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Ghostbusters Legacy Recensione: Un'eredità che arriva dagli anni '80

Un sequel da manuale.

Chissà cosa pensavano Dan Haykroyd e il compianto Harold Ramis quando nel 1984 si sono inventati Ghosbusters, la demenziale e surreale storia di tre ricercatori universitari (in realtà tre sfigati assoluti, anche se geniali), costretti a inventarsi un'attività assurda (ma meno di quanto si potesse pensare), ossia i cacciatori di fantasmi a New York, che ne era infestata?

Potevano mai immaginare cosa sarebbe successo (un paio di Oscar, record di incassi in varie categorie diventando quello che viene definito un "fenomeno culturale"), ossia che avrebbe generato un merchandising immenso (action figure, videogame, serie in animazione), oltre a un sequel e un reboot al femminile, citato pure nella serie fenomeno di accessi per Netflix e Stranger Things?

Adesso c'è pure un'eredità. Ma di che eredità si parla nel film Ghostbusters: Legacy, che arriva adesso sugli schermi?

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Conosciamo una piccola famigliola in difficoltà, composta da Callie, una mamma single e due figli: il maggiore, Trevor, bellino ma non brillantissimo; la minore, Phoebe, una ragazzina geniale e spregiudicata. Proprio quando uno sfratto li mette in crisi, arriva la notizia della morte del nonno mai conosciuto, padre che aveva abbandonato Callie da piccola per rifugiarsi a Summerville, uno sperduto paesino dell'Oklahoma, dove era diventato una specie di matto del villaggio, noto per le sue strane ossessioni.

Arrivati sul posto, ciascuno di loro va incontro a una diversa strada per una minima integrazione: Callie incontra un simpatico insegnante (Paul Rudd), con il quale scocca la scintilla. Trevor si innamora fulmineamente di una cameriera e Phoebe si mette a frugare appassionatamente fra le strane cose appartenute al nonno. In questa attività ha il pieno supporto del solito ragazzino nerd, detto Podcast, però.

Sullo sfondo del paesino, devastato da inquietanti scosse di terremoto, si staglia minacciosa una montagna che nasconde nelle sue viscere un segreto. Mentre segnali inquietanti si manifestano per le strade, i ragazzi per primi capiranno di dover scendere in campo, pur privi delle esperienze necessarie. E alla fine restate seduti, perché c'è una lunga sequenza alla fine dei titoli di coda.

I nuovo eroi della prossima generazione?

Cast ben scelto, i ragazzi sono Mckenna Grace, giovane attrice meritatamente lanciatissima, nel ruolo di Phoebe, e Finn Wolfhard, che arriva proprio dal mondo Stranger Things. Carrie Coon è la mamma ancora irrisolta, che non smette di sperare in un futuro migliore, mentre Paul Rudd è il ludico professore che intrattiene gli studenti con titoli horror degli anni '80. Non nominiamo altri attori per non togliere il piacere della sorpresa.

Alla regia troviamo Jason Reitman, il figlio di Ivan, regista del primo film, e ciò ha fatto la differenza. Ghostbusters: Legacy, titolo italiano per una volta più appropriato dell'originale Ghostbusters Afterlife (aldilà), anche se alla fine ne capiremo il motivo, è una piacevolissima sorpresa dopo tanti tediosi raschiamenti di barile di marchi di successo, un film che piacerà anche a un pubblico digiuno della storia e dei personaggi (ma è mai possibile che qualcuno ignori i Ghostbusters?), e che farà felici i fan della prima ora.

Viene ripreso/citato tutto del film che ha dato avvio alla saga, perché i personaggi stessi sono "sequel" di quelli originali (almeno alcuni), si ripercorrono le loro gesta grazie a filmati su Youtube e aneddoti narrati. E tornano i fantasmi sporcaccioni e voraci, il Guardiano di porta e il Mastro di chiavi e il demone supremo Gozer, Ivo Shandor, il folle seguace della setta a lui dedita. Torna anche il marshmallow gigante, ma in una veste diversa, e tornano gli assurdi aggeggi per la rilevazione dei fantasmi e gli zaini protonici, le tute da lavoro e la cara, vecchia, scassatissima ECTO 1.

La mitica ECTO 1!

Giustamente Reitman Jr sente il prodotto come una cosa di famiglia e come tale lo tratta, con una cura che non è solo fan service, bensì citando e riprendendo i temi originali (compresi quelli musicali fra cui la mitica canzone di Ray Parker Jr), per realizzare un film che è più action e meno comedy del precedente, più toccante quanto alle meccaniche famigliari e amicali di quanto fosse l'originale, divenendo così un esempio da manuale su come fare un sequel riuscito a distanza di ben 37 anni.

Un film che è un omaggio nostalgico al cinema di quegli anni e un ricordo commosso di qualcosa, di qualcuno che non ci sarà mai più. Come il filo di un'eredità che passa fra personaggi di finzione e personaggi reali, fra una nipote e il suo sconosciuto nonno, fra Reitman padre e figlio, fra uno spettatore del passato e quello del futuro.