Fortnite per Android salta il Play Store, ma Google non ha nulla da temere - editoriale
Epic Games non vuole dare soldi a Big G. Ma può permettersi di farlo.
Un potenziale terremoto. Così è stata interpretata la decisione di Epic Games di non distribuire l'attesissima versione per Android di Fortnite tramite il Play Store - il negozio digitale di Google - bensì di farlo tramite un sistema su cui ha maggiore controllo: il suo sito ufficiale.
Anche su Android gli utenti dovranno quindi andare sul sito di Epic Games e da lì scaricare il gioco, proprio come su PC e Mac. Una manovra fatta anche per arginare l'obbligo di consegnare il 30% dei profitti a Google, una possibilità permessa dal fatto che su Android le applicazioni possono essere installate anche tramite un'operazione nota come Sideload. In questo modo, semplicemente spuntando impostazioni semi-nascoste, si può scaricare il pacchetto per l'installazione da qualsiasi fonte esterna.
Il co-fondatore di Epic Games Tim Sweeney è stato molto chiaro rispetto alla sua avversione per i negozi digitali: "Se guardi attentamente, i negozi sulle piattaforme smartphone fanno davvero poco. Mettono le inserzioni proprio di fronte al tuo gioco. Se cerchi Fortnite su iOS, spesso ti vengono fuori le pubblicità di PUBG o Minecraft. Chiunque abbia comprato quello spazio pubblicitario di fronte a noi è il primo risultato quando cerchi Fortnite. È una pessima esperienza".
Per dare un riferimento del peso di Fortnite su mobile, nei primi tre mesi di disponibilità su iOS ha guadagnato oltre 100 milioni di dollari; tale cifra è salita a fine luglio a 150 milioni, galvanizzata dai contenuti della quinta stagione.
Il motivo per cui tale decisione di Epic Games sia stata tanto rilevante è presto detta: cosa succederebbe se altri sviluppatori seguissero il suo esempio e decidessero di non considerare il Play Store e di agire indipendentemente? Ve lo diciamo subito: non accadrà. Per un motivo molto semplice: Epic Games può permetterselo, forte dei milioni di dollari che fattura con l'Unreal Engine e, soprattutto, dei miliardi che sta raccogliendo con Fortnite.
Tantissimi altri studio, anche medi, non ce la farebbero. La vetrina del Play Store è una finestra imprescindibile per la maggior parte dei produttori che decidono di pubblicare il proprio gioco anche, oppure solamente, su smartphone e tablet Android. Su iOS tale discorso non esiste: o passi dall'App Store integrato oppure non pubblichi l'app. Apple ragiona in modo molto semplice.
"Sebbene la mossa di Epic Games metterà pressione su Google per abbassare la sua fetta di profitti, non aspettiamoci che la mossa di Epic possa creare un effetto domino per gli altri sviluppatori Android", ha detto in merito Lynnette Luna, analista per GlobalData. "Fortnite ha un significativo traino che deriva dal PC e dal mondo delle console da gioco. Gli utenti Android cercheranno attivamente il gioco e saranno lieti di usare il side load, anche se ci sono più rischi per la sicurezza da considerare".
"Gli altri sviluppatori - anche quelli grandi - hanno bisogno di Google Play per aiutarli a guadagnare visibilità agli occhi degli utenti Android" ha proseguito Luna. "Il mercato mobile è largamente guidato da un'economia legata alle app".
Difficile pensare, infatti, che uno sviluppatore piccolo o medio possa permettersi di usare il proprio sito ufficiale oppure una piattaforma esterna al Play Store integrato in centinaia di milioni di dispositivi Android, soltanto per non dare il 30% a Google. È un rischio che tantissimi - anzi, quasi tutti - non possono permettersi.
Fortnite è già conosciuto, motivo per cui la sua uscita su Android sarebbe comunque accolta da milioni di download. Immaginate invece uno sviluppatore poco noto che debba finanziare non solo lo sviluppo e la distribuzione, ma anche assorbire il rischio che nessun giocatore sappia minimamente che il suo gioco esiste. È una possibilità già reale oggi, con il Play Store popolato da centinaia di migliaia di applicazioni; figuriamoci senza di esso.
Nel mondo desktop, invece, la questione ha una forma molto diversa. È notizia dei giorni scorsi, per esempio, che Bethesda non pubblicherà Fallout 76 su Steam, bensì lo farà attraverso la sua piattaforma proprietaria. Segue l'esempio di Ubisoft ed Electronic Arts, che cercano di spingere rispettivamente Origin e Uplay rendendo questi software indispensabili nell'esperienza per computer dei loro giochi.
Uscire da Steam, insomma, non significa che l'utente abbia maggior libertà di azione; significa semplicemente finire in un'altra gabbia, di cui però il produttore può cambiare la forma e la grandezza del lucchetto a proprio piacimento. Twitch, GOG.com, Steam, Origin, Uplay, Bethesda, Epic Games. Ognuno con un suo "negozio".
All'utente, insomma, viene consegnato il peso di dover frammentare ulteriormente la propria libreria di videogiochi - un problema che su PC diventa sempre più grande ogni anno che passa - mentre il produttore può decidere la configurazione dell'esperienza utente e scegliere di non affidarsi a una piattaforma terza qual è Steam. D'altronde, però, questa si chiama concorrenza e fa bene al mercato.
Anche nell'ambito desktop, comunque, a potersi permettere di non aderire a Steam sono i principali produttori software, che hanno le risorse e la visibilità per poter procedere autonomamente e organizzare una propria piattaforma. Tutti gli altri devono giocoforza affidarsi alla vetrina di qualcun altro, pena il rischio di non pareggiare neanche le spese di produzione.
Epic Games può dettare le sue regole in virtù di risorse economiche che tantissimi sviluppatori mobile, anche grandi, non hanno. Può "ribellarsi" al Play Store e a Google, portando quest'ultima a perdersi i milioni di dollari che sarebbero arrivati dal 30% dei profitti di Fortnite. Tutti gli altri, invece, non possono che assecondare la 'tassa di Google', perché l'alternativa rischia di essere persino peggiore.