Finding Paradise - recensione
Emozioni a metà.
Una vita piena di rimpianti vale comunque la pena di essere vissuta? Si tratta di un incipit che Finding Paradise, la nuova produzione di Freebird Games e Kan Gao, non riesce a sfruttare in modo efficace. Sebbene negli attimi conclusivi la storia riesca parzialmente a emergere per ciò che avrebbe voluto essere sin dalle prime battute, spesso tende a perdersi, a inciampare, a rialzarsi e poi a cambiare direzione. Un girotondo narrativo che talvolta annoia, pur con una longevità al ribasso in linea con le produzioni di questo tipo (meno di cinque ore), a causa soprattutto di soluzioni ludiche incapaci di rinnovarsi nel corso dell'avventura e di un impatto emotivo deludente.
Dove To The Moon, seppur anch'esso con alti e bassi, aveva potuto farsi notare grazie a una narrazione coerente, dotata di qualche colpo di scena e, soprattutto, molto emotiva e commovente, Finding Paradise prova a raggiungere lo stesso risultato usando situazioni e avvicendamenti differenti. L'obiettivo viene però centrato a metà e sicuramente in modo meno evidente rispetto all'opera prima di Gao. Il tutto condito in modo spesso insipido.
I simpatici intermezzi di Neil ed Eva, i due dottori chiamati a dare al paziente Colin le memorie di una vita senza rimpianti, sono utili a smorzare i toni talvolta misteriosi e tristi della vicenda. Lo sfondamento della quarta parete e l'invasione di riferimenti alla cultura popolare geek sono frequenti all'interno del gioco e riescono sempre a strappare un sorriso.
Il problema, semmai, risiede nel tempismo e nei modi in cui il filone narrativo principale prende forma e prepara il terreno per ciò che sarà, nel terzo atto dell'opera, lo svolgimento della "verità" celata sin dal principio: in parole povere, a volte non si capisce quale direzione voglia prendere la storia e quando, invece, diventa più chiaro, è ormai tardi per ridare smalto a tutto ciò che è venuto prima. Quando arriva il momento di stendere il tappeto rosso per il climax, l'attesa del momento "ooh" è stata tirata al punto da non lasciare spazio ad altro che ad aspettative che non vengono ricompensate.
È soprattutto nella struttura ludica che si notano le debolezze dello sviluppo di Kan Gao e del resto del team di Freebird Games. Poco male che sia praticamente uguale a To The Moon. Il difetto nasce quando invece Finding Paradise tenta di prendersi delle licenze poetiche, di variare rispetto a quanto ha mostrato sino a quel momento, anche solo per poche decine di minuti: mette nello sgabuzzino storia e sentimenti per provare a dare spazio a soluzioni interattive che nella mente degli sviluppatori erano probabilmente un gran divertimento. Così non sono nella pratica e, anzi, hanno soltanto l'effetto di non dare risalto a ciò che al gioco dovrebbe riuscire meglio: emozionare.
Sono note stonate in uno spartito che, già di suo, non pare suonato molto bene.
Finding Paradise, però, riesce, nel suo insieme e nonostante una narrazione talvolta maldestra, a essere un esempio virtuoso: personaggi con cui relazionarsi, vicende interessanti ed emotive possono essere d'impatto anche quando i protagonisti sono dei cubetti spigolosi. Così, la pixel art basilare, che riprende lo stesso stile che sposarono i primi giochi di ruolo agli albori delle console, non diventa un elemento di discordia e anacronistico nei confronti della narrazione. Le espressioni e le animazioni superficiali sono un modo senz'altro semplicistico di raccontare una storia eppure, proprio come una favola ben raccontata, sanno contribuire al buon sapore generale della trama e dei personaggi.
Il secondo gioco di Kan Gao, escludendo i vari "mini episodi" che hanno seguito To The Moon e che fungono da ponte verso Finding Paradise, ha infatti il grande pregio di saper, nei suoi momenti migliori, toccare le corde giuste grazie alle ottime musiche, sempre azzeccate e capaci di sottolineare con ardore e passione i vari momenti della storia, e ai dialoghi, mischiati fra battute che alleggeriscono la malinconia e momenti di approfondimento psicologico, che non vengono affatto minati dallo stile grafico. Un erede, in tal senso, dei giochi che furono e che lasciarono il segno quando la tecnologia dava poco spazio al godimento per gli occhi e quando i personaggi erano "cubettosi" e scarsamente dettagliati.
Un peccato, quindi, che questi pregi siano perlopiù da strappare a un'esperienza non solo estremamente lineare, ma molto ripetitiva e poco convincente, specialmente dopo le buone aspettative che To The Moon aveva creato. Le musiche scritte da Gao sono probabilmente la parte migliore di tutto il gioco ed è soltanto grazie a queste che i momenti narrativi meno frizzanti riescono a salvarsi per il rotto della cuffia. Ad aggiungersi, una narrazione dormiente per la maggior parte dell'avventura, soluzioni ludiche che lasciano più storditi che divertiti e che non si adattano all'intento della storia né alle emozioni che vuole suscitare nel giocatore.
Finding Paradise può comunque lasciare materiale su cui riflettere grazie ai temi che tratta, ma è difficile non lasciarsi scappare un sospiro di sollievo quando l'esperienza finisce.