interazioni complesse tarpa le ali alle possibilità di role play, riducendo l'immedesimazione e costringendo il design delle singole missioni negli stretti confini di poche meccaniche ripetute.

L'ambientazione ha una forte presenza di catene montuose, utilissime per studiare l'area prima di un assalto. Qui è evidente la presenza di una centrale nucleare: potrebbe trattarsi dell'Impianto Poseidon.

I veri problemi, però, sorgono altrove. Al momento del tutorial Fallout 76 si mostra in forma smagliante, forte di una buona quantità di dettagli e di un'introduzione al mondo di gioco degna di qualsiasi capitolo canonico: il feeling è rimasto pressoché invariato, e il Reclamation Day è una festa per gli occhi. L'apertura delle porte del Vault, da sempre momento cardine dell'esperienza, accende i riflettori su un panorama aereo dell'Appalachia capace di sbattere in faccia ai sopravvissuti tutta la vastità dell'ambientazione, tre o quattro volte più grande rispetto al Commonwealth. Insomma, tutto sembrava andare per il meglio mentre scendevamo meravigliati la scalinata verso valle, ma a pochi passi dal rifugio ci siamo imbattuti nei primi singhiozzi del vetusto motore di gioco.

La performance è infatti la componente che meno ci ha convinti: su Xbox One X abbiamo registrato cali addirittura al di sotto dei 15 fps, oltre a pesanti momenti di stuttering che, nella cornice di un titolo aperto al PvP, possono facilmente fare la differenza tra la sopravvivenza e la morte. La qualità delle texture al di fuori delle sicure mura del Vault si attesta su un livello decisamente inferiore rispetto agli standard della saga, come del resto accade in qualsiasi mondo condiviso; in questo caso, però, l'immersione è costantemente minata da difetti piuttosto evidenti: texture popping a ogni rotazione della telecamera, un sistema di illuminazione che spesso dà di matto e animazioni che ci portano pericolosamente vicini alla scorsa generazione. Aggiungendo al calderone il macchinoso gunplay e l'incerto sistema di hit detection ereditati dal quarto episodio, risulta difficile credere di trovarsi di fronte ad un titolo pronto per il lancio in poco meno di due settimane.

Così, ci siamo posti una domanda: come gira la B.E.T.A. su un PC di un certo livello? Abbiamo scelto di testarla per qualche ora su una 1070 e, nonostante una performance all'altezza dell'ambizione di Bethesda, proprio in questi giorni è emersa una notizia preoccupante: il frame rate è legato a doppio filo con la velocità del Creation Engine; cosa significa nel contesto del gameplay? Sfondando il muro dei 60 fps è possibile correre, attaccare e sparare molto più velocemente rispetto agli altri giocatori, ottenendo un vantaggio decisamente pericoloso nell'ecosistema multiplayer. Per il resto, la differenza tecnica con la controparte console equivale quasi ad un salto generazionale, nonostante l'assenza ingiustificata di impostazioni che speravamo di incontrare, field of view su tutte.

La West Virginia ospita alcuni nemici unici particolarmente potenti. Quello nell'immagine è il mostro di Grafton: non lasciatevi ingannare dall'aspetto minaccioso, è solo di livello 10.

Per un titolo dall'ambizione "never ending" non esiste momento delicato come quello del lancio e, a meno di miracoli dell'ultima ora, sarà difficile debuttare sul mercato con una build accettabile per l'utenza console. Allo stesso modo, i PCisti più agguerriti storceranno senza dubbio il naso di fronte all'apparentemente inevitabile lock forzato sui 60 fps. Viviamo nell'epoca delle patch, pertanto la nostra disamina non è altro che una fotografia di alcuni attimi di B.E.T.A., ed è bastata l'ultima finestra di testing per introdurre miglioramenti sostanziali alla stabilità della performance su Xbox One X; ciò che difficilmente andrà incontro a rivoluzioni è invece quella filosofia che, a dispetto delle contraddizioni, ha le carte in regola per trasformarsi in un'esperienza completa in seguito a qualche operazione di polishing.

Proprio per questo motivo, vale la pena spendere qualche parola rassicurante: Fallout 76 rappresenta una netta inversione di tendenza rispetto a The Elder Scrolls: Online, avendo posto su un piedistallo ogni singolo elemento del gameplay che ha reso celebre la figura del Vault Boy. Trattandosi di Bethesda, non deve stupire che l'approccio in solitaria esca a testa alta dal tripudio di attività: le meccaniche legate all'online sono ancora troppo acerbe per incidere fino in fondo. Resta il fatto che l'esplorazione tipica della software house assume sfumature nuove e particolari nel momento in cui si viaggia assieme a un gruppo di compagni, e l'idea stessa di condividere le scoperte è sufficiente per giustificare la filosofia alla base della produzione.

Non è invece giustificabile lo stato tecnico della versione console. È vero, siamo all'interno dei precari confini di una versione beta, ma è pur sempre una finestra riservata unicamente a chi abbia effettuato il preordine, a sole due settimane dal momento del lancio. A questo punto, non resta che scoprire se Bethesda sia in grado di ingranare la sesta marcia e stupirci ancora una volta; dal canto nostro, abbiamo sviluppato un rapporto di amore e odio nei confronti di Fallout 76: nonostante i molti difetti, la West Virginia mantiene uno strano fascino magnetico che rende dannatamente difficile staccarsi dallo schermo.