Hand of Fate: la fortuna è cieca - recensione
Un mazzo di carte, avventure infinite.
Ogni tanto appaiono sul mercato titoli decisamente particolari: giochi il cui valore è superiore alla somma delle loro parti e per i quali capire quali siano i fattori che tanto ci appassionano non è affatto facile.
Il metodo che utilizziamo normalmente (e naturalmente) per analizzare un videogioco è quello di decostruirlo, ovvero di analizzare le diverse parti di cui è composto. È un'operazione che non fanno solo i recensori ma anche i normali giocatori: divertente, si ma la grafica è scarsa, beh però dura più di venti ore... e via dicendo. Ma per Hand of Fate (come per altri titoli) i conti, come detto in apertura, non tornano.
Ciò nonostante iniziamo questa recensione proprio scomponendo il gioco in maniera classica e poi vedremo perché il risultato finale è più alto della somma dei suoi componenti.
Hand of Fate è un gioco che incrocia il genere deck-building con l'azione in terza persona aggiungendo poi qualche leggero elemento RPG. La maggior parte del tempo lo si passa di fronte a un carismatico chiromante che pesca e vi sistema davanti carte che poi costituiranno l'avventura che affronterete. A ogni passo la carta su cui si posa il nostro segnalino viene scoperta e il relativo evento viene "giocato".
Gli eventi presenti sulle carte sono principalmente di due tipi: semplici scelte il cui risultato poi è legato ad altre carte pescate, oppure eventi che propongono al giocatore scontri con nemici. Nel primo tipo viene presentata una situazione con un testo molto breve, si compie una scelta e si pesca poi una carta per avere il risultato della propria decisione.
Nel secondo tipo si affrontano dei nemici in sessioni d'azione in cui si utilizza un sistema di combattimento in stile Arkham Knight. In entrambi i casi il risultato finale influisce sulle risorse del giocatore: cibo, punti-vita, oro, buff e debuff ed equipaggiamento; oppure, ovviamente, in caso di performance insufficiente, si muore.
La caratteristica più interessante di Hand of Fate risiede però nel fatto che tutto quanto succede viene deciso anche dal giocatore che sceglie quali eventi faranno parte del mazzo da cui il chiromante pescherà. Questo non solo a livello di eventi, ma anche per quanto riguarda l'equipaggiamento.
Ogni oggetto che incontrerete (tramite loot o acquistandolo presso mercanti, anch'essi legati a carte) viene infatti pescato da un altro mazzo che il giocatore contribuisce a comporre. Ma come facciamo a guadagnare le carte e a inserirle nel mazzo di gioco?
Ogni livello di gioco prevede un'ultima carta in cui dovrete affrontare un boss; una volta sconfitto, si sblocca il livello successivo e tutte le carte in cui avete registrato una vittoria entrano a far parte del vostro mazzo e potrete così scegliere di inserirle nei livelli successivi. Stesso discorso per le carte di loot.
La perplessità naturale a questo punto sarebbe: beh ma allora mi costruisco un livello con le carte più favorevoli e il gioco è fatto!
E qui Hand of Fate mostra tutta la sua brillantezza, perché ogni evento è contraddistinto da un rischio direttamente correlato alla ricompensa ottenibile: ciò vuol dire che scegliendo carte semplici potrete arrivare velocemente al boss, ma ci arriverete senza le risorse che potrebbero decidere lo scontro in vostro favore!
Oltre a questo, in ogni livello il chiromante inserisce alcune sue carte, mentre altre sono obbligatoriamente presenti, quindi la personalizzazione da parte del giocatore arriva solo fino a un certo punto.
Questo meccanismo è la vera perla di Hand of Fate, nonché il suo punto forte. Tra l'altro, grazie a questo dinamica di gameplay il gioco offre, oltre alla storia principale, una modalità senza fine (appunto "endless mode") in cui si procede all'infinito fino alla morte del proprio personaggio. E qui giungiamo alla domanda di apertura recensione: perché Hand of Fate è più appassionante della mera somma delle sue parti?
Iniziamo col dire che due delle parti del gioco in cui è richiesta l'interazione del giocatore sono strutturalmente deboli. Le fasi d'azione, pur prendendo a prestito il gameplay brillante di Arkham Knight (fatto di parate e reazioni da eseguire con il giusto tempismo), non convincono perché le animazioni sono spesso incomplete e realizzate approssimativamente; gli scontri, soprattutto con i nemici più scarsi, tendono quindi a essere ripetitivi e poco divertenti.
La parte relativa agli eventi "random" si riduce alla scelta di una carta coperta, una meccanica che può essere divertente un paio di volte ma che stufa decisamente presto. Oltre a ciò, tutti gli eventi del gioco fisiologicamente si ripetono (visto che il mazzo per ogni livello viene composto anche da carte già affrontate) e questa ripetizione in sé può stancare.
Ma allora rifacciamoci la domanda: dove sta la magìa di Hand of Fate? Innanzitutto nei valori di produzione. Esclusa la parte d'azione, il gioco brilla di uno stile grafico splendido perché sempre molto coerente sul tema tarocchi-magìa; l'interfaccia è semplice e invisibile, il parlato del chiromante di gran classe (come anche i testi) e lo stesso gameplay fluisce rapidamente e con semplicità (bastano cinque minuti per comprendere le meccaniche di gioco e il tutorial compreso nello story mode è molto efficace).
Le decisioni proposte al giocatore, sotto forma di eventi con precisi rapporti rischio-ricompensa, sono molto interessanti e rendono il gioco molto più profondo di quanto appaia a prima vista.
In secondo luogo, l'intera atmosfera di cui l'esperienza è permeata ha il pregio di essere estremamente immersiva e priva di momenti morti. Il chiromante prende vita grazie a testi convincenti e doppiaggio professionale, e questo aggiunge ulteriore coinvolgimento nelle vicende narrate.
Questo mix di elementi molto ben realizzati e aspetti invece meno curati consegna al giocatore un'esperienza godibilissima e stimolante, che può anche trasformarsi in una sorta di roguelike grazie alla modalità endless. Alla fine si ha la netta sensazione che con un'idea diversa per le sessioni d'azione e qualche piccola correzione ad alcuni eventi ripetitivi avremmo potuto avere un instant classic invece che "soltanto" un buon titolo estremamente originale.