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I giochi della vita - editoriale

Quale gioco vi ha, in qualche modo, cambiato l'esistenza?

Tutti i giochi sono uguali o alcuni giochi sono più uguali degli altri? Citazioni orwelliane a parte, è indubbio che davanti agli occhi di un appassionato di videogame scorrono centinaia, se non migliaia di videogiochi. Per chi, come il sottoscritto, ha da poco festeggiato il trentesimo anno di militanza videoludica (e, ahimè, il quarantesimo di vita vera) è un dato di fatto che alcuni giochi abbiano influenzato profondamente il proprio modo di porsi nei confronti di questo meraviglioso medium. Oppure, più semplicemente, hanno appassionato a tal punto da persistere nella propria memoria, magari legandosi a episodi o situazioni del passato, remoto o prossimo, anche a distanza di molti anni.

Il mio primo gioco della vita, inevitabilmente, è stato anche il primo videogioco in assoluto, ossia Galaga di Namco. A quei tempi, eravamo agli inizi degli anni '80, in alcuni bar vicini a casa mia cominciai a notare alcuni curiosi e misteriosi cabinati che assomigliavano a strane televisioni messe al contrario. Talvolta mi capitava di entrarci con mio padre o mia madre che andavano a prendersi un caffè e mi regalavano qualche partita che, ai tempi, costava 200 Lire. In Italia i videogiochi si stavano diffondendo a macchia d'olio e la mia mente di bambino restò immediatamente affascinata dal mesmerizzante comparto sonoro del classico Namco, tant'è che ancora oggi, a trenta e passa anni di distanza, ascoltare il jingle iniziale mi fa compiere e veri propri salti temporali da fare invidia a quelli di Ritorno al futuro.

La perfezione fatta computer, non trovate?

È stato grazie a Galaga, al quale peraltro ero pure diventato abbastanza bravino, che è nato l'amore per i videogiochi e infatti di lì a qualche mese, con l'arrivo del Natale, iniziai un feroce lavoro ai fianchi dei miei genitori per farmi regalare una console casalinga. Alla fine la scelta cadde sull'Intellivision, che uno zio "ricco" (si fa per dire) mi donò come uber regalo natalizio, pregato da mia madre che, di certo non ricca, gli aveva chiesto di immolare 250mila lire per la causa. Ah, che mal gliene incolse. Ero dentro al tunnel del divertimento (elettronico) e non ne sarei più uscito.

"Ero dentro al tunnel del divertimento (elettronico) e non ne sarei più uscito"

Quantum leap. Giugno 1988, prima ginnasio al Liceo Classico Berchet. Oramai già nerd/geek rodato dagli anni e dalle macchine (dopo l'Inty ero passato per breve tempo al sudicio Sharp Mz-700 e al Commodore 64), condividevo la mia insana passione con altri due amici, mentre tutti gli altri compagni di classe ci guardavano come se fossimo dei pazzi. Secondo me giugno per uno studente è il mese migliore in assoluto: solo due settimane di scuola, per la quale, come dire, i giochi sono oramai fatti, clima mite, vacanze alle porte, un'intera estate davanti, poche responsabilità...and so on.

Un giorno P.M., il più fissato del terzetto mi convoca a casa sua perché deve mostrarmi "qualcosa di mai visto prima". Ovvero l'Amiga 500 + Ports of Call. Mascella a terra, occhi strabuzzati, sudorazione fredda e lingua felpata. Ora, che l'Amiga fosse "l'oggetto del desiderio", beh, questo era un dato acquisito e facilmente accertabile, visto che era davvero un computer anni luce avanti alla concorrenza. Ports of Call invece, già ai tempi era un oggetto misterioso. Una simulazione di commercio marittimo, nella quale il giocatore, che poteva sfidarne altri tre in rigoroso multiplayer off-line, vestiva i panni di un armatore che, partendo da zero, doveva costruire un impero.

Una città ben riuscita... e senza online!

Oltre alla parte meramente simulativa e gestionale, c'erano anche brevi sequenze arcade che permettevano al giocatore di "parcheggiare" la nave nel porto o guidarla fuori da pericolosi iceberg. Amiga 500 era già un computer di successo e aveva killer application a iosa (le produzioni Cinemaware, Psygnosis, Discovery, etc.) ma su Ports of Call ci perdemmo letteralmente le ore. Bell'epoca quella dei 16-bit: checché se ne dica, a mio parere i giochi migliori di sempre sono usciti allora.

Altro salto temporale. Estate 1993, ovvero la prima che trascorsi da solo a casa Avevo vent'anni e, nonostante avessi già avuto modo di sperimentare la piacevole sensazione di libertà derivante dal trascorrere un periodo di vacanza lontano dai genitori, era la prima volta che mi trovavo nella invidiabile posizione di essere per due settimane signore e padrone della mura domestiche.

"Mascella a terra, occhi strabuzzati, sudorazione fredda e lingua felpata. L'Amiga era l'oggetto del desiderio"

Pulire la casa, fare la spesa, organizzare cene luculliane con annesse interminabili partite a Risiko divennero le principali attività diurne da condividere con gli amici (eh, di donne manco a parlarne, purtroppo...). A quel tempo avevo appena tradito la causa commodoriana per aprirmi a quella PCista. Intendiamoci, la strada era segnata da tempo: Commodore già boccheggiava, annaspando in progetti senza futuro come il CDTV e l'Amiga CD, K e TGM assegnavano medaglie d'oro e giochi caldi a più non posso alle produzioni per PC, la cui grafica diventava sempre più definita e affascinante. Però, a dirla tutta, il mio 486 con SoundBlaster non mi aveva ancora convinto del tutto. Poi arrivarono Sim City 2000 e Day of the Tentacle, e le cose cambiarono.

Andai a comprare i due giochi proprio il giorno prima della partenza dei miei genitori, da Pergioco, storico negozio milanese specializzato in videogame, miniature e giochi da tavolo e di carte, ubicato in una piccola traversa che dava su una centralissima piazza milanese, caratterizzata dalla presenza delle sedi di molte grandi banche, particolare che mi ha sempre fatto sorridere, visto che fuori dal negozio spesso si radunavano gruppi di persone assolutamente antitetiche ai cumenda che pascolavano tranquilli nei paraggi.

Il gioco della vita del Silvestro? Chissà. :-p

Tornato a casa e installato il tutto sul mio possente hard disk da 160 mega, aspettavo il calar della notte, perché sono sempre stato convinto che alcuni tipi di giochi si gustino meglio in certe particolari condizioni. Strategici e avventure grafiche erano da me associate al concetto stesso di tranquillità e riflessione, e quale migliore momento per impegnarcisi se non le notti estive milanesi?

Così, immerso negli sporadici rumori della notte, ovattati dall' afa, che si mescolavano agli effetti sonori digitalizzati dell'avventura Lucas e agli ipnotizzanti jingle del gioco di Maxis, costruivo una Milano virtuale mentre, volgendo lo sguardo verso la mia destra, potevo osservare quella reale. In quattordici notti consumai i due giochi, erigendo una metropoli e sconfiggendo il temibile tentacolo viola.

E poi? Beh, poi ci sono stati tanti, tantissimi altri titoli sui quali ho speso ore e soldi in eguale quantità. Tuttavia, non voglio trasformare il pezzo in uno sterile elenco di giochi, anche perché adesso la palla passa a voi lettori...

Avatar di Andrea Chirichelli
Andrea Chirichelli: Nasce circa 40 anni fa in una domenica buia e tempestosa. Negli ultimi anni ha offerto il suo discutibile talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic. Odia apparire in foto.
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