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Harvest Moon: The Lost Valley - recensione

Natsume cerca di rinverdire la serie, ma il risultato è tutt'altro che memorabile.

C'è stato un tempo, ben prima di Farming Simulator, in cui Harvest Moon era l'unica produzione al mondo che desse ai videogiocatori la possibilità di sperimentare in prima persona gioie e dolori della vita dell'agricoltore.

La creatura della defunta Victor Interactive Software, confluita nel 2003 in Marvelous Entertainment, insegnò a intere generazioni l'importanza di alzarsi alla buon'ora, la necessità di accudire con responsabilità animali e piante, l'irrinunciabilità a una programmazione dettagliata. Ci si divertiva, mentre si accumulava denaro grazie alla vendita di frutta e verdura, si imparava a rispettare e ad ammirare il ritmo ciclico della natura.

Vista l'assenza del villaggio, anche l'aspetto 'social' ne ha risentito in negativo: tutte le meccaniche relative al corteggiamento, per esempio, sono ridotte all'osso.

Quell'epoca d'oro non è mai completamente tramontata, nonostante il brand abbia conosciuto innumerevoli iterazioni, diversi cambi di rotta e un progressivo sfoltimento della schiera dei fan. Del resto, i tempi cambiano e non è detto che ciò che funzionava su Super Nintendo, possa avere successo anche nel 2015.

Proprio per venire incontro alle esigenze del nuovo pubblico, gli sviluppatori hanno progressivamente introdotto diverse feature architettate per sperimentare soluzioni alternative e garantire esperienze inedite, pur nel rispetto del DNA del brand.

Harvest Moon: The Lost Valley, anche a fronte di complessi problemi legali incorsi tra publisher e sviluppatore, è proprio questo: l'ennesimo tentativo di rinverdire Harvest Moon, magari inseguendo le nuove mode del momento che, nel caso specifico, rispondono al nome di Animal Crossing e Minecraft.

L'incipit è estremamente classico: nei panni del solito vagabondo senza passato, troverete riparo in un piccolo casolare a due passi da un gigantesco campo incolto che, per tornare a regalare i suoi frutti, non aspetta altro che due braccia forti e volenterose. Tuttavia c'è qualcosa che non torna. Nonostante il calendario ci informi che siamo in piena primavera, una fitta coltre di neve ricopre il paesaggio.

Dopo essere entrati in possesso dei principali strumenti da lavoro (zappa, innaffiatoio e ascia), faremo la conoscenza di un piccolo folletto che ci aggiornerà sui fatti: la divinità che muove le stagioni è sopita in un sonno letargico e proprio per questo l'inverno non ha mai fine. Toccherà naturalmente a voi riportare il tutto alla normalità, superando il nutrito numero di missioni che vi permetteranno di ridare forza alla dea e ripopolare il circondario con nuovi abitanti del villaggio, pronti a ritrasferirsi nell'angolo di paradiso andato perduto.

Se la sovrastruttura legata al completamento delle quest scongiura il pericolo, congenito alla saga, di allontanare quei videogiocatori solitamente disorientati dall'eccessiva libertà concessa, d'altra parte finisce per rappresentare il più grande limite e difetto di The Lost Valley.

Non esistendo un villaggio da esplorare, deplorevole assenza di questo episodio, l'apparizione dei personaggi che vi venderanno animali, semi e altri oggetti utili per la conduzione della fattoria è strettamente collegata all'adempimento dei compiti assegnati dagli NPC.

Anche porre fine all'inverno, del resto, richiede forzatamente l'intervento della divinità, costringendovi, per fin troppo tempo, a sottostare agli ordini impartitivi di volta in volta. Ciò che è peggio, le quest sono spesso ridondanti, limitate alla ripetizione di poche azioni, per nulla impegnative, soprattutto se siete esperti della serie.

Purtroppo non basta avere pazienza e superare l'ostacolo iniziale per ritrovare, intatta, la solita e amatissima formula di Harvest Moon. Come accennato poco sopra, il ritmo del gameplay è stato totalmente stravolto dalla necessità di aspettare che vi facciano visita determinati personaggi per fare scorta di item e materie prime. Da un certo punto di vista, ciò rappresenta un'ulteriore stimolo ad affinare le proprie capacità di pianificazione, ma alla lunga il sistema non fa altro che asfissiare ambizioni e buona volontà dell'agricoltore di turno.

Che un gameplay così costretto e guidato non faccia bene all'esperienza diventa ancora più evidente non appena si scopre l'altra anima di The Lost Valley. Armati di pala e ascia, potrete modificare la conformazione dell'appezzamento di terra, adattandolo alle necessità lavorative e al vostro gusto estetico.

Come da tradizione, torna la barra della stamina che si consumerà progressivamente con ogni singola azione che deciderete di compiere.

Abbattendo gli alberi libererete il passaggio, scavando nel terreno creerete dei ruscelli, ricompattando i cumuli, al contrario, formerete piccoli pendii. Niente a che vedere con la profondità gestionale di Minecraft, ma con un po' di pazienza e qualche tentativo si può confezionare un panorama piacevole alla vista che al tempo stesso risponda a tutte le necessità di un agricoltore in affari.

Ancora una volta, tuttavia, la tirannia della main quest, che assoggetta qualsiasi altra attività collaterale, rovina in buona parte il divertimento, visto che anche in questo caso dovrete comunque aspettare personaggi e item per poter scatenare liberamente la fantasia.

La scelta di un Harvest Moon più story driven del solito non è disprezzabile a priori. Lo diventa quando l'imperativo di completare la main quest, già di per sé noiosa e ripetitiva, finisce per fagocitare tutto ciò che di buono la saga ci ha promesso e permesso iterazione dopo iterazione.

The Lost Valley, purtroppo, si macchia di questa gravissima colpa proprio nel tentativo di sdoganare il brand a quel pubblico solitamente intimorito dalla mancanza di obiettivi a breve termine che ne guidassero la progressione. Si tratta di un esperimento amaramente fallito che non accontenterà né neofiti, che si annoieranno in fretta, né gli esperti, offesi dalla gabbia che gli impedirà di muoversi autonomamente per fin troppo tempo.

4 / 10
Avatar di Lorenzo Fazio
Lorenzo Fazio non ha mai smesso di giocare sin dai tempi del Master System. Ha così cercato di unire l’utile al dilettevole, inventandosi giornalista videoludico. Qualcuno ci è cascato: scrive per importanti testate del settore da quasi una decina di anni.

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