Filo diretto con Warren Spector - articolo
Il celebre game designer risponde lettori di Eurogamer.
Prima di tutto, grazie per tutte le risposte al mio primo editoriale. Ho ricevuto molti feedback da parte vostra tramite la sezione commenti, ma anche via email, su Facebook, LinkedIn e Twitter: tutti i luoghi in cui le persone condividono i loro pensieri in questa era moderna e interconnessa.
Ma ancora più della quantità delle risposte, quello che mi ha sorpreso è stato verificare che nessuna è stata scritta con un atteggiamento provocatorio o da troll. Ho da subito detto di voler parlare di questioni a cui non avevo una risposta e di problemi che non ho ancora saputo risolvere: il mio intento era di ricevere input da tutte le persone intelligenti che compongono la scena dei videogiochi, sperando che voi poteste trovare la risposta alle mie domande (o almeno mostrarmi gli eventuali buchi nei miei ragionamenti). E devo dire che voi, intesi come comunità di giocatori, sviluppatori, publisher e critici, avete risposto alla grande.
La ponderatezza delle risposte - anche quelle che dissentivano con le mie considerazioni - ha confermato in me la convinzione che il futuro del gaming è in ottime mani. Nel rispondermi, alcuni di voi hanno scritto più di quanto io stesso non avessi fatto nel mio editoriale! Ho ricevuto più di 40 pagine di testo, per un totale di circa 16,000 parole! Questa intensa "corrispondenza" si potrebbe quasi pubblicare come un saggio su Kindle. Per questo ho chiesto di poter avere più spazio per ribattere ad alcuni commenti, e... eccomi qui, l'ho ottenuto. Quindi torniamo a discutere!
I titoli tripla-A sono ormai una piccola parte di quello che si può definire "mondo dei videogiochi". Tutto quello che m'interessa realmente sta avvenendo nel settore dei titoli indie/artistici.
Nel mondo dei film, non tutto quello che è "mainstream" è da buttare via, e non tutto quello che è "indie" è automaticamente arte. Nel settore dei videogiochi, quello che manca sono i titoli che pur essendo mainstream non siano infantili. A riguardo dell'idea che i titoli tripla-A non siano più il fulcro del mondo dei videogiochi, Ian Bogost si è espresso meglio di quanto non potrei fare io, dicendo che "è vero in un certo senso, ma falso se si considera la questione in modo più ampio. E si tratta anche di un'idea pericolosa, perché potrebbe spingere chi ha le risorse e la capacità di investire in titoli potenzialmente 'da Oscar' a non farlo." E il punto è proprio questo: nessuno si prende la briga di investire realmente nella "crescita" del medium. Sia gli sviluppatori di titoli mainstream che quelli di titoli indie sono contenti dello stato attuale delle cose. E la cosa mi fa impazzire... è ora di crescere come medium!
"Sia gli sviluppatori di titoli mainstream che quelli di titoli indie sono contenti dello stato attuale delle cose. E la cosa mi fa impazzire... è ora di crescere come medium!"
Film e libri sono media maturi da tempo. I loro strumenti e forme espressive sono statici da decenni. Nei videogiochi, invece, si sta ancora inventando e cambiando molto...
Quest'affermazione è assolutamente vera. Siamo un medium giovane mentre il cinema è un medium che non cambia alcuni suoi fondamenti da 120 anni. Ad ogni modo, credo che sia tempo di smettere di cercare scusanti per l'esistenza di così tanti giochi superficiali, e ammettere che siamo noi stessi a SCEGLIERE di farli così. Potremmo fare scelte differenti. E mi piacerebbe che questo accadesse.
Le tecnologie disponibili non permettono interazioni tra personaggi più avanzate di ciò che abbiamo. Per avere NPC dall'identità non-scriptata e quindi realmente reattivi e vitali, abbiamo bisogno di un "language processing" migliore e di altre nuove tecnologie.
Non c'è dubbio che noi sviluppatori siamo e saremo sempre limitati nelle nostre possibilità dalla tecnologia disponibile. Detto questo, sono pochi i problemi tecnici che non abbiamo saputo risolvere (o almeno aggirare) quando veramente ci siamo concentrati nel compito, unendo più menti pensanti.
Il discorso "abbiamo bisogno di più tecnologia" non considera come siano in pochi a tentare davvero di risolvere problemi come il miglioramento della IA (al di fuori dalle situazioni di combattimento) o dei sistemi di conversazione. Non intendo dire che una volta concentrati su quell'obiettivo risolveremmo immediatamente tutti i problemi connessi, creando IA migliori e NPC più "vivi", e riuscendo quindi a realizzare storie e giochi più complessi. Ma quello che so per certo è che non risolveremo mai questi problemi fino a quando non decideremo di renderli una priorità.
Abbiamo bisogno che le migliori menti dell'industria e i publisher più illuminati comincino a lavorare su questo obiettivo, e non soltanto sulla creazione di giochi più belli da guardare o con un frame rate più fluido (entrambe cose che non fanno affatto male, beninteso!).
"L'aspetto "impegnativo" dei videogiochi ne limiterà sempre il pubblico in qualche modo. "
I tool esistenti rendono determinati tipi di giochi più facili da sviluppare rispetto ad altri. Simulare l'azione di un grilletto virtuale è semplice e costituisce un'azione divertente da ripetere migliaia di volte; creare software altamente complessi e focalizzarsi sui problemi tecnici (persino in titoli relativamente semplici) spinge inevitabilmente a minimizzare i rischi creativi.
La semplicità è grandiosa. La semplicità riduce i rischi. Affrontare problemi complessi è impegnativo e richiede un sacco di lavoro. Si rischia di fallire. Capisco il discorso. Ma quali sono le conseguenze di un fallimento nell'industria dei videogiochi? Non scoppierà una guerra se un gioco fallisce. Nessuno morirà. Non si manderanno all'aria gli studi per trovare una cura per il cancro.
La conseguenza del fallimento di un gioco è che qualcuno perderà dei soldi. Cosa più grave, alcune persone (forse molte persone) rischieranno di perdere il lavoro. Un fattore che non mi sento di minimizzare come ho fatto col primo. Non penso infatti che tutti all'improvviso debbano smettere di creare i giochi "classici" che si sono rivelati un successo. Dico solo che ALCUNI dovrebbero provare a farlo: quelli che possono permettersi di correre il rischio.
E penso anche che, qualunque limitazione venga imposta, ci sia comunque il modo di superare i blocchi connaturati al budget. È possibile fare almeno un qualcosa di "folle" all'interno di un titolo per il resto completamente convenzionale. Dobbiamo solo VOLERE che questo accada e non accontentarci dello status quo.
L'industria tiene troppo in considerazione alcuni individui (manager, pubblicitari, eccetera) e troppo poco altri (programmatori, tester...)
"Non c'è dubbio che molti membri del team meritevoli ottengano molta meno attenzione di quanto non meriterebbero"
Non c'è dubbio che la discussione pubblica sui giochi e il loro sviluppo sia dominata da alcune "semi-celebrità", personaggi di alto profilo molto influenti. E non c'è dubbio che molti membri del team meritevoli ottengano molta meno attenzione di quanto non meriterebbero.
La cosa interessante è che poche pubblicazioni sono interessate alla "vera" storia dietro allo sviluppo di un gioco: i loro lettori, dicono, vogliono una storia semplice e non una approfondita e accurata. Mi ricordo che ai tempi di Underworld e System Shock io e Doug Church scrivemmo un resoconto di come quel titolo fosse stato realizzato, ossia che non era semplicemente nato per magia dalla mia fervida immaginazione! Indovinate un po'? Non siamo riusciti a far pubblicare la storia a nessuno. È un lampante esempio del motto "se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda". (Se non riconoscete la citazione, dovete guardare immediatamente "L'uomo che uccise Liberty Valance", di John Ford!).
Le persone sono intimidite dall'arte, specialmente un'arte che dia loro la libertà (anche di sbagliare) che non avranno mai nei media tradizionali e non interattivi?
Questa è una domanda davvero interessante, a cui non avevo mai pensato. L'impronunciabile verità è che giocare un videogame è una sorta di "impegno". Certo, un impegno appassionante ma comunque un impegno. Non si tratta di un compito facile quanto sprofondare in un divano e guardare un film alla TV, o ascoltare un disco o persino leggere un libro.
Questo aspetto dei videogiochi ne limiterà sempre il pubblico in qualche modo, almeno credo. Ho sempre detto che non siamo un medium mainstream ma, piuttosto, uno di nicchia che gonfia i prezzi dei propri prodotti. Eppure, la crescita del pubblico dei videogiochi è evidente e per continuare a sostenerla dobbiamo ampliare il range dei nostri contenuti.
Sì, alcune persone risulteranno intimidite dai videogiochi, specialmente quelli più esigenti (in termini di partecipazione emotiva e di contenuto offerto, NON nel senso delle abilità richieste per "vincere"). Ma non dobbiamo pensare a quelle persone che non riusciremo mai a coinvolgere nel mondo dei videogiochi. Dobbiamo invece cercare di raggiungere quelle che POSSIAMO coinvolgere, ma che non saranno interessate finché proporremo loro solo sparatorie e principesse rapite.
"Alcune persone risulteranno intimidite dai videogiochi, specialmente quelli più esigenti"
Hai dimenticato di citare i giochi con un pallone.
Vero, mea culpa. Ma continuo a ritenere valido quanto scritto nel mio primo editoriale, perché ho voluto focalizzarmi sui giochi che offrono un approccio narrativo. Però devo riconoscere che i giochi sportivi hanno un appeal abbastanza "adulto", e avrei dovuto includere questa considerazione citandoli come un'eccezione. Quindi, buona osservazione!
Io preferisco affrontare storie serie in altri media. Perché dovremmo abbandonare le tradizioni dei vari generi per creare giochi "adulti"?
Il mio intento non è quello di limitare in qualche modo il contenuto dei giochi: non mi permetterei mai di dire che i giochi DEVONO fare questo o quello, che dobbiamo abbandonare i generi, che il nostro medium dovrebbe eclissarne qualcun altro o che dovremmo tentare di imitare quello che gli altri media fanno meglio.
Quello che sto suggerendo è che il medium e il suo pubblico cresceranno quando riusciremo a introdurre nuovi generi per completare quelli che già conosciamo e amiamo. (ehi, io sono un fan degli zombie, della magia elementale e dei raggi laser esattamente come tutti voi!) Quello che dobbiamo fare è espandere il range degli attuali contenuti dei videogiochi, non limitandolo semplicemente a quello che già facciamo oggi.
Il mio discorso è che nessuno dovrebbe essere costretto a giocare titoli "intellettuali", ma chi invece non vedrebbe l'ora di farlo dovrebbe averne l'occasione. Noi ce lo meritiamo e il nostro medium ha bisogno di titoli differenti per pubblici differenti.
Infine, vorrei dire che il desiderio d'imparare a creare storie serie dagli altri media è originato dal fatto che - per non usare mezzi termini - la nostra industria fa un lavoro pessimo a questo riguardo. Ma immagino che sia perché non ci siamo impegnati abbastanza in quella direzione, non perché il medium in sé sia incapace di ottenere un simile obiettivo.
"Non siamo un medium mainstream ma piuttosto un medium di nicchia che gonfia i prezzi dei propri prodotti"
I giochi "seri" già esistono: BioShock Infinite, Grand Theft Auto, Red Dead Redemption, PaPo & Yo, L.A. Noire, Heavy Rain, The Walking Dead... persino (ehm) Deus Ex!
Come molti di voi hanno fatto notare, quasi tutti questi titoli si affidano ad azioni di gioco standard (uccidere cose o aggirarsi in corridoi abilmente mascherati da zone aperte) per lasciarci esplorare i loro contenuti "seri".
Le eccezioni (principalmente Heavy Rain e The Walking Dead, entrambi titoli che ho indicato tra le migliori esperienze che abbia avuto recentemente) sono passi nella giusta direzione. Ci costringono a pensare e a riflettere su noi stessi, non sul personaggio. In titoli del genere non è il gioco che ti punisce quando fai qualcosa di sbagliato, è la tua coscienza.
Quando un gioco parla più a te che al personaggio che stai interpretando, quello è un gran risultato. Ma tutti i titoli che sono riusciti in questo hanno comunque fallito in un altro campo, ossia nel dare al giocatore un controllo reale sull'esperienza. In quei giochi non è possibile, almeno a quanto ho potuto riscontrare, sorprendersi facendo qualcosa che gli stessi creatori non avevano già preventivato.
Mi domando se e come possiamo creare titoli che non si basino sull'uccidere o sul saltare, che definiscano il termine "azione" in modo diverso, senza negare ai giocatori la gioia e la soddisfazione di guidare loro stessi la storia, piuttosto che esserne guidati. Credo che nessuno abbia ancora fatto una cosa del genere. Sinceramente, non sono neanche del tutto certo che sia possibile, ma sono sicuro che tentare di spingere in quella direzione, anche se poi il risultato dovesse risultare un fallimento, vale sicuramente la pena di rischiare.
Cosa c'è di sbagliato nei giochi violenti?
Niente. Non ho mai detto o inteso di essere contrario alla violenza nei media. Solo, penso che dovremmo sforzarci di più per offrire una gamma di contenuti più ampia. Al momento, ai giocatori offriamo quasi esclusivamente violenza e puzzle. Non è abbastanza. Quello che voglio è più varietà, non un medium "pacifista"!
"La mancanza di un mercato secondario è un problema ENORME per il mondo dei videogiochi"
I giochi più seri, non orientati all'azione, non hanno successo finanziariamente: basta guardare all'esempio di Psychonauts. Inoltre, non esiste un mercato secondario per i videogiochi, tramite cui si potrebbero incrementare le chance di successo di un gioco.
La mancanza di un mercato secondario è un problema ENORME per il mondo dei videogiochi. Siamo l'unico medium che può contare su un solo modo per fare soldi. I film escono prima al cinema, poi in pay-per-view, su disco, in TV eccetera. I libri escono in cover rigida, edizione economica, audiobook e probabilmente altre forme che al momento non mi vengono in mente. I fumetti hanno pubblicazioni mensili, collection di graphic novel, acquisti digitali. E così via. Solo i videogiochi hanno come unica opzione la "scatola sullo scaffale". Certo, ora c'è la distribuzione digitale, quindi le cose stanno cambiando... finalmente! Un cambiamento di business model assolutamente necessario, che è ai suoi primi passi.
Per quanto riguarda Psychonauts, io sono il fan numero uno di Tim Schafer (anche mia moglie Caroline, che si scioglie come una gelatina al sole quando lo vede...), ma non credo che si possa generalizzare partendo da un unico esempio di gioco "serio" che non ha venduto bene per concludere che tutti i titoli non-action semplicemente non vendano bene.
Ah, un'ultima cosa... sentirmi chiamare "Mr. Spector" mi mette tremendamente a disagio: per favore, chiamatemi semplicemente "Warren"! Grazie.
Traduzione a cura di Luca Signorini.