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I giovani che non crescono - editoriale

Giovani, carini e disoccupati. A vita.

Viviamo tempi durissimi, e da diversi anni, non solo adesso che siamo stati colpiti pure da un virus biblico. Ma usciamo da decenni differenti, molto più rilassati, goderecci, indulgenti, che dopo il boom demografico degli anni del dopoguerra hanno visto generazioni succedersi a ritmi sempre più veloci. Erano anni in cui gli adulti avevano deciso che ci si poteva protendere verso un futuro ricco di promesse con un numero sempre maggiore di figli. Poi era arrivato il movimento del '68 (negli USA iniziato qualche anno prima) a convincere tanti di quegli adulti che l'educazione dei propri figli sarebbe stata ben diversa da quella subita dai loro genitori: basta divieti, moralismi, obblighi, meglio un'educazione morbida, non divieti ma consigli, non dogmi ma spiegazioni. Ti porterò nel bosco, mio piccino, ma non per abbandonarti, per prenderti per mano e accompagnarti sul sentiero che tu sarai libero di scegliere. E se per insipienza, per arroganza sbaglierai? Non importa, ci sarò sempre io a riprenderti, a salvarti.

Non si poteva sapere però che così si minava alla base l'autorevolezza della figura-guida famigliare, sembra indispensabile per una crescita equilibrata. Dopo gli anni '70 sovrastati dalla minaccia di una chiamata alle armi per gli americani, dal terrorismo interno per noi, siamo arrivati al periodo dell'edonismo reaganiano, i vituperati '80 con la loro esplosione di vitalità. Tutti liberi più ancora di prima di fare ciò che si voleva, giusto o sbagliato che fosse, la felicità era un diritto da ottenere a qualunque costo, lontani da vincoli morali, sollevati da impegnative ideologie, tutti centrati su se stessi (sono gli anni del famigerato "perché io valgo!"). Intanto sempre nuovi nomi venivano assegnati alle generazioni che si sovrapponevano, Baby Boomers, Generazione X, Millennials, Generazione Z, facendo sentire dei bacucchi anche quelli più vecchi di una sola decina d'anni.

Si può togliere il Medio-Oriente da Ramy?

Dopo molte illusioni, sono arrivate un paio di crisi economiche, ben architettate per spazzare via tante delle vecchie illusioni, per prima la basilare certezza lavorativa, che è indispensabile per iniziare una propria esistenza autonoma, che permetteva emancipazione e scalata sociale. Così abbiamo incontrato, nella realtà e nella fiction, tanti adolescenti troppo cresciuti, obbligati a permanenze castranti e scomode nelle case paterne, con conseguenti sviluppi di personalità bloccate. Perché è solo affrontando la vita per conto proprio che si impara a vivere e tanti dubbi, scrupoli, esitazioni, pretese, sono lussi da permettersi solo in circostanze favorevoli, da accantonare però in nome della sopravvivenza. Del resto, è vecchio il detto "Quello che non strozza, ingrassa".

Queste riflessioni sono state suscitate dalla visione della serie TV Ramy (premiata con un Golden Globe), in cui il protagonista è una versione "molle" dei personaggi di Hanif Kureishi degli anni '80 (Buddha of Suburbia, My Beautiful Laundrette), innocuo cittadino americano figlio di emigrati egiziano/palestinesi, in cerca di equilibrio fra radici e ambiente attuale, voglioso di rispetto verso tradizioni abbandonate dai genitori, ma incapace di adeguarvisi seriamente, desideroso di ristabilire legami con un Paese in cui però non si ritroverà. Va detto che la serie ha un avvio non molto originale per migliorare poi verso la conclusione, perché la realtà del suo Paese metterà Ramy di fronte ai suoi luoghi comuni, alle sue contraddizioni. Diversa la situazione dell'ugualmente infelice ebreo ortodosso Shtisel nella serie omonima, e più drammatica quella della protagonista di Unorthodox, per restare in questo ambito.

Defending Jacob: l'illusione di una famiglia unita.

Come spesso accade, un argomento specifico ha indotto a riflettere su tanti personaggi visti in molte delle più recenti serie TV o film. Quali giovani ci propongono adesso le narrazioni cinematografiche televisive, quali sistemi educativi vengono reclamizzati? Dopo le classiche e accomodanti Parenthood, Brothers and Sisters, Una mamma per amica e i "trasgressivi" di Modern Family, nelle serie TV ci troviamo davanti a una quantità di giovani protagonisti troppo protetti, mai ben strigliati quando necessario, con genitori che subiscono puntute contestazioni ma non hanno mai la forza di ribattere con altrettanta precisione, mettendo i figli davanti alle loro contraddizioni morali: tante rampogne ma una carta di credito sempre a disposizione, cellulari di ultimissima generazione con piani tariffari sempre pagati, la porta della cameretta piena di ogni confort pronta per essere sbattuta in faccia al genitore. Genitori che sono spesso criticati con durezza per non essere stati abbastanza presenti proprio mentre procuravano quel benessere che viene contestato ma non rigettato.

Tempo è passato da James Dean e dalla gioventù ribelle, dalla fuga attraverso il paese di Kerouac, dalla feroce e ipocrita repressione sessuale degli anni '60, anni in cui una ribellione che oggi rubricheremmo come innocuo rigurgito adolescenziale, veniva repressa con inusitata durezza dal Sistema. Certo sono state messe in scena infinite quantità di famiglie problematiche, alcune proprio criminali (il terribile padre interpretato da Eric Dane in Euphoria e il gruppo di Ozark), altre ricche e assenti (i film di Gregg Araki e i romanzi di Bret Easton Ellis), altre composte da adulti ancora pesantemente coinvolti in problemi personali, impegnati quindi su più fronti e quindi su tutti carenti. Ma anche tante coppie oneste, volonterose (i devastati genitori di 13 Reasons Why, il disgraziato padre del film di Ken Loach Sorry We Missed You), presenti e senza nulla da rimproverarsi, eppure indotte a eccessiva tolleranza da uno spirito del tempo davvero nefasto.

13 Reasons Why: gli adolescenti ci guardano (e non ci vedono).

E non si vuole incoraggiare il ritorno al sonoro sberlone, ma si chiede un'educazione che colleghi le cause agli effetti, che impartisca anche qualche "castigo", che faccia comprendere che chi sbaglia paga, che implichi un dialogo che non accetta il mutismo come risposta. Al troppo protetto Jacob della serie con Chris Evans, agli alteratissimi protagonisti di tanti Spring Break, agli autodistruttivi nichilisti di Gus Van Sant, preferiamo allora i ragazzi compagni di infanzia e di sogni di Stacey Peralta, che sfrecciando sui loro skateboard o sulla tavola da surf sono andati a cercarsi la loro strada, senza recriminazioni, senza cercare alibi in un passato da cui sapevano di dover svoltare.

Ogni generazione ha avuto i suoi problemi di inserimento, di accettazione, di sessualità. Solo che una volta andavano di pari passo con la lotta per la sopravvivenza, per avere un tetto sulla testa e un piatto da mettere in tavola ogni giorno. E solo con l'impegno (e lo studio) si poteva pensare a un salto di classe. Ma a dirlo oggi sembrano lacrimose storie ottocentesche. Tutti oggi sono "creativi", perché costretti da un sistema che li ha plagiati in questa direzione per renderli sempre più vulnerabili (e solitari, isolati). "Io valgo" martellato nelle teste implica che si rifugga ogni sistemazione meno che "artistica" come fosse sinonimo di totale fallimento, tutti stanno facendo qualche cosa per campare mentre stanno portando avanti nobili progetti (versione universalizzata dei camerieri di Hollywood). Il protagonista di questo genere di storie non demorde mai, ha sempre un altro sogno, chiuso un cassetto se ne apre un altro, sempre in procinto di cambiare, trasferirsi, evolversi. Guai fermarsi e guardare indietro e guai a guardarsi allo specchio, si potrebbe vedere il sorriso a tutti i costi che comincia ad appannarsi.

Ozark: legami fra famiglia e illegalità.

Su questo tema, un saggio a parte meriterebbero Greta Gerwig e il filone Mumblecore, che racchiude in sé tutto il bello e tutto il brutto del nuovo cinema indie americano, quello che si occupa di giovani carini e disoccupati. Tutti che non si sa bene come ma hanno sempre i soldi in tasca per abitare, vestirsi, mangiare in bei posti, andare per locali e feste creativamente vestiti, per pagarsi elaborati tatuaggi (e canne e alcol non mancano mai), oltre a frequentare yoga e palestra e terapie varie, tutti con smartphone e portatili di ultima generazione. Alle spalle famiglie fin troppo gentili e pazienti, mentre i pargoli annaspano, afasici intellettualmente e sessualmente, incapaci di un sano e chiaro discorso di spiegazione, di una decisione su cosa fare non per oggettivi problemi (crisi del mercato del lavoro) ma semplicemente perché tutti sono pseudo creativi, viziati insomma da una vita mai davvero dura (Frances Ha, la serie Girls, Giovani si diventa, Mistress America, Lady Bird).

Sarebbe blasfemo definire alleniani (da Woody Allen) questi personaggi anti-eroici, così significativi di questi tempi deboli, pieni di balbettamenti, imbarazzi, tentennamenti, esitazioni anche su che caffè prendere, tutti vegetariani o bio o addicted ad altre fissazioni, pure moralisti, vagamente colti e sostanzialmente snob, che non riescono a fare francamente pena o simpatia, a meno ovviamente di non essere come loro o ambire a riconoscersi in loro. Pensiamo che questa narrazione costituisca un modello nefasto, perché solletica, gratifica comportamenti da cui sarebbe invece salutare uscire al più presto, perché il proprio ombelico non è il mondo e si dovrebbero trovare ideali veri in cui credere, valori per cui lottare. Di una e ormai più generazioni così il Sistema ha fatto strame. Andremo avanti ancora per molto?

James Dean, il ribelle di un tempo lontano.

Nelle serie TV e in molti film si incontrano personaggi di adolescenti insostenibili, cui si augura ogni male, omertosi, arroganti, ostinati, sordi a qualunque visione non coincida con la loro. Aggiungiamo al filone i problemi del multiculturalismo, l'esigenza di non perdere le vecchie tradizioni, di non dimenticare le radici (cosa per cui spesso vengono rampognati i genitori che sono fuggiti da realtà inimmaginabili per dare un futuro migliore agli ingrati pargoli), pretese rispettabili ma legano con la durezza del mondo di oggi? Possiamo insomma ancora oggi permetterci tante politiche correttezze, esitazioni, scrupoli, esigenze? Forse che come dicevano i nonni ci vorrebbe un'altra guerra? Per rimettere in fila le priorità e capire che fare i genitori non è mai stato facile e mai nella storia dell'umanità si è concesso tanto spazio alla ricerca della "felicità" dei propri figli, anche a costi altissimi per le famiglie (ringraziare però mai)?

Il problema è l'immobilismo di certi luoghi, la perenne difficoltà degli adolescenti nella relazione con il mondo adulto, il moralismo sempre soffocante, l'altrove sempre mitizzato dove fuggire e trovare se stessi, anche se poi spesso solo a posteriori ci si accorge del valore di quanto si lascia alle spalle, in una fuga che non sempre porta dove si sperava. Solo voltandoci indietro dopo essere andati lontano, qualche volta troppo lontano, si comprende l'importanza (anche il peso) di legami dai quali non ci libereremo mai.