Homefront: The Revolution - The Voice of Freedom DLC - recensione
Un mini-prequel troppo mini.
Se c'è una cosa che i reparti marketing dell'industria videoludica dovrebbero saper fare bene, è calcolare i tempi d'uscita di un videogioco. Come tutti sappiamo il periodo prenatalizio è il più gettonato da tutti i publisher, ma durante l'anno ci sono dei mesi in cui il lancio di un titolo è propizio e la metà di maggio è generalmente un periodo piuttosto gettonato. Quest'anno in quel lasso di tempo si celebrava il ritorno in pompa magna di DooM, una ripartenza dalle origini piuttosto valida, soprattutto per determinate scelte di game design relative all'uso delle armi, al numero dei nemici e al level design decisamente vecchio stile, ma ben realizzato.
Uscire una settimana dopo un mostro sacro di tale portata con Homefront: The Revolution non è stata una mossa particolarmente azzeccata, soprattutto se a questo aggiungiamo il fatto che lo sparatutto ha vissuto uno sviluppo travagliato e non privo di qualche difficoltà tecnica, in particolare qualche bug dell'intelligenza artificiale e una certa pesantezza del motore grafico. Sotto questa scorza si nascondeva comunque un buon sparatutto a struttura aperta che, grazie al sistema di crafting, premiava la perseveranza del giocatore con una notevole varietà delle situazioni. Raccogliendo materiali era infatti possibile realizzare diversi tipi di gadget da usare di persona o remotamente tramite auto radiocomandate per organizzare imboscate degne delle migliori tecniche di guerriglia, anche se la massiccia presenza di Nork nelle aree di gioco era alla base di sparatorie del tutto casuali.
A quanto pare il team di sviluppo ha deciso di non mollare nonostante le critiche e di restare sul piano originario che prevedeva la pubblicazione di alcuni DLC che si agganciassero ai contenuti dell titolo base per completarne la trama. Ecco quindi The Voice of Freedom: un prequel nel senso stretto del termine in cui si vestono i panni del capo della resistenza, Benjamin Walker, la cui voce è alla base dei messaggi d'incitamento alla rivolta che invadono le frequenze dell'etere di Philadelphia e presenti nel corso della storia principale. Al termine dell'installazione del DLC ci si trova quindi a vestire i panni proprio del capo della resistenza alle prese con la fuga da una zona pesantemente presidiata dai Nork, per poi intrecciarsi con l'ingresso di Ethan Brady nell'organizzazione sovversiva.
Questo The Voice of Freedom si stacca dal gameplay a struttura aperta, giocato nella missione principale. Quindi niente più zone cittadine da sottrarre al controllo dei coreani con atti di terrorismo mirati, occupazione dei punti strategici della mappa o espugnando le roccaforti principali, ma una semplice sessione di sparatutto lineare in cui ci si deve muovere, perlopiù nel sottosuolo della città, per arrivare da un punto all'altro eliminando o eludendo (in un paio di occasioni) la sorveglianza nemica. L'unico vero elemento di novità della storia riguarda gli avversari che questo DLC propone. Dovremo infatti scontrarci non solo contro le solite pattuglie nordcoreane ma anche, e soprattutto, contro una gang di rinnegati che combatte per garantire la sopravvivenza dei suoi membri anche a discapito della Resistenza.
Da questo punto di vista, il gameplay è fondamentalmente una versione annacquata di quello originale: meno spazi di manovra durante gli ingaggi, meno risorse da raccogliere per creare gadget bombaroli e zero possibilità di assoldare bot della resistenza per farci aiutare, in quanto l'azione di gioco è completamente scriptata. Armi in spalla e grilletto pronto quindi, visto che l'esplorazione è ridotta all'osso e bisognerà solo sparare e accoltellare di nascosto un paio di guardie nelle prime fasi. Questo aspetto ci ha indispettito non poco in quanto finisce per snaturare gli elementi di base che avevamo apprezzato nel gameplay del gioco completo. Poco male, ci siamo detti, visto che almeno potremo godere di un paio d'ore di sparatorie. Macché, non vi dico la sorpresa del sottoscritto dopo aver concluso il DLC in circa quaranta minuti di gioco a livello difficile ed essere stato rimandato al menu principale scambiando i titoli di coda con quelli di testa.
Come potete capire, la combinazione tra il cambio di rotta rispetto a quanto offerto in origine e l'estrema brevità di questo pacchetto non ci ha messo esattamente di buonumore e, nel momento di effettuarne la valutazione, il risultato è quello che vedete qui sotto. Chiaro, per sei euro non si può pretendere la longevità di un Half-Life 2, ma visto che i Dambuster Studios avevano tutte le carte in mano per realizzare un DLC più longevo e del tutto ispirato agli aspetti migliori del gioco originale, non ci sono dubbi sul fatto che i vostri soldini possano essere dirottati verso forme d'investimento migliori di questa, soprattutto su Steam.