Get Even - prova
Più che un gioco, un'esperienza psicologica.
Quando dopo ventidue anni di carriera credi di averle viste tutte, quando ormai i seguiti e i cloni si susseguono senza soluzione di continuità, fa un certo piacere scoprire che ti stai sbagliando. Che non hai visto davvero tutto e che c'è ancora qualcuno capace di stupirti con una formula di gioco inedita. Quel qualcuno si chiama Get Even e l'occasione per scoprirlo ce l'ha offerta il Winter Level Up, l'evento svedese durante il quale Bandai Namco ha presentato la sua line-up.
Tutto inizia con noi che dobbiamo trovare una ragazza scomparsa. Siamo Cole Black, un ex militare precipitato in una spirale di alcol e droga. La sua voce fuori campo commenta quello che accade su schermo con una intonazione hard boiled e tutto all'inizio sa di già visto. Anche il motore grafico, che con la sua scarsa conta poligonale e delle texture slavate, sembra essere uscito direttamente da una PlayStation 3.
Poi però s'inizia a giocare davvero e le cose si fanno interessanti. A nostra disposizione abbiamo infatti uno smartphone che ci offre una serie di abilità. La prima ci permette di effettuare una scansione della location in cui ci troviamo, facendo apparire dal nulla degli oggetti che saranno gli indizi nella nostra ricerca. Dico dal nulla perché inizialmente crederemo che si materializzino direttamente dal passato.
Poi lo smartphone ci permetterà di analizzare la mappa agli infrarossi, rilevare impronte o tracce di sangue con gli ultravioletti, controllare le email in entrata, studiare la posizione dei nemici grazie al satellite, rivedere gli indizi raccolti durante la nostra indagine e fare sparire dai livelli eventuali glitch, modificando così le location in cui ci troviamo.
Se questa affermazione vi pare strana, non sbagliate. Ma dopo un po' che si gioca si scopre che tutto quello che stiamo vivendo non sta accadendo realmente, ma è una simulazione rivista attraverso una specie di visore per la realtà virtuale di nome Pandora.
E che qualcuno, un uomo misterioso (o forse è una donna?) di nome Red, ci sta obbligando a rivivere il passato in cerca di indizi. Ma è il nostro passato o quello di qualcun altro? Non ci è stato dato saperlo, quel che è certo è che il nostro alter ego, Cole Black, ha finito col diventare un sicario, un uomo senza famiglia e senza amici, che si sente in colpa quando uccide e che eppure trova nell'assassinio la sua ragion d'essere.
E dunque il dubbio viene: siamo spettatori incolpevoli di quello che vediamo o suoi artefici? Vittime o carnefici? Il dubbio non si farà strada all'inizio ma dopo un po'. Perché il salvataggio della ragazza rapita, sulle cui tracce siamo inizialmente, non va esattamente come dovrebbe.
Peccato che subito dopo ci si trovi in un manicomio, il Blackwell Asylum, ovviamente in stato d'abbandono e con atmosfere completamente diverse. Innanzitutto un po' più thriller (che dire horror sarebbe troppo), con alcuni momenti che cercano il jumpscare senza riuscirci. E accompagnati da una colonna d'atmosfera che prova a metterci in agitazione semplicemente variando l'intensità di alcune note.
Anche il gameplay è diverso (sebbene non del tutto), dato che mentre all'inizio dovevamo farci strada verso la ragazza rapita sparando ai rapitori con una pistola silenziata, un mitragliatore o con una utilissima corner-gun (o con dei silenziosi takedown), ora dovremo raccogliere prove e risolvere enigmi. E sia chiaro, Get Even è un gioco vecchio stampo anche nel momento in cui si resta interi minuti a interrogarsi sulla mossa successiva da fare.
"Abbiamo visto che c'è un punto in cui molti di voi si sono bloccati", afferma Wojciech Pazdur, game director di Get Even. "Ma abbiamo ancora due mesi di sviluppo davanti". "Se ti riferisci al punto in cui bisogna inserire il codice", interviene Lionel Lovisa, producer del gioco, "sappi che dopo tre minuti che sei bloccato interverrà il sistema di aiuti".
E sì, il punto in cui mi sono bloccato è stato proprio quello. E no, anche dopo cinque minuti non è arrivato alcun aiuto a spiegarmi dove andare. Ma diamo per buono che ci sarà, e passiamo oltre. Perché all'esplorazione del manicomio segue un'altra sezione, manco a farlo apposta diversa dalla precedente. Veniamo infatti trasportati negli uffici di una società di nome ADS, dalla quale dobbiamo rubare i piani della corner-gun che usavamo nel primo 'livello'.
Qui il gioco cambia nuovamente e diventa uno shooter con meccaniche stealth piuttosto banali, perdendo il fascino acquistato in precedenza. Colpa anche di un frame rate poco convincente su PS4, e di una grafica che mostra il peso dei molti anni di sviluppo. "Il gioco è stato realizzato con l'Unreal Engine 3", afferma Lionel Lovisa. "Considera comunque che gli effetti post processing non sono ancora stati del tutto implementati".
"Sono anche piuttosto sicuro", gli fa eco Wojciech Pazdur, "che ci sia stato qualche leak di memoria sulla tua PlayStation 4, perché a un certo punto m'è sembrato sia saltato il post processing (ma la grafica ha sempre avuto la medesima qualità sin dall'inizio, ndSS). Inoltre l'illuminazione e la palette cromatica non erano quelle che dovevano essere. Comunque non siamo uno studio di sviluppo grande e sarebbe sbagliato attendersi da Get Even una grafica da tripla A".
"Il gioco è in sviluppo da quasi quattro anni", prosegue Lionel Lovisa, "e l'adozione dell'Unreal Engine 3 dipende anche da questo. Quando abbiamo iniziato a lavorare su Get Even c'erano le prima beta dell'Unreal Engine 4, ma erano piuttosto instabili e non avevamo il tempo di aspettare le build successive. Certo, ora è molto più facile creare grafiche migliori e illuminazioni più convincenti, e col senno di poi avremmo adottato l'Unreal Engine 4".
"Bandai Namco è un ottimo publisher", rincara Wojciech Pazdur, "ma siccome Get Even è un gioco molto strano da spiegare, all'inizio è stato molto difficile collaborare con loro. Quando approcci un publisher e gli dici che gioco vuoi fare e di quanti soldi hai bisogno, devi anche dare delle indicazioni molto chiare di quella che sarà la tua tabella di marcia. Quando abbiamo discusso Get Even non era chiaro se Bandai Namco avrebbe accettato di produrci e la nostra priorità è stata più che altro fargli capire il gioco. Dopo un po', all'incirca due anni fa, c'è stata una svolta e da allora tutto è proceduto perfettamente".
Finita la sezione dell'ADS, si torna al manicomio e alle sue stranezze. E si scopre una stanza degli indizi, dove tutti quelli scoperti finiscono su delle lavagne grazie alle quali capire di più di un gioco con una trama complessa come una puntata Lost. A ogni filone narrativo corrisponde una lavagna, ma anche così raccapezzarsi non è facile, perché fino a quel momento i filoni narrativi si sono sovrapposti tra loro. The Kidnapping, The Man From the Lithurst Asylum e Job for Robert Ramsey sono quelli che abbiamo esplorato. E più avanti scopriremo The Victim.
Dopo tre ore e mezza di gioco restavano altre 5 lavagne vuote e ammetto di non aver capito bene cosa fosse successo, cosa stessi facendo, né la trama. Semplicemente succedevano cose, s'intuiva qualche legame ma non molto di più. Tutti questi misteri, però, finivano col diventare frustranti e il risultato è che l'attenzione calava, ci si astraeva. Ma secondo gli sviluppatori, è tutto calcolato.
"La confusione che dici di provare è voluta", chiosa Wojciech Pazdur. "Inizialmente diamo in pasto al giocatore troppe informazioni perché possa comprenderle tutte, ma sei arrivato in un punto in cui si cominciano a unire i puntini. Che sono sempre stati lì, solo che all'inizio è difficile accorgersene. Il rapimento della ragazza è comunque la parte più importante del gioco, e tu sei stato messo nella memoria di qualcun altro che ti controlla dall'esterno".
Get Even è uno dei giochi più originali che abbia visto negli ultimi tempi. Da dove avete tratto l'ispirazione? Risponde Artur Fojcik: "Il nostro direttore creativo, Wojciech Pazdur, aveva in mente Get Even da tempo. L'ispirazione gli è venuta dieci anni fa da film come The Butterfly Effect e The Sourcecode, ma quando poi ho iniziato a lavorare come game director ho cercato di creare qualcosa di unico. Ho lavorato come giornalista di videogiochi per sette anni, quindi conosco l'industry molto bene. E considero la nostra una forma d'arte, che però non sempre è in grado di proporre prodotti maturi. Per carità, alcuni lo sono tecnicamente ma l'arte è comunicare emozioni e non credo che i videogiochi debbano trasmettere solo divertimento. C'è bisogno di creare altre sensazioni e in Get Even ci sono rabbia, paura, pressione, alle volte anche noia. Il risultato credo sia qualcosa di unico".
Considerata la parte del gioco che avete portato qui al Winter Level Up, a che punto sono arrivato? Metà? Un quarto? "Dipende", risponde Lionel Lovisa. "Stando ai nostri playtest, per completare Get Even ci si mettono dalle 8 alle 15 ore, a seconda che si voglia andare dritti al sodo e non capire nulla del gioco o che si vogliano leggere tutte le documentazioni, esplorare tutto ciò che il titolo ha da offrire e comprenderne la trama. Un giocatore normale credo ce ne metterà 12".
Un'ultima domanda. Get Even è un prodotto molto difficile da manipolare e sarà difficile per Bandai Namco promuoverlo. Quali sono le vostre aspettative? "Quando abbiamo deciso di produrre Get Even", risponde Lionel Lovisa, "sapevamo che stavamo imbarcandoci in un progetto difficile, perché quello che proponiamo non è solamente un videogioco ma un'esperienza psicologica. Ma il mercato ha bisogno anche di prodotti di così, ha bisogno di qualcuno che provi a creare nuove esperienze. Credo che il passaparola rivestirà un ruolo importante".
"Prima di arrivare in Bandai Namco abbiamo approcciato molti altri publisher", chiude Wojciech Pazdur, "tra cui Microsoft. La migliore cosa me l'ha però detta il boss di Lionel, quando ha iniziato a capire il gioco: 'difficilmente guadagnerò qualcosa da Get Even, ma è un prodotto che voglio avere nel mio catalogo".