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Headlander - recensione

Una testa per una rivoluzione.

Com'è possibile non provare un sentimento di affetto per una software house come Double Fine? Al di là della nostalgia per coloro che sono cresciuti a pane e avventure LucasArts, idolatrando giustamente il lavoro di maestri come Ron Gilbert e Tim Schafer, non si può negare che nel corso degli anni la software house fondata nel 2000 abbia imparato a camminare con le proprie gambe dimostrando una natura eclettica stupefacente e una qualità spesso di molto superiore a quella sfoggiata da produzioni sostenute da budget decisamente più imponenti.

Siamo chiari, questo team di circa 60 persone non è assolutamente perfetto e ha commesso diversi errori nel corso degli anni, ma ha sempre mantenute intatte qualità che in questa industria vengono spesso trascurate in favore del facile guadagno: l'originalità e la voglia di sperimentare. Come non citare Psychonauts, Brutal Legend, Stacking, The Cave, Massive Chalice ma anche il ritorno al passato e alle amate avventure punta e clicca con Broken Age e Grim Fandango Remastered. Poi ci sono anche dei progetti minori che spingono con ancora maggior forza sulla differenziazione della line-up dello studio.

Nella nostra battaglia contro il malvagio Matusalemme non saremo soli ma potremo contare su un'intera squadra di ribelli e sul misterioso Aldo.

Perché oltre a Psychonauts 2, allo spin-off VR Psychonauts in the Rhombus of Ruin e a Full Throttle Remastered, un team capitanato dal director Lee Petty si è messo al lavoro su Headlander, un titolo che seppur appartenente all'ampia famiglia dei metroidvania cerca di differenziarsi con alcune caratteristiche uniche cercando di sfruttare con originalità le particolari caratteristiche del protagonista: una testa in preda a una profonda amnesia.

Una voce ci sveglia e subito ci rendiamo conto che qualcosa non va. La voce dice di chiamarsi Aldo, che dobbiamo andarcene dalla navicella su cui ci troviamo e che un certo Matusalemme è interessato a noi. Questa mole d'informazioni per una persona che non si ricorda assolutamente la propria identità non sono facili da assimilare, ma tutto passa in secondo piano quando ci rendiamo conto di non riuscire a parlare, di non sentire più le gambe e in definitiva di non avere nemmeno un corpo. Cosa ci è successo? Non ne abbiamo alcuna idea e Aldo in questo caso non ci è assolutamente d'aiuto. Tutto ciò che sappiamo è che questo misterioso Matusalemme deve avere qualche informazione e che siamo in grado di prendere il controllo dei robot che ci circondano sostituendoci semplicemente alla loro testa.

Headlander ci catapulta senza troppi preamboli in un futuro non meglio precisato che riprende lo stile di produzioni fantascientifiche di serie B del passato, proponendoci una storia fatta di intelligenze artificiali, controllo mentale e di trasferimento di coscienze all'interno di robot. I toni con cui vengono affrontati questi temi sono sempre molto leggeri e scanzonati e solo verso la fine delle circa 7 ore di gioco necessarie per completare la trama c'è una deriva leggermente più seria e drammatica che però verrà ben presto accantonata.

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Anche se dal punto di vista dello storytelling le aspettative non erano particolarmente alte, ci saremmo sicuramente aspettati di più dal lavoro di Double Fine sia a livello di qualità di battute e scene comiche che da quello generale della narrazione. Difficilmente vi farete coinvolgere dalla storia di questo mondo e anche quando il finale sembrava in grado di risollevare le sorti della trama, Headlander semplicemente chiude baracca e burattini mettendoci di fronte ai titoli di coda e a una conclusione troppo sbrigativa.

Se narrativamente possiamo definire la nostra avventura come passabile ma dimenticabile, controller alla mano non possiamo che sottolineare come le premesse interessanti su cui si basa questo progetto siano state, in parte, disattese. L'intero gioco si divide sostanzialmente in due parti: quelle in cui come teste vagheremo sfruttando la propulsione del nostro speciale casco e quelle in cui prenderemo il controllo di diverse tipologie di robot. Non ci troviamo di fronte a delle sezioni nettamente separate ma avremo sempre la possibilità di passare dai robot allo svolazzare in giro per i livelli alla ricerca di passaggi segreti, power up (è presente un piccolo albero delle abilità in grado di farci apprendere una manciata di skill) e potenziamenti per la salute e l'energia.

Quando utilizzeremo semplicemente la testa del protagonista ci occuperemo soprattutto dell'esplorazione evitando ostacoli di varia natura per sbloccare zone altrimenti irraggiungibili mentre l'utilizzo dei robot trasforma Headlander in una sorta di shooter 2D. Proprio lo sfruttamento dei robot non ci ha convinto a pieno, dato che ci saremmo aspettati di più sia per varietà che abilità disponibili. Quasi tutti gli automi, infatti, si differenziano semplicemente per la potenza e il tipo di modalità di fuoco di cui sono dotati e sono utili solo per proseguire attraverso certe porte dei livelli di gioco. Ogni uomo meccanico sarà dotato di un colore che gli permetterà di passare in una tipologia di porte ben precisa in una sorta di gerarchia che dai robot basilari ci porterà a quelli più potenti.

A spezzare il ritmo dell'esplorazione e delle normali fasi shooter, un paio di battaglie contro dei boss. Per quanto il design dei nemici sia accattivante, gli scontri non si riveleranno particolarmente emozionanti.

Questa meccanica dei colori ci costringerà all'esplorazione e a una sana dose di backtracking e di conseguenza alla scoperta di mappe di gioco piuttosto labirintiche, soprattutto in fase avanzata, e sempre più impegnative da superare. Verso la fine dell'avventura ci troveremo di fronte a sezioni in cui il laser delle pistole nemiche ci metterà inevitabilmente a dura prova e in cui dovremo superare delle aree al limite della frustrazione. Stesso discorso con le boss battle, delle situazioni che spezzano il ritmo di gioco ma che non propongono delle soluzioni particolarmente interessanti nel corso del loro svolgimento e che in alcuni casi ci costringeranno più volte a ripetere meccanicamente sempre le stesse azioni (nonostante la presenza di più fasi dello scontro).

Il bilanciamento della difficoltà non convince a pieno ma a conti fatti questo non è il problema più grave di Headlander, un gioco che parte da un concept interessante come la possibilità di controllare praticamente ogni robot, ma che alla resa dei conti non propone alcuna varietà che vada al di là del semplice fucile più grosso, più potente e di un colore diverso. Discorso simile anche per quanto riguarda gli enigmi che si rivelano troppo semplici e privi di originalità per risultare davvero coinvolgenti.

Anche se nella nostra partita ci siamo imbattuti in due crash (per di più proprio contro i boss) tecnicamente ci troviamo di fronte a un risultato più che sufficiente, senza particolari problemi o glitch di sorta. L'audio riesce a svolgere un lavoro egregio con delle musiche azzeccate e non troppo invasive, degli effetti sonori più che adatti al mondo tratteggiato dalla software house e un doppiaggio in lingua inglese sottotitolato in italiano davvero apprezzabile. Ci saremmo aspettati sicuramente di più a livello artistico ma anche sotto questo aspetto Petty e soci non sono riusciti a stupirci e pochissime zone, anche a causa di una ripetitività nelle ambientazioni davvero troppo marcata, ci hanno soddisfatto visivamente.

Un pizzico di progressione in stile RPG non fa mai male.

Headlander è un progetto che funziona solo a metà e che parte da premesse interessanti non riuscendo però a soddisfare a pieno nessun tipo di giocatore. Sia i fan dei metroidvania più puri che coloro che erano soprattutto interessati a derive puzzle-platform e alle meccaniche legate al particolare protagonista di cui prenderemo il controllo rimarranno inevitabilmente delusi. Questo nuovo titolo minore partorito da Double Fine non riesce a spiccare in nessuna delle proprie componenti mettendoci di fronte a un prodotto si sufficiente, ma privo della scintilla di originalità (artistica e a livello di trama o di gameplay) a cui il team ci ha spesso abituato. Un peccato, dato che con un impegno maggiore nel level design, un paio di robot diversi con cui interagire e un finale quanto meno soddisfacente ci saremmo trovati di fronte a una produzione di buona qualità.

6 / 10