Final Fantasy XII: The Zodiac Age - recensione
Ritorno al futuro.
Final Fantasy XII è sicuramente il capitolo più controverso dell'intera saga. Nonostante la buona accoglienza da parte della critica dell'epoca, non fu mai in grado di fare completamente breccia nel cuore dei fan. Alla luce dei 15 milioni di copie vendute con Final Fantasy X, il suo diretto successore (l'episodio XI è, per chi non lo sapesse, la prima istanza online della saga) non riuscì infatti a superare i 5 milioni. Il progetto era estremamente ambizioso: con i suoi cinque anni di sviluppo entrò di diritto nel Guinnes dei Primati, portandosi appresso tutte le problematiche che possono nascere in un lasso di tempo tanto vasto.
Non sono ancora chiari i motivi, oltre alla malattia, per i quali il direttore del progetto Yasumi Matsuno decise di abbandonare (o fu allontanato), come non sono chiari i motivi che hanno portato la seconda fase della trama a risultare quantomeno strana. Ciò che conta è che con Final Fantasy XII: The Zodiac Age siamo arrivati alla terza riproposizione di questo titolo, dopo una versione HD e una Zodiac Job System mai approdata in Occidente.
Il dodicesimo episodio era stato progettato e costruito attorno a tre punti fondamentali: open world, Active Dimension Battle system, e narrativa politica. Il mondo di gioco era infatti estremamente diverso da quelli a cui la serie ci aveva abituati: l'abbandono degli scontri casuali portava i nemici ad essere immediatamente visibili su mappa, la vastità delle zone richiedeva una minore attenzione al dettaglio ambientale, la comprensione della struttura politico-sociale di Ivalice necessitava grande attenzione e maturità, il sistema di combattimento poteva sembrare familiare per chi avesse giocato FFXI, ma risultava decisamente più complesso per chi ne fosse vergine. Come possiamo giudicare oggi tutti questi elementi?
Final Fantasy XII: The Zodiac Age riesce nel suo intento. Non è un segreto che Square, e oggi Square-Enix, abbiano creduto molto nel progetto, e lo hanno fatto a ragione. L'ambizione open-world del titolo assume un significato molto diverso alla luce degli ultimi trend, dimostrando che forse, nel 2006, non eravamo pronti per questo episodio. L'eredità dei passati remake ha portato in questa edizione lo Zodiac Job System, permettendoci di scegliere una, e in seguito una seconda, classe specifica da assegnare a ogni membro del nostro party, aprendo le porte verso una rinnovata libertà. Così, richiamando in parte Final Fantasy Tactics, potremo decidere chi sarà il nostro tank e chi userà magie spazio-temporali, chi curerà la squadra e chi intraprenderà la via del samurai.
Altra fondamentale opzione è quella che consente di raddoppiare (o quadruplicare) la velocità di gioco. Sebbene questa possa sembrare una feature trascurabile, corregge egregiamente quel problema di lentezza negli spostamenti che aveva colpito l'esperienza nel 2006, andando a rendere i viaggi più agevoli e, per lo sdegno dei puristi, riducendo enormemente il tempo da dedicare al farming; di contro, l'esperienza diventa completamente fruibile a prescindere dalla quantità di tempo che il giocatore può permettersi di investire nel grind.
Dal punto di vista grafico, c'è poco da dire. Il miglioramento è immediatamente visibile nelle cutscenes CGI, nei modelli dei personaggi, negli sfondi e perfino nei testi. Sebbene non si possa parlare di "remake" vero e proprio, siamo di fronte a quella che è una vera e propria rinascita, a nostro parere una delle meglio riuscite dell'intera generazione.
Obiettivo raggiunto non tanto attraverso il comparto tecnico, quanto grazie a tutti quei piccoli miglioramenti alla quality of life, come la mappa in trasparenza sullo schermo, la funzione di auto-save al momento del cambio di zona, i tempi di caricamento drasticamente ridotti e i nuovi elementi nella colonna sonora. L'unica modifica trascurabile è quella apportata all'equilibrio del gioco: la difficoltà generale del titolo è stata ridotta, ma alla luce della nuova gestione della velocità non crediamo si sentisse il bisogno di questo tweak.
Si tratta tuttavia di un titolo estremamente tecnico, e non possiamo negare di averlo potuto apprezzare molto di più nel corso di questa analisi rispetto a quanto avremmo potuto fare al momento dell'uscita. Così come il sistema di sviluppo, anche l'active dimension battle system assume i connotati di una scacchiera.
Grazie al sistema del Gambit potremo infatti impostare una serie di azioni su scala piramidale capaci di andare a gestire in toto il comportamento del nostro party; ad esempio, sarà possibile impostare un Mago Nero in modo che attacchi con la magia adatta un nemico debole a un elemento, o ancora legare l'utilizzo di Areiz al momento esatto della morte di un nostro PG.
In sostanza, una volta acquisite le licenze necessarie per l'uso delle abilità, vestiremo i panni del puro stratega prima di entrare in combattimento. Non è certo un sistema semplice, ma è in grado di regalare grandi soddisfazioni specialmente nelle fasi end-game e nella nuova modalità sfida, che ci permetterà di cimentarci in 100 battaglie sempre più complesse. Inutile dire che non siamo ancora arrivati in fondo, ma guardiamo verso le prime posizioni con grande curiosità. Per chi non fosse ancora sazio dopo questa scalata, The Zodiac Age offre ben due modalità new game plus capaci di soddisfare le esigenze dei giocatori più hardcore.
L'active dimension battle system ha il pregio di coniugarsi perfettamente con il design delle mappe e con la scelta di rendere immediatamente visibili i nemici, facendo da ponte tra gli ATB del passato e ciò che abbiamo visto negli episodi più recenti. Se durante le prime visite alla Pianura di Giza e al Deserto di Dalmasca possiamo avere la sensazione di trovarci in un mondo "semplice", proseguendo nel corso della trama la complessità arriva a raggiungere livelli difficilmente paragonabili a quelli già incontrati nel corso della saga. I segreti (tra cui i numerosi Esper opzionali) diventano particolarmente impegnativi da trovare e gli scontri si fanno sempre più complessi, fino ad arrivare a Yazmat, da molti considerato uno dei boss facoltativi più forti dell'intera serie.
In ogni caso è un piacere esplorare il mondo di gioco, sia in funzione della re-texturizzazione dei modelli sia grazie all'enorme impatto che la velocità aumentata può avere su queste fasi. Il ritmo stesso con cui potremo andare alla ricerca degli Esper, spinti dalla trama o dalla personale indole completistica, va a beneficiare l'esperienza nella sua interezza permettendoci di approfondire la Lore generale del titolo a cuor leggero.
Inoltre, come parte del tweak alla difficoltà dell'opera, sono state rimosse meccaniche particolarmente fastidiose: ad esempio, una di queste richiedeva di ignorare alcuni forzieri in funzione dell'ottenimento della Zodiac Spear (l'arma più forte del gioco). Sono questi i cambiamenti di cui tutte le versioni remake, oggi tanto in voga, avrebbero disperatamente bisogno; piccoli fix che vadano a migliorare sostanzialmente l'esperienza del giocatore a partire dai feedback ricevuti nel momento dell'uscita.
Per chi non lo sapesse, l'universo di Ivalice è un richiamo a quello di Final Fantasy Tactics e Vagrant Story. L'intreccio è costruito attorno al regno di Dalmasca, oggetto delle mire espansionistiche dell'impero di Archadia. Il nostro gruppo di avventurieri si muoverà, sullo sfondo del pugno di ferro militare, in un'avventura divisa tra diplomazia, prove di forza e ribellione. Quello della trama rappresenta fin dal 2006 il nodo critico dell'intera esperienza.
Una personalità autorevole come Hironobu Sakaguchi (che ci piace ricordare come il creatore di Final Fantasy VII, tra gli altri) ha affermato di essersi rifiutato di proseguire oltre il prologo a causa dell'abbandono del progetto da parte di Matsuno. Si dice che questi avesse chiara in mente una trama con protagonista il patriottico capitano Basch Von Ronsenburg, poi stravolta in funzione dell'inserimento degli orfani Vaan e Penelo, personaggi ritenuti decisamente più abbordabili per i teenager dell'epoca.
Il dodicesimo episodio soffriva dunque di una crisi di identità in alcune fasi dell'apparato caratterizzante, risentendo dell'assenza di un vero e proprio protagonista, elemento che aveva fatto da collante ai precedenti episodi arrivando a creare vere e proprie leggende dell'intero universo videoludico. Focus della vicenda era diventata la scena politica, difficilmente capace di attirare l'attenzione dei neonati fan in seguito al successo planetario della love-story di FFX.
Ed è proprio per questo che riteniamo riuscita questa riproposizione: The Zodiac Age sta alla filosofia di Game of Thrones come Final Fantasy VII stava alle spy stories tipiche degli anni '90, e il prodotto finito risulta più attuale oggi di quanto fosse all'epoca della prima release. Andando a rendere disponibile quel ritorno al passato che tanti fan della serie aspettavano da tempo, The Zodiac Age sa farsi giocare, riscoprire e rivalutare.
Così dobbiamo analizzare Final Fantasy XII: The Zodiac Age, come la rinascita di un titolo che la proprietà riteneva giustamente sottovalutato e troppo ambizioso per la seconda metà dei duemila. Possiamo dire senza esitazioni che si tratta di uno tra i migliori JRPG di questa generazione, e che sarà finalmente capace di accontentare la schiera di malinconici delusi dalla deriva moderna che la saga ha imboccato, così distante da quella che riuscì ad avvicinare tante persone al marchio. Per questo motivo, se avete nostalgia degli oramai rarissimi JRPG per console, potete tranquillamente aggiungere un punto al nostro giudizio finale.