Gorogoa - recensione
Più di un mondo in una finestra.
Longevità, unicità e spoiler. Gorogoa tocca in profondità tre questioni sempre più importanti per parecchi media e assolutamente impossibili da ignorare quando si parla di videogiochi. È giusto bollare come degno un gioco in base al rapporto tra ore di divertimento garantite e prezzo? Si può lodare un'opera solo attraverso un discorso quantitativo? Se così fosse Gorogoa sarebbe un gioco agli occhi di molti da ignorare ma questo sarebbe assolutamente un errore gravissimo e le ragioni si ricollegano direttamente alla seconda questione: l'unicità.
Non fraintendeteci, non vogliamo assolutamente affermare che gli unici prodotti degni di attenzione siano quelli che riescono effettivamente a rivelarsi originali in tutto e per tutto. Negli ultimi anni è evidente come sia sempre più difficile trovare qualcosa di assolutamente unico. Si sono esplorati tantissimi generi, più combinazioni possibili e l'unicità è spesso diventata una bandiera effimera che pochissimi possono sventolare con vero orgoglio. Incredibile ma vero, Gorogoa ci riesce eccome ma per spiegare in dettaglio il modo si rischia di cadere nella terza e fastidiosa questione.
Lo spoiler non è di certo uno spauracchio solo degli utenti ma anche noi recensori spesso combattiamo con questa vera e propria camicia di forza che in più di un caso complica non poco il nostro lavoro. Una spada di Damocle particolarmente ingombrante nel caso di giochi narrativi e che per il progetto targato Buried Signal assume dei connotati a dir poco distintivi.
Gorogoa è una produzione che tutti dovrebbero provare e per quanto si possa faticare ad apprezzare il genere dei puzzle game rimanere impassibili di fronte alle trovate di questa piccola perla è davvero impossibile. Nelle circa due ore di gioco necessarie per incontrare i titoli di coda di questo strano e imperdibile viaggio, i momenti in cui siamo rimasti a bocca aperta per lo splendido stile artistico completamente disegnato a mano e per le trovate geniali che si intrecciano, si uniscono e si mischiano in modi sempre nuovi e precedentemente creduti impossibili, limitati dalla natura stessa di videogioco, sono incalcolabili.
Un puzzle game puro strutturato in maniera indubbiamente curiosa. Una prima immagine centrale, quasi un quadro che ci permette di ingrandire o di rimpicciolire certi dettagli, di spostarci da uno stanzino in cui un misterioso studioso consulta degli antichi e indecifrabili volumi impolverati ai tetti delle case in lontananza attraverso un semplice click su una finestra. Poi, da un solo quadro il titolo prende finalmente vita e inizia ad assumere la forma che ci accompagna per larghissima parte dell'esperienza.
Una schermata divisa in quattro riquadri che ospitano scene anche molto diverse tra loro ma che in un modo o nell'altro ci permettono di proseguire verso un obiettivo volutamente criptico alla base di una storia decisamente aperta alle interpretazioni ma che ritrova dei punti fermi nel ragazzo protagonista, nella creatura apparentemente mitologica che si staglia al di fuori della finestra della sua stanza e nei cinque misteriosi frutti che danno il via alle nostre peripezie. La mancanza di chiarezza potrebbe non convincere tutti i palati ma è la qualità complessiva dell'esperienza a contare davvero, e sulla qualità in questo caso non si scherza di certo.
Questi quattro riquadri, che come detto mostrano scene spesso molto diverse e a un primo sguardo completamente slegate, garantiscono una serie di interazioni molto basilari ma in grado di dare vita a soluzioni riuscitissime e a larghi tratti geniali. Ogni dettaglio più preciso rischia di rivelarsi il più fastidioso degli spoiler dato che il gameplay e la narrazione vanno di pari passo e che ogni rompicapo risolto è una meravigliosa scoperta.
Gorogoa è probabilmente il miglior puzzle game puro da diversi anni a questa parte e riesce a toccare questa notevolissima vetta creando delle matrioske di enigmi che da uno solo dei quattro riquadri si intersecano con il resto della schermata formando delle scene bellissime da comporre e da ammirare. Bussole che diventano le lancette dell'orologio di un campanile, un sole che si trasforma in un ingranaggio spinto dalla camminata di un uomo, una pietrolina che con la giusta combinazione e il giusto tempismo muta in un masso gigantesco o ancora la piantina del percorso di un tram che si combina con scale e mura di un edificio abbandonato.
In certi casi c'è l'impressione di aver raggiunto la soluzione con troppa casualità, in altri di essere completamente bloccati e di poter proseguire solo attraverso una sana dose di trial and error. Fortunatamente sono due sensazioni fortemente limitate. Cercando di sovrapporre i riquadri si può effettivamente fare dei passi in avanti creando dei "ritagli" a un primo sguardo riusciti ma si tratta di soluzioni estemporanee: solo aguzzando l'ingegno alla ricerca di qualche simbolo chiarificatore o dell'indizio in grado di spingerci verso il giusto incastro si può davvero sperare di proseguire.
I puzzle portano avanti il gameplay e la narrazione mentre i quattro riquadri introducono meccaniche e possibilità inedite e sanno genuinamente stupire e affascinare. Il creatore solitario di questo gioco ha saputo confezionare un unico gigantesco rompicapo che riesce sempre a convincere e che non ha mai dei punti morti o bassi.
Evitare lo spettro della ripetizione non è semplice ma in questo senso la longevità ridotta viene in soccorso a uno sviluppatore e artista che nel corso di cinque anni di sviluppo ha limato e perfezionato la propria creatura tagliando anche degli enigmi che per un motivo o per l'altro mal si sposavano con la visione di insieme di una vera e propria opera d'amore. Un'opera d'amore che tra l'altro ha rischiato di non vedere la luce ma che ha trovato il sostegno di Annapurna Interactive (già publisher dello straordinario What Remains of Edith Finch).
Quanto è bello poter scrivere di Gorogoa ma allo stesso tempo quanto è difficile farlo con efficacia a causa della natura stessa di quest'opera: qualcosa che non può essere considerato un semplice gioco come un altro. Nessuna feature classica di un genere da elencare, nessun esempio possibile senza rischiare uno spoiler che non vogliamo assolutamente fare, nessun paragone semplice su cui appoggiarsi.
Gorogoa sa essere spiazzante e francamente questo è uno dei più bei complimenti che si possa fare al lavoro di Jason Roberts, geniale autore che si "nasconde" dietro alla software house Buried Signal. Un autore che ha saputo confezionare un capolavoro da godersi tutto d'un fiato in una fredda serata piovosa o in una stanca nottata estiva, che ci ricorda ancora una volta come non sia così importante il numero di ore che un videogioco occupa in giorni, settimane e mesi ma il numero di ore che rimarrà impresso nella nostra mente, quando lo schermo volgerà all'inevitabile oscurità.