Giochi del decennio: God of War e la storia sublime di un Dio umano - articolo
Quella di Kratos e Atreus è una delle avventure più intense e riuscite della decade.
Con l'arrivo del 2020 abbiamo deciso di celebrare i 30 giochi che hanno lasciato il segno negli ultimi dieci anni. Potete trovare tutti gli articoli pubblicati nell'archivio dei Giochi del decennio, e leggere dell'idea da cui è nato il progetto nel nostro editoriale.
Un altro anno si appresta a lasciarci, e con esso un decennio florido e importante per il panorama videoludico. Sono evidenti i passi che il medium ha compiuto verso una sempre maggiore maturità artistica e culturale, tra reboot di icone trasversali del passato, rimasterizzazioni e nuove IP capaci di mostrare ancora una volta la smisurata dose di creatività che questo settore porta in grembo.
In una rassegna celebrativa di quelle produzioni che hanno indelebilmente segnato la decade, non potevamo certo non scomodare quella che forse è stata l'icona più emblematica della sesta generazione di console; un personaggio dal design e dalla caratterizzazione forti e roboanti, che ha accompagnato la trafila di avventure action hack 'n' slash a marchio Sony per eccellenza.
Il Fantasma di Sparta e God of War hanno portato, attraverso la reincarnazione di Cory Barlog dello scorso anno, un messaggio importante. Un messaggio umano, prima che tecnologico e ludico. Il restyle incondizionato di una formula che sì, ebbe la sua fortuna, ma che si accingeva ad un confronto sempre più arduo con gli anni, e ora capace di veicolare nuove intenzioni, prospettive narrative smisuratamente più ampie e una maturità culturale completamente differente rispetto al passato, glorioso ed iperbolico, di Kratos.
Il mito, l'epica e la divinità, in God of War cedono un porzione di palcoscenico all'introspezione dell'umanità, al sentimento ed al fardello uggioso che questo porta in ogni essere umano. La maturazione di un Dio iracondo e astioso in un essere umano più riflessivo ed emotivo, avviene sui passi della costruzione di un difficile rapporto, che ci mostra e ci racconta con efficacia del mestiere umano più difficile al mondo.
Questa è, soprattutto a titolo personale, una delle maggiori conquiste narrative dell'ultima produzione di una sontuosa Santa Monica, oltre che un insegnamento prezioso. La dimostrazione ennesima della potenza comunicativa, istruttiva ed emotiva del medium videoludico, che è capace come e più di qualunque altro di rendere potenti ed assordanti i suoi messaggi, specie se silenziosi.
Non è solo nel rapporto tra Kratos e Atreus e nell'evoluzione magistrale del personaggio, chiaramente, che risiede il valore dell'opera. La mitologia norrena è un coprotagonista provetto, di quelli che raramente si sono visti. Immaginario, ambientazioni e tecnicismi (tra i quali spicca l'unico, interminabile e formidabile piano sequenza), confezionano un pacchetto che porta questo capitolo ad una distanza piuttosto considerevole dagli stilemi ormai ridondanti e piuttosto classici del franchise.
Può sembrare scontato o dovuto, probabilmente perché si parla di Sony che certi first party li ha sbagliati di rado, o perché si tratta di God of War e Santa Monica: ma fare quel che Barlog e la sua troupe hanno fatto non è stato affatto semplice, e la rivisitazione stilistica e ludica dell'ultimo capitolo reca in sé una considerevole dose di coraggio.
La stessa rilettura ludica dell'opera, che passa agilmente ad abbracciare le istanze di un action più tecnico e maturo non rinunciando affatto alla massiccia dose di brutalità e accessibilità che ha da sempre timbrato le confezioni dei titoli, è un esempio di maturità e crescita anche professionale.
Si è saputo con intelligenza ed arguzia attingere dal nuovo e dalle innovazioni del genere, senza mai venir meno ad un'essenza unica, sanguinosa e cruenta. È per questo che God of War è al contempo reboot, sequel e nuova IP: è un connubio di vecchio e nuovo, in cui risiede indiscutibilmente una parte dell'essenza di quell'importante evoluzione del medium negli ultimi dieci anni.
Si tratta di una di quelle opere capaci di sbalordire per la sublime visione di uno scorcio, di divertire per un' appagante sequenza di combo e colpi al Draugr di turno e di colpire l'animo con una recitazione digitale di livello ed una narrativa sorprendentemente intensa.
Si tratta di uno di quei titoli, insomma, che non ci stupiremmo affatto se fosse il vostro, personale titolo del decennio.