Georgetown - recensione
L'irresistibile ascesa di un piccolo arrampicatore sociale.
Christoph Waltz, l'attore tedesco divenuto famoso grazie a Tarantino e al suo Inglourious Basterds, anche se in età avanzata, dopo 53 anni di onorata carriera ma solo nella madre patria, aveva già diretto un film per la TV, ossia 'Wenn man sich traut'. nel 2000.
Torna adesso alla regia con Georgetown, storia tratta da un articolo pubblicato sul New York Times nel 2012, The Worst Marriage in Georgetown, di Franklin Foer.
Una sceneggiatura ispirata dunque a una storia vera, dalla quale però l'interprete/regista afferma di volersi discostare, lasciando nello spettatore qualche dubbio, come si evince anche dalla scritta che compare alla fine del film. Dove fra l'altro si firma semplicemente C. Waltz. La sceneggiatura invece è stata scritta da David Auburn (La casa sul lago del tempo, The Girl in the Park, il nuovo trattamento di Charlie's Angels).
Nel 2000, a Washington, Ulrich Mott è un fresco emigrato cinquantenne in cerca di affermazione. Campa come stagista di un qualunque deputato e finisce pure licenziato. Ma le sue ambizioni sono ben altre.
Grazie a vari escamotage, ai suoi modi affabili e all'aspetto perbene, riesce a intrufolarsi in meeting affollati di "bella gente", in cui incontra Elsa Brecht, 40 anni più di lui, nota e stimata giornalista, la individua come preda e riesce a entrare nelle sue grazie.
Quando la donna resta vedova, solleticando la sua senile vanità, la circuisce arrivando a farsi sposare, incontrando la totale (giustificabile) ostilità della figlia. Da lì in poi la sua "carriera" decolla, grazie alle conoscenze della moglie riesce a entrare in giri vicini al potere, cui mai avrebbe potuto accedere. Il sottobosco della capitale è infatti ricchissimo di figure di ogni livello, che però tutte rimandano al Potere con la maiuscola.
Ma il successo mondano e il benessere economico non gli bastano, lui non è mai pago di riconoscimenti e vuole distinguersi, emergere, diventare famoso. Vivrà alcuni anni di gloria, riuscendo a entrare in contatto con un certo numero di nomi noti, come McNamara e Soros, creando una specie di schema Ponzi di agganci sociali, per cui da un primo nominativo, recuperato attraverso le conoscenze della moglie, riesce a "collezionare" un parterre di personaggi illustri.
Parterre che accuratamente stampa sull'intestazione della sua società "dei personaggi eminenti", con la quale vorrebbe organizzare convegni, proporre soluzioni ad alto livello, salendo poco alla volta verso l'empireo di quelli che davvero cambiano le sorti della politica mondiale.
Ma per un soffio, pur in mezzo a tanti mediocri, quello che per lui rappresenterebbe il successo gli sfugge sempre, fino alla conclusione che smaschererà tutte le sue coperture. L'evento sarà la morte della moglie, inizialmente passata per incidente, poi riconosciuta come omicidio.
Mott (il protagonista della vera storia, Albrecht Muth, e quello della finzione) è stato un millantatore professionista, un megalomane convinto, un emigrato in cerca di rivalsa, ben più di un semplice bugiardo cronico, anche se non proprio un vile truffatore.
È però incredibile la sua ascesa in una società dove solo i personaggi di rango più basso riconoscevano subito la sua natura, mentre mano a mano che saliva fra le classi sociali, abbindolava sempre più professionisti all'apparenza stimati ma ingenui, stupidi, superficiali, che ignoravano la sua ipocrisia, che si lasciavano ingannare mentre si sentivano solleticati dall'apparente aura di potere che Mott aveva costruito intorno a lui.
Mai ha usato questi giri di potere per fare soldi, a quello bastava la moglie, con la sua bella casa nel quartiere chic di Georgetown, quello che conta a Washington, e la sua rubrica gonfia di nomi di prestigio, raccolti in una onorata carriera, che affollavano i suoi party, le sue cene esclusive.
Waltz dilaga nel suo personaggio, dispiegando il suo sorriso falso e la sua viscida cordialità (che il doppiaggio italiano enfatizza). Vanessa Redgrave è la meravigliosa 87enne che ben conosciamo e riesce a rendere credibile un rapporto così sbilanciato. Una donna che, sola con tutto il suo potere mondano, coscientemente si era "comprata" un "damo" di compagnia (rapporti sessuali non ce n'erano), impeccabile padrone di casa, raffinato cuoco, conversatore poliedrico ma nullatenente, di cui però stimava l'intraprendenza, e che aveva deciso di sostenere. Finché entrambi non hanno toccato il fondo e hanno pagato le conseguenze dei rispettivi errori.
E forse in questo senso proprio la donna, con il suo sguardo acuto e sempre attento, è il personaggio più negativo. Poco spazio invece alla sempre corrucciata Annette Bening, figlia comprensibilmente contraria alla sbilanciatissima unione, che a madre viva o morta non smetterà di contrastare l'odiato Mott.
Georgetown è un thriller perché fino alla fine si cerca il colpevole di un delitto, ma soprattutto è il racconto dell'irresistibile ascesa di un uomo qualunque, che però aveva davvero delle marce in più. Ma aveva una colpa imperdonabile, non apparteneva ai giri che contano.
Più valido di tanti beneficiati dalla propria classe sociale, avrebbe forse potuto davvero emergere onestamente e arrivare magari a risultati anche superiori. Un giorno però il suo enorme bluff è finito sotto gli occhi di tutti.
Georgetown è anche una farsa tragicomica che, mentre in capitoli successivi ci racconta l'ascesa dell'imbroglione, ci mostra nel contempo quanto sia facile farsi strada fra i burocrati del potere, sempre preoccupati di pestare qualche piede eccellente, di mostrarsi fuori dai giri che contano, di sottovalutare qualcosa che non andrebbe sottovalutato, permettendo così che un truffatore come Mott con le sue trame arrivasse a inquietare qualche importante agenzia governativa.
Mott avrebbe potuto essere un perfetto lobbista o, se in una serie TV, avrebbe avuto la potenzialità di diventare un piccolo Frank Underwood. C'è di che riflettere.
Il film era stato distribuito on demand, e si trova ora anche nei cinema che hanno deciso di riaprire.