Half-Life: Alyx, una leggenda ritorna nella sua forma più elegante - recensione
L'interpretazione in VR di uno dei franchise più importanti di sempre
Gli Strider sono la migliore delle creazioni di Half-Life, dal nostro punto di vista. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di una reinterpretazione dei tripodi di HG Wells ma guardateli! Quelle zampe, così orribilmente lunghe e articolate, il loro aspetto fatto di un'agghiacciante combinazione di carne e ingranaggi cuciti insieme, tutto il dolore e la l'angoscia che rappresentano. In Half-Life 2 ne abbiamo visto uno piegarsi innaturalmente per passare sotto un ponte e ci ha fatto capire una cosa importante: gli Strider non riportano alla mente sempre una singola cosa. Sono la commistione di tanti concetti: guardandolo passare sotto a quel ponte ci ha ricordato un fenicottero per via del funzionamento delle loro articolazioni ma anche un anziano che tenta di portare un carico pesante sulle spalle. È come se fosse una vita che si basa semplicemente sul senso di autoconservazione, sulla loro crudele intelligenza che persegue solo le proprie priorità. Danno sempre la sensazione di essere autonomi ma anche completamente devoti alla loro missione. Ci danno i brividi perché è chiaro che, probabilmente, anche loro possono avere i brividi.
Stavamo tutti aspettando da tanto questo momento, quindi. Half-Life: Alyx è ambientato cinque anni prima rispetto agli eventi di Half-Life 2 ma viene rilasciato quasi sedici anni dopo (ma ci pensate?) Half-Life 2 e ben tredici anni dopo Episode Two, l'ultima incarnazione della serie. Improvvisamente, ci ritroviamo a City 17 ancora una volta. Siamo sul tetto di un qualche edificio nei panni di Alyx Vance, la figlia diciannovenne di Eli Vance, in ricognizione per conto della resistenza.
La metropoli è invasa di cavi alieni, neri e pesanti, che avvolgono le tipiche architetture europee fatte di ricche rifiniture e piastrelle color miele. È tutto in VR, così ci siamo presi il nostro tempo per ammirare il meraviglioso cielo che si disperde nella nebbia distante e qualche momento per ascoltare una radio vicina: pura tecnologia analogica che può essere raccolta e portata in giro.
Poco dopo riceviamo una videochiamata da nostro padre e, nel frattempo, possiamo notare una vasta gamma di pennarelli che sono stati evidentemente utilizzati per segnare i movimenti dei Combine sulla mappa in vetro davanti a noi. Questi ultimi possono essere presi e utilizzati per fare davvero qualunque cosa, dai graffiti agli scarabocchi o per scrivere il nome di un nostro amico nella nostra personale grafia: tutto viene catturato istantaneamente nel gioco. Ora, però, è il momento di muoverci. Attraversiamo nuovamente una porta nascosta e ci troviamo ad esplorare alcune squallide stanze da letto degne di Winston Smith prima di tornare all'esterno e ascoltare un suono che non riusciamo a riconoscere.
Quello è il suono degli Strider, spaventosamente grandi, pericolosamente vicini, che si arrampicano sul lato di un edificio senza fare caso all'integrità degli stessi perché il mondo degli umani non ha la minima importanza per gli invasori alieni. All'improvviso uno di essi si ferma. Forse ci ha visti. Anche noi rimaniamo pietrificati a guardarlo: siamo in VR, la fissiamo con i nostri occhi. Quella creatura così orribile ma così dannatamente affascinante è proprio lì, più viva che mai con le sue articolazioni supportate dai servo-motori e dalle schegge della tecnologia di nera ardesia dei Combine. No, non ci ha visti. Forse non gli interessa. Si gira solo per strappare via un gruppo di cavi da un edificio vicino e poi si allontana. Sì, stavamo tutti aspettando questo momento e non ne siamo rimasti delusi. Affatto.
Non è stato il nostro unico incontro con uno Strider in Half-Life: Alyx e, nel corso del tempo, abbiamo capito una cosa bizzarra: negli ultimi giorni siamo stati un po' Strider anche noi. Eravamo impegnati a perseguire i nostri obiettivi, stranamente ciechi ai dettagli del panorama umano attorno a noi mentre navigavamo attraverso City 17 con un visore VR sugli occhi. Due mondi sovrapposti, uno sull'altro. Abbiamo combattuto contro gli Headcrab, i soldati Combine e tutto il resto mentre risolvevamo puzzle, potenziavamo le nostra abilità e... ci muovevamo goffi attorno ai nostri PC sulla scrivania, effettivamente.
In altre parole, Half-Life funziona a meraviglia in VR ma la cosa più affascinante è come funziona. Se vi aspettate di poter provare a fare qualsiasi cosa come in Boneworks, un titolo in cui ogni tipo di interazione fisica entra in gioco nel corso della sua scanzonata campagna, forse rimarrete un po' delusi. Half-Life, piuttosto, si concentra sulle sue ambizioni piuttosto che prendersi il rischio di rompere l'illusione o frustrare il giocatore. Ovviamente, a causa di questa decisione, si perdono molte delle potenzialità dell'ambiente VR perché l'interazione è piuttosto predeterminata, ma ci sono anche molti lati positivi.
Di conseguenza, Half-Life: Alyx è caratterizzato dalle limitazioni. Abbiamo la sensazione che Valve capisca che la VR stessa è ancora vista come un semplice esercizio di stile per molti e abbia deciso di innestarla naturalmente nel mondo di Half-Life. È vero, si può ancora interagire con le radio ed è presente il tipico piano VR su cui suonare una Variazione Goldberg ma non è uno di quei giochi in Realtà Virtuale che permettono di perdere tempo all'infinito giocando con gli oggetti dello scenario. Per gran parte del tempo, la VR viene utilizzata per immergere il giocatore nelle viscere di questo cupo e sconcertante mondo distopico.
Si tratta di una storia semplice, diretta e consequenziale, piena di meravigliose ambientazioni che compongono il mosaico di una sorta di survival horror a tinte sci-fi: ci siete voi, la vostra arma, la necessità di trovare munizioni in giro e loro, nascosti nelle ombre e pronti a colpire mentre vi recate alla vostra prossima destinazione. La VR viene utilizzata per amplificare l'ambizione di Half-Life. Ciò che è iniziato con il giro in treno nella struttura di Black Mesa si è evoluto nella Gravity Gun e nelle eccellenti animazioni facciali di Half-Life 2 ed ora cerca di portare fisicamente i giocatori nella sua realtà.
Le fondamenta della trama sono piuttosto semplici. Per non incorrere in spoiler, vi diremo solo che, essenzialmente, dovrete cercare di raggiungere vostro padre e tentare di capire quali saranno le prossime mosse dei Combine che sembrano così entusiasti di... qualcosa. Gli eventi si sviluppano con un ritmo incalzante sulla base di obiettivi sempre piuttosto chiari e accessibili. Se dovessimo indicare un difetto, è che il gioco è un po' troppo circoscritto, in termini di narrativa perché appare chiaro che avesse un compito preciso da svolgere.
Anche i controlli sono altrettanto chiari. Si può scegliere tra quattro opzioni differenti, per quanto riguarda il movimento: due di essi funzionano brillantemente teletrasportandoci attraverso le ambientazioni (come visto in tanti altri esponenti della Realtà Virtuale) mentre gli altri due permettono di muoversi continuamente tramite il movimento delle mani o della testa. Questi ultimi, tuttavia, ci sono apparsi un po' troppo confusionari e spesso ci hanno restituito un forte senso di nausea. Qualsiasi tipo di movimento sceglierete, generalmente avrete una mano che regge un'arma o un gadget (per cambiare oggetto dovrete semplicemente premere un pulsante e muovere il braccio in su o in giù) mentre l'altra sarà sempre libera per interagire con l'ambiente: aprire porte, prendere un caricatore dallo zaino e inserirlo nella vostra arma, togliere la spoletta dalle granate prima di lanciarle e via dicendo.
Entrambe le mani, comunque, indossano i cosiddetti 'gravity-gloves', un rudimentale predecessore della Gravity Gun e, francamente, sono fantastici. Portate le mani davanti agli occhi e potrete ammirare la genialità del loro design tra circuiti, cavi e piccoli display che mostrano la vostra situazione di salute e munizioni. Ad ogni modo, non sono fatti per tirare via le seghe circolari dalle pareti e lanciarle verso gli zombie. Sono strumenti di precisione utilizzati per raccogliere gli oggetti dall'ambiente di gioco con un piccolo gesto del polso.
I guanti sono stati creati da un nuovo personaggio, Russell, interpretato da Rhys Darby che, nonostante venga descritto come un eclettico genio, rimane ancorato al carattere di Murray, il fragile manager della band di Flight of the Conchords. Dal momento che anche Alyx parla (con una performance di ottimo livello di Ozioma Akhaga che rivela diverse sfaccettature della sua personalità), il titolo è, fondamentalmente, un dialogo continuo tra i due personaggi. Alyx si avventura nel mondo di gioco mentre Russell monitora i suoi progressi da lontano. Abbiamo davvero apprezzato questa combinazione. E poi, diciamocelo, creare un nuovo capitolo di uno dei franchise più importanti del mondo con un Rhys Darby simulator incluso è una mossa assolutamente geniale.
La trama del gioco attraverso cui viaggiano questi due personaggi è implacabilmente pratica, pragmatica e realistica. Half-Life: Alyx si basa, in sostanza, sulla navigazione nello spazio e sull'uccisione di tutto ciò che incontriamo sul nostro cammino ma è tutto lavorato e rifinito con cura. I puzzle sono fatti di gravità, scatole impilate e legno usato per sostenere finestre aperte. Queste sfide possono essere incredibilmente complesse ma le leggi di Newton le mantengono sempre oneste, allo stesso tempo. Questa è fantascienza con entrambi i piedi per terra.
Il tutto funziona perché l'interazione è tangibile e divertente, grazie all'implementazione della VR. I puzzle basati sui cavi (uno tra gli elementi più riusciti del gioco grazie ad alcuni gadget che permettono di seguire l'elettricità attraverso le pareti e i cancelli), la ricerca delle munizioni ed altre risorse e la roba grigia discoidale che viene utilizzata come valuta per acquistare potenziamenti: tutto viene elevato dall'utilizzo sapiente della Realtà Virtuale.
Anche l'uso delle armi viene enfatizzato dalla VR. Non si tratta semplicemente di dover cambiare il caricatore e scarrellare la la pistola prima di sparare agli zombie che avanzano barcollando verso di voi, ciascuna bocca da fuoco ha un peso, una sua complessità nelle vostre mani: potete avvertire che ognuna delle armi è composta da parti più piccole che lavorano all'unisono. Valve è sempre stata particolarmente brava in questo e le armi potenziabili di Alyx sono davvero speciali. Dalla pistola al fucile a pompa, fino ad arrivare a qualcosa di più esotico, sono tutte caratterizzate nei minimi dettagli e restituiscono un senso di potenza tangibile anche prima di aggiungere accessori e caricatori più ampi.
La gestione delle armi e il gunplay, gli enigmi relativi al cablaggio e all'hacking, le attività basate sulla fisica, tutto è regolato nei minimi dettagli, al punto di permettere all'utente di predire le conseguenze delle loro decisioni. Tutti gli aspetti di Half-Life: Alyx possono apparire semplici ma lavorano in contemporanea per immergervi sempre di più nelle trame del gioco fino al momento in cui, se siete come noi, vi ritroverete a rispondere a Russell in prima persona.
Al centro dell'intera esperienza, ad ogni modo, ci sono sempre quegli incredibili quanti. Dopo aver provato la Gravity Gun in Half-Life 2 abbiamo sempre avuto la voglia di utilizzarla anche in altri giochi. Ci siamo trovati a giocare a Gears of War, per esempio, e a pensare: 'quanto sarebbe bello sollevare gli oggetti con la nostra Gravity Gun'. I Gravity Gloves, invece, sono entrati direttamente nella nostra testa. Ci siamo trovati sul divano a pensare: 'sarebbe fantastico attirare quel libro dall'altra parte della stanza con un semplice movimento del polso'.
I guanti sono fatti dello stesso tipo di magia vista in Half-Life 2. Lo ripetiamo, non avrete la possibilità di sollevare una macchina e lanciarla verso i nemici ma sono utili in tanti altri modi. I livelli sono pieni di oggetti da poter raccogliere ed esaminare: posate, tubi, videocassette e tanto altro. Half-Life ha sempre cercato di sorprendere, motivo per cui l'ultimo episodio è uscito nel lontano 2007. Il materiale giusto, le giuste opportunità, richiedono tempo per presentarsi.
E quanti dettagli in più è possibile visualizzare ora, dopo tredici anni. Questo è stato un gioco a cui è stato permesso di percolare. City 17, stranamente nobile pur nel suo stato di desolazione, è una spenta reliquia che viene mangiata viva dalla tecnologia aliena: una delle più iconiche location mai viste in un videogioco, per quanto si vedano appartamenti distrutti, stazioni dei treni e metropolitane per gran parte della durata dell'avventura. Il dettaglio più importante, questa volta, è la tecnologia dei Combine che non è mai stata così monolitica e sinistra. All'esterno è caratterizzata da una palette cromatica grigiastra e del design spigoloso mentre, all'interno, ci sono spesso grossi pezzi di frattaglie, al posto della circuiteria. Le stazioni di rigenerazione della salute, molto simili a quelle viste nel primo capitolo, sono molto più visibili e presenti in VR. Sarete costretti a ispezionare da vicino lo strano verme bianco che, una volta schiacciato, produrrà la sostanza curativa utile per recuperare la salute e poi dovrete tirare fuori il vassoio e posizionare la vostra mano su di esso mentre vedrete le siringhe ballare sul vostro braccio.
Tutto questo contribuisce a creare un'ambientazione davvero indimenticabile. A causa della natura estenuante delle sezioni di combattimento, le zone immense come Nova Prospekt sono fuori discussione, così come il raid a cielo aperto alla Foresta Bianca. Le truppe nemiche, invece, vengono proposte con precisione chirurgica emettendo versi spettrali e incutendo la giusta dose di timore. Per quanto riguarda il bestiario, possiamo dirvi che sono stati inseriti nuovi nemici, uno dei quali piuttosto shockante ma che non vi anticiperemo, e c'è anche il ritorno di molti volti noti. In VR, infatti, anche gli headcrab appaiono molto minacciosi. In generale, il tutto appare come una testimonianza dello splendore del design originale delle creature di questa serie, al punto che ci si sente colpiti dalla nostalgia ogni volta che uno dei classici si presenta nuovamente. O forse è un altro segno del puro peso dell'immersione che Alyx può evocare: c'è un vero senso di apprensione quando il gioco ti porta fuori, alla luce del sole o di nuovo sotto terra. Si vive in questi spazi, mentre ci si muove attraverso di essi.
Ci sono alcuni scenari davvero ingegnosi, soprattutto sul finale della campagna ma alcuni di essi appaiono davvero parsimoniosi, in un certo senso. È di nuovo il senso di limitazione alla base della filosofia del gioco: facciamo funzionare la VR, includiamo una serie di elementi di grande impatto e ripetiamo il tutto senza rompere l'incantesimo. Ci sono momenti cinematografici che faticheremo a dimenticare ma c'è stata anche una sezione in cui ci siamo trovati intrappolati in una stanza piena di barili di liquido infiammabile mentre una bombola di gas esplosivo veniva attirata da uno di quei mostri dalla lingua lunga appesi al soffitto. È proprio questo il tipo di tensione che Valve ama includere nelle scene per aumentare la tensione. Hitchcock ne sarebbe orgoglioso: è facile vedere tutte le tecniche in gioco ma la magia è tangibile.
Più giocavamo ad Half-Life: Alyx, più pensavamo che la VR e Half-Life sono fatti l'uno per l'altro. E che dire del G-Man, la figura oscura in completo elegante che appare nei momenti cruciali della serie? Egli è il punto focale di molte delle cospirazioni nella storia di Half-Life. Chi è? È umano? È lo stesso Gordon Freeman?
Non vi diremo se appare in Alyx o meno: forse non importa. Dopo questo gioco, pensiamo di aver capito chi rappresenta. Il G-Man è Valve. Pensateci: è imperscrutabile come Valve, un'azienda che sembra più lungimirante di molte altre e che sembra perseguire obiettivi diversi dagli altri sviluppatori per quanto non sembri sempre benevola. Il G-Man scompare per lunghi periodi di tempo ma torna giusto quando il momento è propizio. Le cose possono andare come vuole lui o non succedere per niente. Attende nell'ombra che i pezzi del mosaico vadano al proprio posto prima di apparire di nuovo e trarre il massimo da uno sforzo apparentemente minimo.