Hideo Kojima sfida Enrico Ghezzi - Reportage
Fuori orario. Cose (mai) viste. Perlomeno in un videogioco.
Milano - In una città per l'ennesima volta coperta da un sottile strato di neve, Hideo Kojima, una delle ultime vere star dell'industria videoludico, è atterrato a Milano con tanto di claque e jet privato, un po' per festeggiare l'arrivo nei negozi di Metal Gear Rising: Revengeance, l'ultimo capitolo della sua saga principale, un po' per parlare della reciproca influenza tra cinema e videogiochi con un interlocutore di eccezione, quell'Enrico Ghezzi che in "Fuori orario - Cose (mai) viste" è abituato a presentare film cecoslovacchi sottotitolati in uzbeco.
E in questa occasione, invece, si è dichiarato sorprendentemente fan di Kojima, del suo cercare di forzare i confini del linguaggio cinematografico e di quello videoludico, ibridando, sperimentando, esagerando. Un regista, nella sua accezione di Director ambivalente per cinema e videogiochi, forse non talentuoso in senso assoluto, ma di sicuro interessante. E molto.
Kojima è una delle avanguardie espressive di questo nuovo linguaggio.
In questo caso, il paragone va Shinya Tsukamoto più che al Kubrick accennato nel comunicato stampa dell'evento, per la sua voglia di sperimentare, di stupire, di assottigliare i confini tra i due media, nonostante una pulizia tecnico/stilistica non proprio impeccabile. A suo dire, Kojima è una delle avanguardie espressive di questo nuovo linguaggio uno, dei pochi capaci di utilizzare in maniera consapevole le inquadrature, i dialoghi, in altre parole il linguaggio del cinema, per legare tra di loro i momenti del gioco, dove tutta la tensione accumulata durante le scene filmate finalmente esplode. E similmente, in un movimento oscillatorio sapientemente governato, la tensione accumulata nelle fasi interattive si riversa nel filmato, creando un coacervo di emozioni che solo il videogioco, con la sua attitudine ad unire capacità espressiva e interattività con le tecnologie più avanzate, può dare.
Il paragone, anche in questo caso, più che a Kubrick è volto a Cameron, che con il suo Titanic rivoluzionò il modo di girare i film, costruendo un'acqua digitale ancora più perfetta e credibile di quella reale, portando la recitazione, la drammaticità, il coinvolgimento, ma anche la spettacolarità su livelli mai visti prima. E sorprendentemente, anche perché Enrico Ghezzi, col suo inconfondibile stile, riesce a rendere complesse anche le affermazioni più semplici, Kojima è d'accordo con l'autore di Blob. Entrambi sostengono che l'industria videoludica riveste il ruolo di avanguardia nel campo del linguaggio espressivo, soprattutto per la sua facilità di accedere velocemente alle tecniche più innovative, da codificare e implementare nella grammatica classica del cinema.
Per esempio, se Lo Hobbit di Peter Jackson e i suoi 48 frame al secondo hanno rappresentato un passaggio epocale per il cinema, Kojima fa notare che, nell'industria videoludica, tale traguardo è stato raggiunto e superato da tempo, tanto che lo stesso Metal Gear Rising: Revengeance gira costantemente a 60 frame per secondo. E la questione della frequenza video è, secondo i due protagonisti di questa presentazione, il futuro sia della settima arte, sia dei videogiochi, decisamente di più che il 3D i suoi occhialini. In altre parole, si è scoperto che il metodo più efficace per 'ingannare' il cervello e fargli percepire un ambiente in tre dimensioni è quello di mostrare all'occhio frequenze superiori ai 45 frame al secondo. Questo diverrà dunque un elemento molto importante per il cinema grazie alla sua capacità di rapire lo spettatore, ma ancora di più per i videogiochi perché rende gli oggetti maggiormente interattivi e attraenti.
Il passo successivo è dunque coinvolgere in queste esperienze l'olfatto, il gusto e il tatto oltre che la vista e l'udito.
Il passo successivo è dunque coinvolgere in queste esperienze l'olfatto, il gusto e il tatto oltre che la vista e l'udito. Anche in questo caso il creatore della saga di Metal Gear ha le idee chiare: già ai tempi di PlayStation 2 aveva chiesto a Sony di creare per la console una periferica che consentisse di generare fragranze, ovviamente da sfruttare per i suoi videogiochi. Sfortunatamente, nel 2013 nessuno ha ancora soddisfatto le sue richieste e, nel mentre qualcuno decide di colmare questa lacuna, il compito dei registi, siano essi videoludici o cinematografici, è quello, anche in questo caso, di ingannare gli utenti e convincendoli di aver avuto delle esperienze sensoriali che in realtà non hanno provato.
L'esempio, in questo caso, è stato il Kurosawa di Paradiso e Inferno che, per far capire agli spettatori il puzzo di alcuni cadaveri in decomposizione, in una famosa scena della pellicola fece storcere ai suoi attori il naso in maniera molto vistosa. In questo modo, Kurosawa ottenne il risultato voluto e trasmise in modo molto forte il messaggio alla platea. Stando a Kojima, perlomeno per altri cinque anni, questo genere di suggestioni saranno il cuore della capacità di persuasione di un'opera audio/visiva, in seguito dovrebbero arrivare tecnologie in grado di fornire, in maniera meno sottile, ma più efficace, tali sensazioni.
Nel frattempo però l'industria non se ne sta con le mani in mano e lo stesso Kojima con Boktai (come Gian Luca Rocco di Tgcom24 fa notare alla fine della presentazione) o Mizuguchi con Rez, Child of Eden e Lumines hanno provato da una parte a trovare una nuova connessione tra mondo reale e quello virtuale, inserendo la luce del giorno quale elemento di gameplay, e dall'altra a creare esperimenti di sinestesia, ovvero impulsi che vanno a stimolare in maniera coordinata più sensi in una volta.
Persi in questo genere di discorsi, poi era difficile ricordarsi che, alla fin fine, si stava parlando di un videogioco dove 'si affetta la gente', primo spin-off di una serie con 26 anni sulle spalle, nata su MSX, un computer dalle capacità grafiche così scarse da rendere ancora più stupefacente il lavoro di Kojima. Il primo Metal Gear, infatti, riusciva a condensare in pochi pixel la capacità del designer giapponese di creare la tensione, i personaggi e la drammaturgia che poi avremmo trovato, potenziati sotto il profilo tecnologico, ma immutati nella sostanza, nel resto dell'opera.
Vuol dire che anche in Italia c'è un'avanguardia preparata e influente in grado di comprendere la portata rivoluzionaria del media videoludico.
E se a riconoscere il valore culturale celato sotto lo strato ludico della serie Metal Gear è uno come Enrico Ghezzi, vuol dire che finalmente anche in Italia c'è un'avanguardia intellettuale preparata e influente in grado di comprendere ed apprezzare la portata rivoluzionaria di questo media. E contemporaneamente, che l'industria videoludica è sufficientemente matura per poter citare e reinterpretare nel suo linguaggio i grandi classici del cinema e della letteratura.
Sotto questo profilo, forse, Kojima potrebbe assomigliare a Quentin Tarantino e alla sua spiccata capacità di rileggere in chiave moderna determinati generi. Nel nostro caso la chiave è quella videoludica, ma la voglia di citare, stupire e divertire è forse la stessa. Basti pensare ai tanti personaggi famosi inseriti nelle sue opere come Joaquin Cortee/Vamp, Jack e Rose su di una nave che sta per affondare, Hal e il Dottor Stranamore. O, ancora meglio, all'eco dei combattimenti di Kill Bill che è possibile trovare in Revengeance. O a quel Solid Snake così simile allo Iena (Snake in originale) Plissken di Fuga da New York. Insomma, 26 anni di Metal Gear sono impregnati di cultura pop, ma lentamente le semplici citazioni si sono trasformate in omaggi.
Nonostante l'indiscutibile talento, al buon Hideo manca forse la capacità di sapersi reinventare di Tarantino, ma il Roberto Saviano della videoludica (cit. Boris) ha ancora molto tempo davanti a sé per stupirci ancora una volta.
Davanti a questo scontro tra titani, Metal Gear Rising: Revengeance è rimasto un po' sullo sfondo, ma il gioco merita e il nostro Filippo Facchetti lo ha spolpato per bene in questa recensione.