Ganryu 2 Recensione, da grande volevo essere Shinobi
Il sequel di un vecchio classico che non lascia il segno.
I giocatori più giovani hanno assaporato la consistenza e la cattiveria dei vecchi giochi di combattimento arcade degli anni ‘90 con il recente e bellissimo Sifu. Molti ne hanno criticato la difficoltà mentre i veterani ridacchiavano sotto i baffi, pensando alle ore e ai soldi spesi a suo tempo nei cabinati dei vari Kung-Fu Master, Double Dragon, Shinobi e Shadow Dancer.
Proprio a questi ultimi due titoli, datati rispettivamente 1987 e 1989, si ispirò la Visco Corporation per la realizzazione di Ganryu, che uscì in sala giochi alla fine del secolo scorso (quanto ci fa sentire vecchi questa frase) e, successivamente, su Neo Geo e Dreamcast.
A distanza di tantissimo tempo, meglio non pensare quanto, Storybird Studio ha deciso di dare un seguito a Ganryu, cercando di mantenere intatto lo spirito e lo stile grafico del prodotto originale. Ganryu 2: Hakuma Kojiro è ambientato in una derivazione fantasy del Giappone del 17° secolo, e protagonista è ancora una volta Miyamoto Musashi, che dopo la vittoria contro Sasaki Kojiro nel gioco precedente decide di ritirarsi a vita privata per meditare e dedicarsi all'arte. La battaglia però non è finita, lo spirito del suo rivale si palesa e lo sfida ad una nuova contesa minacciando vendetta. È tempo per Musashi di rimettersi in marcia e chiudere i conti una volta per tutte!
Se già avete avuto modo di dare un'occhiata a questo gioco o avete sbirciato per la prima volta oggi alcune delle sue immagini probabilmente avrete avuto un singulto nostalgico. Ganryu 2 infatti mantiene pressoché intatto il lignaggio estetico del suo predecessore, facendoci fare un tuffo nel passato che fin dai primi istanti di gioco non può non provocare qualche emozione.
La pixel-art è croccante, i movimenti del personaggio veloci e precisi: scatto, salto, doppio salto, colpo di katana e kunai che volano come fossero colibrì. I nemici piazzati in punti strategici che si muovono non appena arrivi nel loro raggio d'azione e le loro routine che hanno già previsto un tuo salto e sono pronte a coglierti in fallo: è pura goduria anni 90 in salsa samurai!
Anche il level design dei primi livelli fa presagire ottime cose, con zone nascoste dove recuperare le carte Hanafuda perdute e passaggi stretti che ben si sposano con la veloce “dash” del protagonista. I combattimenti sono difficili il giusto, hanno quell'infuocato spirito arcade che all'epoca serviva a convincerti ad inserire un'altra monetina nel cabinato, ma che ora si è trasformato in pura e sfrontata sfida. I “continua” limitati tengono il giocatore costantemente sulle spine perché, in caso di Game Over, si è costretti a ricominciare tutto il livello da capo come fosse la prima volta.
Chi ha convissuto per trent'anni con tali elementi di gameplay si troverà a suo agio come sul divano di casa, ma i problemi veri in Ganryu 2 arriva dopo aver superato i primi due stage. Giochi del genere sono per loro natura costretti a mettere di fronte a sfide sempre più difficili, a vivacizzare le tue abilità con un trial & error punitivo ma al tempo stesso giustamente stimolante. In questo caso però si assiste ad un bizzarro decadimento dell'equilibrio che rovina buona parte della seconda metà di gioco.
I checkpoint diventano più rari e posizionati in modo discutibile mentre il posizionamento di alcuni nemici, che nel frattempo si sono fatti assai più coriacei, travalica il concetto stesso di “bastardaggine”. Alcuni appaiono all'improvviso alle spalle o colpiscono quando ancora devono palesarsi sullo schermo. La situazione diventa ancora più snervante quando ci si trova di fronte ai boss o ai mini-boss di metà livello, che in alcuni casi sono fin troppo sgravati e concedono finestre ridottissime di reazione.
L'unico modo per venire a patti con tali mancanze consiste nel ripetere moltissime volte ogni singolo stage per imparare a memoria tutti i pattern e le trappole sparse sul percorso, specie se avete intenzione di recuperare tutti i collezionabili del gioco che non sono poi molti ma spesso sono posizionati in zone... diciamo fuori dai percorsi più evidenti. Il miraggio della “partita perfetta”, quella portata fino alla fine con un solo credito, è assai lontano, quanto se non più di Sifu che almeno aveva l'intelligenza di fornire al giocatore più di un modo per andare avanti, oltre alla possibilità di sviluppare con una certa elasticità le sue abilità.
Ciliegina sulla torta, il sistema di controllo: non c'è alcuna possibilità di modificarlo e neanche di scegliere tra uno o più set-up predefiniti. Questo non sarebbe un problema se la mappatura dello stesso fosse stata fatta con un criterio degno di questo nome invece anche qui c'è qualcosa che stride.
Perché ad esempio utilizzare la pressione di uno stick analogico per scatenare le magie e dell'altro per correre quando ci sarebbero ancora due tasti dorsali a disposizione? In momenti di gioco particolarmente concitati l'utilizzo di queste due tecniche risulta poco comodo specie vista la difficoltà di alcuni passaggi.
Tali scelte di design lasciano francamente l'amaro in bocca e rovinano un'esperienza di gioco che avrebbe potuto essere sì impegnativa ma comunque equilibrata. Ci piacciono i giochi che mettono alla prova abilità e riflessi, ma in questo caso ci troviamo di fronte ad un prodotto che non è stato realizzato con il giusto bilanciamento.
Alcuni di questi difetti potrebbero tranquillamente essere eliminati o migliorati con qualche patch correttiva, cosa che ci auguriamo avvenga al più presto per farci ritornare la voglia di mettere nuovamente mano a katana e kunai per chiudere i conti con Kojiro senza dover imprecare tutto il pantheon delle divinità shintoiste.