Hatred: il lato oscuro del marketing - recensione
L'odio genera odio, anche a livello mediatico.
Sono in molti a odiare Hatred. Lo odiano i classici paladini della bontà umana, pronti ad attaccare qualsiasi cosa esca dai loro rigidi schemi morali. Lo odia Twitch, che ha deciso di bannarlo e di impedire agli utenti di mostrarlo sul proprio canale. Lo odiano molti giornalisti, che si sono scagliati immediatamente contro il gioco fin dal suo annuncio. E lo odieranno molte altre persone, almeno nei prossimi giorni.
Ma la catena di odio generata da Hatred è probabilmente destinata a spegnersi molto presto, per sfociare nel disinteresse più totale. A differenza di quanto è accaduto con Arancia Meccanica di Kubrick, Un Giorno di Ordinaria Follia di Schumacher o l'Odio di Kassovitz, opere altrettanto brutali ma caratterizzate da un'anima, da un coraggio e dalla volontà di affrontare davvero temi delicati come il libero arbitrio, la violenza e le varie forme dell'odio, scavando alla ricerca dei motivi che spingono l'essere umano a provare sentimenti tanto potenti, Hatred non fa nulla per cercare di essere interessante o per lo meno sensato.
Questo perché, fin dal principio, è stato evidente quanto il lavoro portato avanti dal team Destructive Creations non sia stato guidato dal desiderio di confrontarsi in modo critico con un tema scottante o di lanciare un messaggio. Ciò a cui miravano davvero gli sviluppatori era l'attenzione mediatica, quella che può decretare da sola il successo o il fallimento di un progetto.
E di attenzione mediatica, fino a questo momento, Hatred ne ha avuta in abbondanza. Il ban da Twitch, per esempio, basterà a incuriosire diversi utenti, al punto da spingerli a setacciare altre piattaforme streaming alla ricerca di dirette e video di gameplay relativi a questo titolo controverso.
Eppure, violenza ingiustificata a parte, Hatred non ha davvero nulla per cui meriti di essere ricordato. Il gioco ruota attorno alle gesta di un personaggio anonimo, del quale non viene rivelato nemmeno il nome, che stanco della vita nella società attuale decide di andare incontro alla morte portando con sé il maggior numero possibile di persone, in modo del tutto indiscriminato.
L'odio descritto in Hatred non ha spiegazione ed è proprio questo dettaglio a togliere potenza all'opera, trasformandola in un grottesco esercizio di stile privo di senso e carattere. Il gameplay è quello classico di un twin stick shooter, nemmeno troppo riuscito, che con una blanda struttura a missioni chiede al giocatore di eliminare chiunque gli capiti a tiro, assicurandosi anche di dare il colpo di grazia ai moribondi colpiti da qualche pallottola vagante.
Già, perché l'unico modo per curarsi, in Hatred, è eseguire le esecuzioni sulle vittime inermi, quasi a voler costringere il giocatore ad essere il più brutale possibile, non lasciandogli possibilità di scelta. Se si vuole andare avanti è necessario essere spietati. In alcune occasioni, come nel livello delle fogne, questa scelta di design assume sfumature a dir poco grottesche, trasformando in veri e propri medikit i barboni appisolati fra i rifiuti.
L'unica riflessione che Hatred potrebbe favorire è quella legata alla grande diffusione delle armi da fuoco, in America. Pur partendo solo con un coltello, un paio di granate e un fucile automatico, infatti, basta davvero poco al protagonista del gioco per recuperare altre armi nelle case in cui fa irruzione, dettaglio che riflette in modo abbastanza plausibile la situazione americana. Certo, difficilmente troverete un fucile a canne mozze appoggiato accanto a un letto ma non è impensabile che qualcuno possa rimediare una pistola, con tanto di munizioni, nel cassetto di un comodino.
Tolta l'ultra-violenza (tanto per rimanere in tema Arancia Meccanica), ad Hatred resta davvero poco. Il gameplay è molto semplice, con una manciata di armi, un sistema di mira a tratti scomodo (attivando la mira di precisione la telecamera si sposta in modo innaturale, rendendo macchinosa l'azione) e una gestione troppo severa dei checkpoint.
Il gioco, infatti, salva automaticamente in alcune zone specifiche delle mappe, generalmente associate alle missioni secondarie. Per ogni missione secondaria portata a termine con successo, si ottiene una vita extra per ripartire dall'ultimo checkpoint. Questo elemento, che rimanda in modo prepotente alle dinamiche classiche dei videogiochi, è in netto contrasto con la ricerca ossessiva del realismo nella riproduzione della violenza, in particolar modo nelle richieste di pietà delle vittime e nelle esecuzioni eseguite tramite la pressione del tasto Y.
In termini di design nudo e crudo, poi, la gestione della corsa (che richiede di tenere premuto il tasto L3 del joypad) e la distribuzione dei tasti, risultano poco efficaci. Molte volte, infatti, capita di cambiare arma dopo aver cercato di compiere un'esecuzione non essendo perfettamente posizionati accanto alla vittima di turno.
Il livello di difficoltà elevato è stato probabilmente pensato per coprire una longevità ridotta all'osso (poco meno di 4 ore), non certo aiutata dall'assenza di un qualsiasi sistema di calcolo dei punteggi, generalmente funzionale per questo genere di giochi.
Dal punto di vista grafico, lo stile con basso contrasto e solo un accenno di colore per alcuni elementi su schermo sa di già visto, e non aiuta il giocatore a individuare i bersagli e a prendere la mira. Per ovviare a questo dettaglio gli sviluppatori hanno previsto una soluzione banale, che prevede la pressione dello stick analogico destro per visualizzare gli obiettivi in corso, e i contorni dei possibili bersagli su schermo.
Il resto è davvero poca cosa, a partire dal modello di guida approssimativo che accompagna le rare fasi in macchina. Guidare le auto è talmente macchinoso, che nella maggior parte dei casi è preferibile percorrere a piedi l'intera mappa, piuttosto che mettersi al volante.
Se speravate che Hatred potesse essere qualcosa di più di una furba operazione commerciale, e che magari si potesse rivelare in grado di affrontare in modo convincente un tema delicato e scottante, preparatevi a rimanere delusi. Alla luce dei fatti, il titolo sviluppato dal team Destructive Creations non solo non vale i circa 16 euro richiesti per il suo acquisto su Steam, ma nemmeno le poche ore del vostro tempo che impieghereste per portarlo a termine.