Good Girls (stagione 3) - recensione
I soldi sono degli uomini.
Mai stata facile la vita delle casalinghe americane nei loro sobborghi eleganti. A Detroit, Michigan, tempi di crisi costante post 2008, due sorelle e un'amica d'infanzia, accomunate da una situazione finanziaria disastrosa, si improvvisano rapinatrici, per risolvere i gravi problemi delle rispettive famiglie, sentendosi finalmente padrone della loro vita. Ma non sono delle professioniste e innescano una serie di conseguenze tragicomiche che diventeranno sempre più tragiche e meno comiche.
Situazioni assurde e sopra le righe sono messe in scena con ritmo, in un contesto realistico che scivola nel grottesco per una serie noir, leggera ma non del tutto. Perché non si pensi a una versione pulp delle famose Desperate, qui oltre alla componente crime troviamo un ritratto della media borghesia americana che nel corso delle stagioni si è fatto più mirato.
Perché le certezze barcollano o proprio crollano, le aziende vanno in crisi e si perde il lavoro, quello che resta sono impieghi da poco, sottopagati, umilianti, soggetti a ricatti anche sessuali (e non solo uomo vs donna ma anche viceversa). Intanto le bollette si accumulano, il muto va pagato sennò la Banca porta via la casa dove nel frattempo si è fatto più di un bambino, nel Sogno da Mulino Bianco. Ma la stessa Banca si guarda bene dal fare prestiti a chi volesse iniziare una nuova attività per salvarsi la vita. Così ogni introito finisce immediatamente assorbito per coprire i sospesi più vitali. E se c'è un guaio che riguarda la salute, si scopre la truffaldina inefficienza della compagnia di assicurazione pagata fino a quel momento. Insomma, In Debt We Trust.
A dove può arrivare quindi una casalinga veramente disperata? Mai metterla con le spalle al muro... potrebbe sorprendervi. Nella prima stagione del 2018, avevamo fatto conoscenza con la leader del gruppetto, Beth, moglie con tre figli del venditore di auto Dea, di ancora strepitosa bellezza (è Christina Hendricks, what else) ma è severa, senza gioia, afflitta dai multipli tradimenti del marito e da una situazione finanziaria in picchiata. Peggio di lei sta la sorella minore Annie (Mae Withman), trentenne e passa che vive ancora come un'adolescente, separata da un marito che le contende l'affidamento della figlia. Che però sta facendo la sua transizione verso il genere maschile (oggi non c'è narrazione senza qualche personaggio gay maschile o femminile e anche trans), problema che non sembra assolutamente in grado di gestire, viste anche le sue limitatissime disponibilità finanziarie (è commessa nel solito magazzino, dove se la deve vedere con un pericoloso imbecille come capo).
Ruby (l'attrice di colore Retta) contribuisce al menage famigliare che però si regge sulle spalle del marito, che è riuscito a entrare in Polizia. Ma le piomba fra capo e collo la malattia della figlia, che ha bisogno urgentissimo di un rene nuovo. Come recuperare tutti i soldi necessari a far fronte a tanti e tali problemi, se non delinquendo? Dopo il procedere della loro carriera criminosa nella seconda stagione, che si era conclusa con un colpo di scena ricco di succosi sviluppi, le ritroviamo sempre all'opera in senso criminale, ma convinte di essere finalmente libere.
Si sono lanciate in una nuova attività criminale, perché anche se hanno risolto qualcuno dei problemi iniziali, la legalità non basta per fare tutti i soldi che necessitano per una normale vita borghese. Ma la professione è dura, si incontra gente poco raccomandabile e nemmeno capace di rispettare le regole, come era loro successo in precedenza. Perché anche il malaffare ha bisogno di certezze. Peccato che sia un mondo di uomini, dove le donne sono sempre viste come bassa manovalanza e per niente rispettate. E così talvolta balena il rimpianto per il "prima", quando pur soggette a un sistema spietato, si sapeva che tutto funzionava con implacabile precisione, in base a precise leggi.
Eppure il sogno di indipendenza, all'interno di una vita che obbligatoriamente (almeno per le protagoniste) ha bisogno di un consistente "aiutino" extra, resta forte e le farà ricorrere a metodi estremi. Intanto però, nuovamente l'FBI si è messa sulle loro tracce, nei panni di due bizzarri esemplari di investigatori. Come andrà a finire questa volta? La stagione si interrompe all'undicesimo episodio, lasciandoci un po' appesi, in origine ne erano previsti sedici, ma il Coronavirus ha deciso diversamente.
La migliore del cast, come personaggio e come attrice, è Christina Hendricks, la donna che con granitica fede non accetta che la sua famiglia possa crollare, prima per la stupidità del frivolo consorte, poi sotto i colpi di un destino dotato di un bizzarro senso dell'umorismo. E' vittima di un'attrazione che potrebbe diventare fatale nei confronti del boss che se la schiaccia e sfrutta per i suoi traffici, avendo individuato la potenzialità dell'anomala gang. Ma è anche l'unico a riconoscere la sua grandezza, la sua genialità, il suo coraggio.
L'amica d'infanzia è interpretata dalla monumentale Retta, vista in Parks and Recreation e Girlfriend's Guide to Divorce. Il suo personaggio se la deve vedere con un ribaltamento dei ruoli famigliari, perché per un paio di stagioni ha dovuto essere lei a risolvere il problema di salute della figlia adolescente, mentre il marito (Reno Wilson, visto in Mike & Molly e sentito nei Transformers) si dibatteva fra molti scrupoli, pur guidato dal suo amore nei confronti della compagna di una vita. Scrupoli che adesso sembra mettere definitivamente da parte. Ma questo farà davvero felice Ruby?
La molesta sorellina Annie è affidata a Mae Whitman, attrice che abbiamo visto crescere dai tempi di Parenthood, sempre abbonata a ruoli irritanti, anche qui vera irresponsabile cronica, che passa il tempo a fare da ingombro, si impiglia in improbabili avventure amorose e intanto crea più problemi che contributi costruttivi. Il marito tontolone è il simpatico Matthew Lillard (quello di Scooby Doo ma anche di Barkskins, Bosch, Halt and Catch Fire), dal quale Beth si lascia affliggere abbastanza misteriosamente, innamorato ma farfallone, sostanzialmente inutile e parassitario, almeno finché non capirà la reale gravità della situazione. Ritorna anche il fastidiosissimo Boomer (l'attore David Hornsby), il capo di Annie, e come new entry troviamo Andrew McCarthy, attore e ormai forse più regista, che conosciamo dai tempi di St. Elmo's Fire dell'85.
Così come nelle stagioni precedenti, si conferma validissima la scelta di Manny Montana (Graceland, The Mule, Rosewood) per il ruolo di Rio, anomalo boss di origine messicana, ma fuori da tutti i cliché legati a questa immagine, attore americano (e non messicano) visto sempre e solo in ruoli da narco delinquente, data la fisiognomia e i tatuaggi. Che qui però è alle prese con un personaggio più variegato e intrigante, che scoprirà quanto possa essere sorprendente una borghesuccia qualunque. Ovvio che pure la borghesuccia resterà sorpresa da lui, oltre che da se stessa. Di tutta la narrazione, sempre brillante e spassosa, con punte improvvise di dramma, questa resta la trama per noi più appassionante, un po'da romanzo rosa virato al noir anche pulp.
Ideata da Jenna Bans, specialista di personaggi femminili nella scrittura di vari episodi di note serie tv, come The Family, Scandal, Private Practice, Grey's Anatomy, Desperate Housewives, Good Girls spazia e si contamina fra vari generi, senza mai aspirare ad essere un Breaking Bad al femminile, più vicino forse a Weeds.
Sulle note di una serie di canzoni sempre ottimamente scelte, gli episodi scorrono veloci, ci si diverte, si palpita per i personaggi preferiti, mentre si decide per chi fare il tifo, anche se la decisione finale può lasciare perplessi. Ma nella prossima stagione vedremo come evolveranno le vite complicate di tre donne tutt'altro che sole, ogni tanto disperate, mai rassegnate.