Firewall Zero Hour - recensione
Come la realtà virtuale ti rivoluziona gli sparatutto competitivi.
C'è una linea evolutiva piuttosto evidente che collega tra loro Farpoint, Bravo Team, Killing Floor Incursion e il qui preso in esame Firewall Zero Hour, ennesimo rappresentante di una tradizione, quella degli FPS, che ha trovato nella creatura di First Contact Entertainment un nuovo campione, indiscusso termine di paragone per quanto concerne la declinazione del genere alla realtà virtuale.
Sì, perché laddove gli altri titoli citati hanno avuto il merito nonché l'onore di sperimentare, di introdurre determinate meccaniche di gameplay ormai divenute standard, almeno per quanto concerne ciò che è stato pubblicato e proposto per PlayStation VR, l'ultimo arrivato eredita quanto trasmesso dai predecessori, perfezionando ulteriormente il tiro, regalando all'utenza del visore di Sony un titolo realizzato con tutti i crismi del caso, bilanciato, impreziosito da un ottimo level design, curato nei dettagli e persino equipaggiato di un più che discreto comparto tecnico che non sfigura nemmeno sulla versione classica di PlayStation 4.
Le basi strutturali su cui poggia Firewall Zero Hour, a dire il vero, sono piuttosto modeste, tanto da avere l'impressione di trovarsi di fronte ad una corposa beta, in attesa di essere potenziata ed ingigantita da ulteriori contenuti. Probabilmente accadrà proprio questo, se e quando la community inizierà a rafforzarsi, ma al momento il gioco si alimenta di un'unica modalità multiplayer competitiva, caratterizzata dalla permadeath che inquadra, influenza e determina il ritmo, la tipologia d'esperienza offerta.
Ogni partita pone due team, composti da quattro membri, l'uno contro l'altro con l'obiettivo di difendere o hackerare, a seconda dello schieramento, una serie di terminali, entro un ben definito lasso di tempo, condizione che favorisce la squadra di casa, vittoriosa sia eliminando ogni unità avversaria, sia nel caso in cui, pur in assenza di sopravvissuti, gli attaccanti non riescano a completare la missione prima che il timer raggiunga lo zero.
Ogni avatar gode di abilità uniche, che spaziano dalla maggior resistenza ai colpi nemici, alla più facile individuazione delle trappole, e di un equipaggiamento che può essere progressivamente potenziato e allargato con nuove bocche di fuoco, a mano a mano che, partita dopo partita, si accumulano punti esperienza. L'arsenale, a ben vedere, non è poi così fornito, ma presenta comunque una varietà tale grazie alla quale, in combinazione con le skill dei personaggi, si può creare il loudout che più si adegua allo stile di gioco dell'utente, nonché al livello di turno.
Non passerete chissà quanto tempo a navigare tra i menù che riempiono i tempi morti del matchmaking, beninteso, ma sotto il profilo della personalizzazione Firewall Zero Hour lascia spazio a ben poche lamentele.
Una volta in battaglia, si scopre un FPS che, quasi inspiegabilmente, riesce ad essere tattico e frenetico allo stesso tempo, ideale per chi è cresciuto a pane e Call of Duty, ma anche per chi ama la strategia. La vittoria è frutto di riflessi pronti, ma anche di una profonda conoscenza della mappa, nonché di un ferreo gioco di squadra.
Ed è proprio inerentemente alla necessità di collaborare che la realtà virtuale ci mette il suo, innescando quella magia, infondendo quel sapore atipico sprigionato da quelle produzioni che non usano i visori come semplici orpelli, ma che li integrano nel gameplay stesso delle esperienze che propongono.
Laddove Dualshock 4, o meglio Aim Controller, donano estrema fisicità al mirare e all'aprire il fuoco sui nemici, essere letteralmente immersi negli ambienti digitali che si esplorano, fianco a fianco con i propri alleati, rende necessaria, vitale, fondamentale la comunicazione con i propri compagni.
Evitare una trappola, vanificare o organizzare un'imboscata passa tutto da una comunicazione che non si consuma nella sola chat vocale. Vedere, in qualche modo, il corpo degli altri videogiocatori, che come il proprio si sporge oltre gli ostacoli, si abbassa, allunga le braccia che stringono il fucile, rende il tutto ancora più reale, coinvolgente, sorprendentemente divertente.
La non compenetrazione dei modelli poligonali di armi e soldati, tra l'altro, incentiva ulteriormente la collaborazione, visto che non è raro restare bloccati, mentre magari si tenta di fuggire da una granata, perché un alleato resta piantato davanti all'ingresso di una stanza.
Il ritmo, tra l'altro, è fatto di imprevedibili alti e bassi. La permadeath costringe l'unità ad un approccio ragionato, fatto di lenti avanzamenti. La corsa del timer verso lo zero, d'altro canto, costringe gli attaccanti a procedere spediti verso l'obiettivo. In questo senso, ad inspessire ulteriormente il gameplay, concorre il level design, ragionato ed accortissimo in tutte le nove mappe proposte, capace di disegnare ambientazioni che alternano spazi aperti, a location fatte di corridoi e piccole stanze.
Come dicevamo in apertura, Firewall Zero Hour non rinuncia nemmeno ad un comparto tecnico di tutto rispetto. Nonostante animazioni spesso alienanti degli avatar, frutto dei movimenti di busto e braccia dei videogiocatori, vanno spese lodi per il granitico frame rate e per l'inaspettata pulizia d'immagine, nonostante scenari non sempre dettagliatissimi.
Firewall Zero Hour rappresenta l'ennesimo step evolutivo degli FPS in VR. Se amate i multiplayer competitivi, grazie alla produzione di First Contact Entertainment scoprirete un'anima, un gusto del tutto inedito di questo genere di videogiochi, accorgendovi come la fisicità dei corpi abbia effettivamente il suo peso, il suo valore, la sua importanza nella creazione e messa in pratica delle strategie utili per raggiungere la vittoria.
Consigliato, nonostante qualche pecca sotto il profilo dei contenuti proposti. Da solo, potrebbe spingere i fan sfegatati di Battlefield e compagnia bella all'acquisto di un PlayStation VR.