House of Gucci Recensione - Una saga famigliare assai distorta
Potrebbe diventare un classico del trash. Ma sarà voluto?
Per quale motivo può interessare un film su un'arrampicatrice sociale, fin da giovane mirata al salto di classe attraverso la sua avvenenza, decisa a scalare le vette del successo mondano e ad accumulare soldi, finché morte non vi separi? Può interessare se i personaggi sono stati noti alle cronache mondane abbastanza recenti e soprattutto se la morte che ha separato la coppia non più felice, è stata inflitta dalla donna in questione, per mano di un sicario prezzolato.
Questa infatti è la storia di Patrizia Reggiani e Maurizio Gucci, giovani e belli negli anni 70/80, al centro della vita mondana, degli scandali finanziari, della cronaca rosa e poi nera. Peccato che il film diretto da Ridley Scott, che è tratto da libro The House of Gucci: A Sensational Story of Murder, Madness, Glamour and Greed scritto da Sara Gay Forden, si dichiari subito "liberamente ispirato" alla vera vicenda e questo crei quella sensazione di imbarazzo che si prova quando si vedono attribuire parole e azioni a personaggi della storia recente, alcuni ancora viventi, mentre si dà un'arbitraria versione dei fatti, con pure qualche imprecisione non da poco.
Fatti che in questa storia erano anche interessanti, per vari motivi, per l'ambiente della moda negli anni del grande cambiamento, per il glamour della vita mondana e per gli scandali finanziari. Ma evidentemente non era una cronaca dei fatti, una lettura documentaristica che ci aspettavamo. Non eravamo però nemmeno preparati alla piallatura di un trash fastidioso che non riesce nemmeno a farsi feuilleton, una fiction da casalinga disperata in fascia oraria pomeridiana, afflitta da una recitazione caricata, imposta agli attori forse adeguandosi sempre al vetusto luogo comune per cui noi italiani parliamo sempre ad alta voce e con una mimica eccessiva e muoviamo troppo il corpo.
Abbiamo visto il film, che è stato girato ovviamente in inglese, in versione originale e questo forse sarà l'unico caso in cui il doppiaggio potrebbe salvare un film. Perché gli attori vengono costretti a un inglese broccolinese, intervallato da qualche espressione in italiano (ovviamente con accento inglese) generando un pastrocchio quasi offensivo. In questo baratro di macchiette grottesche cadono attori come Jermy Irons e Al Pacino. Sono pure troppi i 157 minuti della durata, che si suddividono fra: incontro, innamoramento e sposalizio; matrimonio e accesso alla famiglia con relative beghe; scandali finanziari e trame societarie (parte lunga e noiosa); tradimento e abbandono e ira funesta. Si chiude con il delitto.
Non si capisce perché non raccontare in questo modo, anche volendo accentuare i toni, quella che è stata una vicenda giudiziaria molto nota. Visto che sulla condanna e sulla pena scontata dalla protagonista, Patrizia Reggiani, non ci sono dubbi e giustificazioni, non ci si aspettava una rivisitazione in chiave assolutoria ma nemmeno un simile accanimento sulla Famiglia. I due protagonisti sono stati scelti giovani e belli, come erano nella realtà e anzi, Adam Driver è quello che ha in dono il personaggio più sobriamente descritto (un po' un cretino, comunque). Quanto a Lady Gaga, non la colpevolizziamo più di tanto, chiamata anche lei a dare al suo personaggio un tono sopra le righe (splendidi i look però, molto precisi come ricostruzione d'epoca e pure trucco e parrucco). Anche Jeremy Irons è adatto per il vanesio Rodolfo, padre di Maurizio, ex attore del cinema dei telefoni bianchi, insopportabile snob.
Ma ingiustificabile è fare di Aldo Gucci una specie di mafioso da Sopranos (un Al Pacino che sembra uscito da un Padrino senile) e Paolo, suo figlio, che è affidato a Jared Leto, diventa una macchietta grottesca, oltre che un totale imbecille, e non si capisce perché scegliere lui per poi renderlo irriconoscibile sotto l'imbottitura per farlo sembrare grasso e perdere ore di trucco per farlo pelato e con le guance cadenti. In generale la famiglia Gucci sembra composta da ex buzzurri toscani arricchiti che se la tirano, ma del tutto incapaci di gestire lo storico marchio in un momento di trapasso. La francese Camille Cottin ha il trattamento più rispettoso, nel ruolo della donna per cui Maurizio aveva lasciato la moglie. Salma Hayek, sposata con attuale proprietario di Gucci, Fancois-Henry Pinault, fa la "maga" cafona che pasturava la deriva psichica dell'inferocita Patrizia, mai sottovalutare la furia di una donna tradita (ed estromessa dal cerchio dorato della Family). Lampeggio Tom Ford, che nel '94 svecchierà la maison, interpretato da Reeve Carney. Il vero Tom Ford del film ha detto che a tratti gli sembrava di assistere a una versione del Saturday Night Live, un trattamento "camp" di un fatto tragico.
Molte hits a scandire il passare degli anni, inesorabile abuso della nostra lirica, almeno nella scena dell'omicidio con più gusto si sceglie il Coro a bocca chiusa dalla Madama Butterfly. Nel finale la bella Baby Can I Hold You Tonight di Tracey Chapman, ma nella orrida versione con Pavarotti, così, per chiudere nel disagio. Insomma, non capiamo la controllata reazione della famiglia, ci sarebbe stato da prendersela di più. Ma forse quello che conta è che il marchio continui a girare, che sarebbe in linea con la mentalità dell'ambiente. Parlate, parlatene male, ma parlatene. É di questi giorni la notizia che i vari famigliari "si riservano ogni iniziativa a tutela del nome, dell'immagine e della dignità loro e dei loro cari" e qui concordiamo. Mentre non è vero che la Reggiani venga dipinta come "una vittima che cercava di sopravvivere in una cultura aziendale maschile e maschilista". Quelli erano i tempi e lei, oltre che come moglie di Maurizio, non poteva avere voce in capitolo, né risulta che volesse averne.
Per la cronaca, la vera Patrizia ha oggi 73 anni di cui 18 passati in carcere sui 26 comminati (pena ridotta per buona condotta). Sposa incantata a 22 anni, si è vista scaricata dopo 13 anni di matrimonio e due figlie (ma ci aveva messo del suo) e un assegno di un milione e mezzo di dollari all'anno di alimenti non le era bastato, quindi era seguita la vendetta, l'organizzazione dell'uccisione nel '95 e l'arresto. Nel 2011 dopo 13 anni di carcerazione, le era stata offerta la libertà vigilata in cambio dello svolgimento di un'attività lavorativa.
Si dice abbia risposto "Non ho mai lavorato in vita mia, non comincerò adesso". Che sembra una battuta di una sceneggiatura di gran lunga migliore del film di Scott, regista che nella vita ha fatto ogni genere di film, amandone forse solo alcuni, altri solo eseguiti come diligente artigianato ad alto livello. Del resto anche il suo trattamento sulla vicenda noir di altri ricchi e famosi, la famiglia Getty nel film Tutti i soldi del mondo, non aveva convinto. Questo progetto era rimbalzato negli anni fra vari registi e ripreso alla fine proprio da Scott che se ne era interessato già nel 2006. Malinconica chiosa finale: nessun appartenente della famiglia fa più parte del gruppo Gucci. Meglio così, se era davvero come dipinto nel film.
Anche se ci si predispone alla visione come si guardasse un Dallas/Dynasty di super-lusso, si resterà perplessi e poi sconfortati, poi irritati e alla fine anche annoiati. Ne avrebbero fatto qualcosa di migliore i Vanzina.