God of War Ragnarok, provato in anteprima
Le nostre prime impressioni sul videogioco PS5 più atteso dell'anno.
Avevamo lasciato Kratos al fianco di suo figlio Atreus, esausti dopo un viaggio interminabile, al calduccio nella loro casa fra i boschi di Midgard. Fuori cadevano i primi fiocchi di neve portati dal Fimbulwinter, l'eterno inverno che preannuncia la venuta del Ragnarok, mentre gli Aesir piangevano i primi morti della propria stirpe a distanza di secoli. Sono stati anche fortunati, gli dei norreni: il Fantasma di Sparta è cambiato, non vuole combattere a meno che non sia strettamente necessario. Ma quando diventa necessario, la sua furia repressa è in grado di abbattere intere dinastie.
In questi giorni abbiamo mosso i primi passi in God of War: Ragnarok, senza mezzi termini il sequel di una saga in atto più atteso dell'intera generazione, quello che è stato definito da molti appassionati come l'unico contendente alla pretesa di Elden Ring verso il trono del Game of the Year. La prima prova del fuoco, dopo l'ingresso nella next-gen di uno studio “superstar” di Sony Interactive Entertainment, ovvero Santa Monica Studios, che in questi tempi delicati ha il compito di dimostrare al pubblico che “PlayStation c'è”, come direbbe Guido Meda.
Per avere una risposta definitiva, però, dovrete aspettare ancora un po'. Vogliamo annunciarlo subito: in questa raccolta di prime impressioni saremo molto stretti. Da una parte per rispettare le volontà espresse dagli sviluppatori, che come già accaduto nel primo episodio ci tengono a preservare diverse sorprese; in secondo luogo perché non vogliamo emettere giudizi precoci e riteniamo che raccontare tutto ciò che abbiamo visto nel corso delle prime ore di un titolo tanto atteso sarebbe il classico delitto imperdonabile. Quindi tenetelo a mente: quanto segue rappresenta solo la punta di un iceberg ben più profondo.
God of War Ragnarök ha inizio pochi anni dopo l'epilogo dell'episodio precedente: Kratos e Atreus hanno raggiunto le vette di Jotunheim, rispettando le volontà della defunta moglie e madre Faye, scatenando una catena di avvenimenti che ha portato all'avvento del Fimbulwinter; in pratica, siamo alle porte del Ragnarok. Padre e figlio si nascondono nei boschi di Midgard, difesi da un circolo di protezione che ha lo scopo di respingere sì gli dei Aesir, ma soprattutto Freya, che ancora cova vendetta nei confronti di un Kratos reo di aver assassinato suo figlio.
Il Fantasma di Sparta ha le idee chiare, e teme per il destino di Atreus: il suo erede è cresciuto molto e molto velocemente, ora vuole scoprire il suo ruolo nel mondo, ma non è ancora pronto per un'eventuale guerra contro Asgard; così come non lo è lo stesso Kratos, una figura che non aveva più intenzione di impugnare armi contro i suoi nemici, figuriamoci contro altre divinità delle quali sa poco o niente. C'è un'unica cosa da fare: tenere un profilo basso e allenarsi in attesa di una battaglia tanto inevitabile quanto apparentemente impossibile.
Il problema è che Atreus non ha la benché minima intenzione di restare con le mani in mano. Anzi, è rimasto stregato dalle profezie dei giganti di Jotunheim, da quel nome “Loki” che la stirpe della madre gli ha attribuito, dalla convinzione di avere un ruolo fondamentale nel futuro che verrà. Kratos conosce benissimo le conseguenze di un eventuale conflitto tra divinità, ma sa anche che il tentativo di mantenere il figlio sotto una campana di vetro sarebbe ancor più deleterio.
Da queste premesse ha inizio God of War: Ragnarok, avventura che si apre come un viaggio tutto nuovo: Kratos, Atreus e l'immancabile Mimìr partono alla volta dell'ignoto, inseguendo un flebile filo di speranza che potrebbe condurli verso le risposte che il ragazzo tanto vorrebbe ascoltare, sotto i profondi strati di neve del Finbulwinter e sullo sfondo di un mondo – quello costituito dai Nove Regni – che in ogni dove si sta preparando ad affrontare l'imminente catastrofe.
La struttura ludica e la messa in scena di Ragnarok ricalcano fedelmente quanto assaporato nell'episodio precedente: azione tutta in piano-sequenza, telecamera sopra la spalla, combattimenti tecnici a base di combo che intrecciano l'ascia Leviatano e le Lame del Caos; accompagnata da costanti dialoghi emergenti in sottofondo, l'esplorazione resta racchiusa nei confini di piccole e grandi mappe aperte che celano dozzine di enigmi e segreti.
L'esperienza riprende fedelmente lo stile dell'originale, non fosse per il fatto che su PlayStation 5 i panorami dei Nove Regni se possibile “spettinano” ancora di più il giocatore. Ricordate il primo arrivo nella Casa della Strega o l'ingresso ad Alfheim? Ecco, preparatevi a imbattervi in parecchie sequenze graficamente impressionanti e in ambientazioni egualmente ispirate, perché se c'è una cosa che questo sequel non ha paura di fare, quella è raddoppiare sulla caratterizzazione dell'universo in cui si snoda la mitologia norrena con un impatto visivo senza paragoni.
Inutile mantenere il segreto su questo elemento, perché a partire da oggi sarà visibile ovunque: dopo le prime ore di gioco trascorse tra le familiari pietraie alberate di Midgard, Kratos e Atreus squarceranno il velo sul regno di Svalfartheim, introducendo quella che non è solo la prima ventata di freschezza visiva, ma soprattutto l'area dagli orizzonti più vasti mai incontrati nella saga del Dio della Guerra. Il che, tuttavia, non rappresenta necessariamente un bene ma di questo parleremo meglio in seguito.
Ciò che brilla è proprio il livello di cura riposto nella messa in scena generale, che alterna senza sforzo potentissimi primi piani del volto di Kratos e variopinti panorami mozzafiato che si estendono a perdita d'occhio, cullando il giocatore attraverso gli incessanti scambi tra Mimìr, Kratos e Atreus, come sempre volenterosi di discutere, di speculare, di sviscerare gli strati di un mondo e di una mitologia come mai accaduto nel medium dei videogiochi.
La sceneggiatura, infatti, è rimasta la ciliegina sulla torta dell'opera. È capace di far ridere, grazie ai battibecchi continui tra i nani Brok e Sindri, è in grado di far riflettere, grazie allo straordinario rapporto che si è venuto a creare tra Kratos e Mimìr, ma soprattutto riesce a far scorrere il tempo con una facilità disarmante, dal momento che anche il più inutile e breve dei viaggi in barca si trasforma in un momento prezioso grazie alle parole dei protagonisti.
Tutte queste, dal canto loro, sono qualità che erano già ravvisabili nell'originale God of War del 2018. Ed è indubbiamente vero, l'esperienza – perlomeno all'inizio – non è assolutamente cambiata: si trovano ancora i soliti vecchi forzieri, le casse da sbloccare abbattendo rune nascoste, i manipoli di nemici da abbattere, le sezioni di scalata, gli attacchi runici con cui potenziare le armi, e tutti - ma proprio tutti - gli elementi che costituivano la spina dorsale del predecessore.
Ovviamente non si tratta di un male in sé e per sé, anzi, è la risposta obbligata a un'esigenza di continuità, ma ha delle importanti conseguenze: sposta tutto il peso della magia dell'opera sul piano della narrativa, delle ambientazioni, delle sequenze cinematografiche, dei colpi di scena. Sarà in questi particolari ambiti che God of War Ragnarok avrà il difficile obbligo di colpire, di stupire e di innovare.
E allora cosa cambia rispetto al predecessore? La prima nota positiva riguarda senza ombra di dubbio i combattimenti contro i boss, uno degli elementi che nel 2018 furono più criticati. Ebbene, solo nelle primissime ore di gioco ne abbiamo affrontati cinque, ed erano tutti diversi l'uno dall'altro; i tanti Troll fotocopia sono stati sostituiti da spiriti dei boschi Aguzzini, Dreki, Draurgr Antichi ed Einherjar, senza far menzione degli scontri più importanti, che già in passato erano stati messi in scena in modo straordinario.
Un'altra osservazione degna di nota concerne l'intero comparto da gioco di ruolo, ovvero quello relativo alle abilità e agli equipaggiamenti, che è stato notevolmente potenziato. Ora le armature forniscono buff specifici, le armi applicano debuff, le abilità consentono di infliggere danni maggiori ad avversari colpiti da alterazioni di stato; laddove in passato era sufficiente attrezzarsi degli strumenti migliori per rendere al massimo, adesso esiste un vero e proprio comparto di “character building”.
Ciò consente, ai soli giocatori che esplorano con cura, di personalizzare il giocato di Kratos fin dai primissimi passi, puntando sul Leviatano o sulle Lame del Caos, sugli attacchi dalla distanza o sulle combo, sulla capacità di infliggere alterazioni di stato o sui danni duri e puri, sui rischiosi “parry” o su una sicura strategia da “tank”. Insomma, si tratta di modifiche pensate per aumentare notevolemente la profondità, che tuttavia si riflettono in un netto incremento nella complessità della gestione dei materiali e soprattutto dei menù, ora estremamente complessi e a tratti molto confusionari.
Più delicata, invece, è la questione dell'offerta collaterale. Se avete letto fino a questo punto, avrete capito che God of War: Ragnarok si pone come il classico seguito più grande e più complesso, che tenta in ogni modo di essere migliore dell'originale. E questo significa che ogni elemento dell'opera è cresciuto per numero, dalle missioni secondarie agli enigmi ambientali, dalle ricompense nascoste fino ai combattimenti. Esplorando le rive di Svalfartheim, ad esempio, gli approdi non si esauriscono mai: c'è sempre una nuova isoletta dietro l'angolo, una piccola missione secondaria, un inedito puzzle da risolvere o una lunga battaglia da affrontare.
Il fatto è che in alcune sezioni di tali contenuti ce ne sono fin troppi. Se da una parte gli incarichi secondari sono maturati tantissimo e mettono sul piatto grandi finestre sulla caratterizzazione dei personaggi, dall'altra l'equilibrio tra l'avanzamento della trama e l'esplorazione rischia di uscirne in bilico. Stiamo parlando dell'incipit del viaggio ma a volte capita di mettere in pausa l'avventura per addentrarsi ore fra contenuti opzionali - e sappiamo bene che questa è musica per le orecchie di tantissimi giocatori - tuttavia in questa fase preliminare abbiamo avuto la sensazione che tale equilibrio fosse barcollante in un'opera che resta prevalentemente ancorata alla narrativa.
Perché è quando si insegue la narrativa che God of War: Ragnarok brilla in tutta la sua magnificenza: dopo un incipit compassato, che si prende tutto il tempo necessario per calare l'atmosfera, esplode in un caotico vortice di eventi mettendo tonnellate di carne sulla brace, spingendo il giocatore ad andare avanti ancora un po', a resistere e rimanere sveglio un'ora, o due, o tre ore più del solito per scoprire cosa accadrà al prossimo snodo della trama, quale battaglia leggendaria attenda Kratos e Atreus dietro l'angolo successivo.
Il resto beh, lo sapete già: grazie a una grande prova attoriale degli interpreti internazionali – cui fa eco anche un eccellente doppiaggio in italiano – alla medesima regia che ha reso grande il capitolo del 2018, nonché a un comparto visivo a dir poco straordinario, Ragnarok è un'opera che sembra mirare a tenere gli appassionati costantemente col fiato sospeso, senza lesinare su una fase ludica che strizza l'occhio al passato del Fantasma di Sparta e si arricchisce di qualche spunto moderno. Inutile poi dire che, sul fronte tecnico e artistico, Santa Monica Studios ha confermato già nelle ore iniziali il suo straordinario talento, sfoggiando in entrambe le modalità grafiche disponibili una resa estetica da urlo senza neppure una minima sbavatura.
Riuscirà a rivelarsi all'altezza del suo predecessore e magari anche a sorpassarlo? Per scoprirlo toccherà attendere ancora poco, perché dopo quattro lunghissimi anni l'inverno è finalmente arrivato ed è il temuto Fimbulwinter. God of War: Ragnarok è un videogioco gigantesco, ed è veramente dietro l'angolo.