Gli eSport, ad oggi, non sono sostenibili - editoriale
E tanti produttori ancora non l'hanno capito.
Gli eSport hanno un problema ed è una questione che richiederà molto tempo per essere risolta: per la maggior parte dei team non sono economicamente sostenibili. Gli eSport sono un fenomeno di massa nascente, che ha spinto Amazon a investire quasi un miliardo di dollari per far sua la piattaforma di streaming Twitch e aziende come Blizzard a creare una vera e propria competizione digitale: l'Overwatch League. Gli eSport affondano però le proprie radici nel passato ed in seguito al successo di giochi competitivi come Quake, Counter-Strike e StarCraft, sono stati due i titoli a monopolizzare la scena: Dota 2 e League of Legends.
Nel caso del gioco di Valve Software, il premio e, più in generale, i bonus alle varie squadre ha raggiunto un totale di 20,75 milioni di dollari nella settima edizione del The International dello scorso agosto. Una cifra immensa che, a oggi, è perlopiù un'eccezione. Sì, perché nonostante League of Legends debba tanto alla scena degli eSport, lo sviluppatore Riot Games non fa granché per supportare le competizioni, i team e creare una struttura stabile. La guerriglia fra i proprietari dei team e i proprietari del gioco, infatti, è costante e tanto negli Stati Uniti che in Europa da più parti viene chiesto a Riot maggiore considerazione della scena degli eSport.
Perché, dopo tutto, gli eSport sono innanzitutto pubblicità per il gioco. Centinaia di migliaia di persone, nei casi migliori anche milioni, che guardano professionisti giocare, utenti che hanno dedicato centinaia e centinaia di ore a testare tattiche e segreti e che riescono a esprimere le fondamenta di un gioco in un modo che per chi gioca casualmente è spesso impensabile. Accade però che, restando in tema League of Legends, lo sviluppatore faccia il minimo possibile per mantenere stabile il business delle competizioni professionali, causando la frustrazione di chi, come H2K, registra perdite anche di un milione di euro all'anno, mentre il gioco in sé è una grande fonte di profitti per Riot Games.
"Da un punto di vista degli affari, consideriamo irrazionale continuare una collaborazione dove il nostro partner registra corposi profitti annuali mentre, al contrario, noi facciamo i conti con perdite di oltre un milione di euro", hanno scritto il chairman di H2K Richard Lippe e l'amministratore delegato dell'azienda Susan Tully. "L'accordo finanziario fra Riot e le squadre è sfortunatamente capovolto. Il fatto è che la maggior parte delle squadre di League of Legends perde soldi. I costi operativi continuano ad aumentare incredibilmente e il compenso offerto da Riot alle squadre copre soltanto una piccola parte di questi costi. In poche parole, le perdite delle squadre stanno subordinando le attività di marketing di un'azienda multimiliardaria".
Parole che mettono in evidenza molto chiaramente il nocciolo della questione: gli eSport, come gli sport tradizionali, hanno bisogno di una fonte di sostentamento. Sul lungo periodo, tale fonte sarà quella di sempre: gli sponsor, il pubblico pagante agli eventi in diretta (come allo stadio), le pubblicità. Eppure i team sono talvolta impossibilitati dal produttore del gioco nelle competizioni professionistiche a usare tazze o borracce con il logo di un'azienda oppure a sfruttarne il marchio nei propri video YouTube; a riuscire a trovare una qualsiasi fonte di monetizzazione in un contesto in cui, altrimenti, rischiano di chiudere i battenti. Quindi per ora c'è bisogno di un flusso diretto da parte del produttore del gioco per sostenere economicamente le squadre. Aziende come Riot, però, cercano di trarre il maggior profitto dagli eSport senza considerare quanto questi team abbiano bisogno di un supporto da parte del produttore stesso per continuare a esistere.
Il perché lo apprendiamo ancora una volta dalle parole dei dirigenti di H2K: "Senza H2K e le altre squadre nelle leghe professionistiche, non ci sarebbero giochi da guardare per gli appassionati. I 2 miliardi di dollari di vendite in-game di Riot calerebbero significativamente e così anche i guadagni derivanti dallo streaming di Riot (che superano i 50 milioni di dollari l'anno) e le principali sponsorizzazioni delle maggiori leghe mondiali sparirebbero".
Qualcosa in quel senso, però, si è mosso quando Activision Blizzard ha annunciato la Overwatch League. Non siamo ancora ai livelli di Dota 2, ma il premio finale è di un milione di dollari. Ciascun giocatore guadagnerà un minimo di 50 mila dollari l'anno e avrà una copertura sanitaria obbligatoria oltre a un piano pensionistico. In totale, i bonus previsti per la prima stagione sono di 3,5 milioni, ma con il crescere della lega non potranno che aumentare. Per ora Activision Blizzard non riesce ancora a stabilire quando farà profitti dall'investimento sull'eSport, ma ha capito quanto la figura dei giocatori professionisti sia fondamentale per indirizzare il giudizio di un gioco.
Ovviamente non fa niente per beneficenza ed è conscia che questo sia il momento migliore per investire seriamente nel nuovo fenomeno degli eSport e per avere così un guadagno ulteriore nel medio termine. Per ora è definibile come un'ulteriore spesa pubblicitaria perché, come detto prima, gli eSport restano innanzitutto quello: una grandissima vetrina per il gioco stesso, vista da milioni di persone ogni anno.
Ci sono poi casi più ridimensionati, come il Capcom Pro Tour, principalmente dedicato a Street Fighter, che si concluderà a dicembre con la Capcom Cup 2017. In totale, il premio messo in campo è stato di 600 mila dollari, 100 mila in più dell'edizione precedente. Non bisogna poi dimenticare un evento tradizionale come l'Evo, completamente dedicato ai picchiaduro. In quel caso, i premi sono ancora più bassi: nei tornei di Street Fighter V e Injustice 2 sono stati messi in palio 50 mila dollari, mentre per King of Fighters XIV 14 mila dollari messi a disposizione da SNK e Atlus; 15 mila dollari per Tekken 7 da parte di Bandai Namco e, infine, 10 mila dollari ciascuno per Guilty Gear Xrd REV 2 e BlazBlue: Central Edition.
La struttura base dell'eSport, insomma, è ancora molto fragile. Tanti giocatori li seguono su Twitch, ma senza pagare niente. I produttori in tanti casi non sono partner affidabili economicamente e cercano semplicemente di guadagnare la loro parte. Così, però, non si riesce a creare una struttura stabile che possa essere usata per erigere qualcosa di duraturo e di longevo. Come se non bastasse la diffidenza a giudicare gli eSport come competizioni vere e proprie.